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Europa ed extracomunitari: i capri espiatori della peggior politica

"Pessimi europei (dei veri extraeuropei) quelli che non sanno cambiare le proprie idee per mettersi in condizione d’affrontare al meglio un mondo nuovo; politicanti atroci, italiani, francesi o tedeschi che siano, quelli che i pregiudizi sfruttano, o peggio alimentano, per mantenersi al potere".

Si è detto già quasi tutto sulle reazioni del Re del Bunga Bunga, di fronte al rifiuto europeo di riconoscere validi, ai fini dell'applicazione del trattato di Schengen, i permessi temporanei rilasciati dall'Italia agli esuli provenienti dal Nord Africa: è del tutto ovvio che non possa amare l’Europa, che pone un limite al suo potere, chi vorrebbe che il proprio potere fosse assoluto.

Si è detto poco di quanto siano privi d’ogni fondamento logico le posizioni di tutti i governi coinvolti. Pare, a sentire i nostri indegni rappresentanti ed i loro poco più degni compari europei, che ci si trovi davanti ad una vera e propria invasione; "uno tzunami umano", come ha detto qualcuno. Se c'è qualcosa di notevole, invece, nell'ondata di profughi seguita agli sconvolgimenti nordafricani, è, anche a prender per buone le cifre "abbondanti" fornite dal nostro governo, la sua ridottissima entità. "Arriveranno a milioni", strillavano in coro i ministri italiani; "saranno almeno un milione e mezzo", precisava Bobo "Isteria" Maroni, dando prova di doti di freddezza e capacità di calcolo degne di un bimbetto in età da asilo.

Ne sono arrivati, invece, fino ad ora, la pochezza di 25.000, pari al 4 (quattro) per cento dei seicentomila immigrati che entrano ogni anno, attraverso le frontiere terrestri e gli aeroporti, in Italia. Un numero, quel 25.000, che confrontato con la realtà europea diventa del tutto insignificante: pari a meno dello 0,5 % (sì, lo zero virgola cinque per cento) degli immigrati illegali che vivono nell'Unione.

Trasformare una cosa di così poco conto, e per di più lungamente annunciata, in una catastrofe umanitaria ha richiesto tutta la criminale impreparazione del nostro governo; farne un caso, capace di mettere a rischio le fondamenta dell'Unione, sta richiedendo tutta la pochezza e la meschinità di alcuni dei peggiori governi che i paesi d'Europa abbiano avuto nella loro storia. Più in generale, le moine italiane ed europee di questi giorni ci confermano quanto sia grave, in tutto il continente, la deriva populista della politica.

Ignari delle lezioni della propria storia gli europei stanno reagendo alla crisi d'inizio millennio in modo del tutto analogo a quello con cui reagirono i loro nonni alla crisi degli anni trenta del secolo scorso e, oggi come allora, l'Italia è, ad un tempo, anticipatrice e paradigmatica di quel che avviene nel resto del continente.

Incapaci di gestire diversamente le trasformazioni imposte dall’industrializzazione e dall’ascesa di nuove classi sociali ci rifugiammo per primi nel fascismo, ma gli altri paesi europei, quasi tutti, ci seguirono poco dopo, quando la crisi del ‘29 mise definitivamente in crisi la gli equilibri sociali ed economici già minati dalla prima guerra mondiale.

Non abbiamo inventato il leghismo (se per caso è il contrario: il leghismo ha dato una voce italiana al localismo ed alla xenofobia che già avevano infiltrato, per esempio, la politica francese), ma siamo stati il primo, tra i grandi paesi europei, ad avere al governo un partito con le caratteristiche della Lega. Primo e per ora unico, ma posizioni simili a quelle della Lega sono ormai comuni, e non solo tra i partiti d’estrema destra, in tutta l’Unione Europea.

Una volta ancora l’Europa risponde alle sfide della storia nel modo più viscerale e più sbagliato.

Mentre giganti come Cina, India, Russia e Stati Uniti prendono posizione per giocarsi i destini del mondo, gli europei, ognuno per conto proprio, alzano i ponti levatoi; i vari paesi accusano l’Unione di questa o quella mancanza, ma, anziché trarne la logica conclusione (se l’Unione così com’è non funziona va cambiata e, se per caso, gli vanno finalmente conferiti dei reali poteri ) minacciano d’uscire dall’Europa o fanno di tutto per ritardare il processo d’unificazione.

In realtà, esattamente come nel caso italiano, l’Europa è il gran capro espiatorio dell’incapacità delle classi politiche nazionali; i governanti inglesi e francesi, proprio come Bossi & Berlusconi, il nostro duo di comici, sono lestissimi a addossare all’Unione qualunque possibile colpa, reale o inventata, nonostante l’Unione sia una realtà ancora quasi solo nominale, BCE a parte, e priva d’ogni potere reale.

L’Europa dovrebbe...”, ripetono i cattivi profeti a beneficio dei loro stolti seguaci, ma si guardano bene dal dire come e con quali strumenti, che non ha, dovrebbe farlo.

Una colpa ancor più grave che quest’antieruopeismo d’occasione, (che diventa ridicolo quando, come nel caso di quello leghista, arriva a rimpiangere la lira) di cui si stanno macchiando gli europei ed i loro governi è la xenofobia; la vera e unica chiave per spiegare il dibattito che sta avvenendo sulla pelle degli immigrati.

Se l’Unione Europea è il capro espiatorio dei governi europei, gli stranieri sono quello dei loro cittadini: molti tra loro se la prendono con gli immigrati, ormai, seguendo ragionamenti non troppo diversi da quelli che fecero i loro nonni quando se la presero con gli ebrei.

Una è la domanda a cui sentiamo di dover rispondere nei momenti di crisi: “Di chi è la colpa?”. Una è la risposta che riusciamo sempre a darci: “Degli altri”.

Gli stranieri, gli “arabi” per i leghisti nostrani e gli italiani per i leghisti ticinesi, diventano le cause percepite del malessere, che non è solo economico, che c’induce la globalizzazione, con la perdita dei nostri tradizionali riferimenti che comporta, e la necessità, da parte nostra, di ridiscutere delle certezze che, ormai, sappiamo non essere più tali. Dovremmo cambiare il nostro modo di produrre, ripensare il ruolo del nostro continente nel mondo e del nostro paese nel continente, trovare nuove soluzioni alla difficilissima equazione tra dritti e doveri, e come rispondiamo a tutto questo? Dicendo che tutto andrebbe benissimo se solo non ci fossero loro, i diversi: gli ebrei un tempo, appunto, gli extracomunitari oggi e gli zingari sempre.

Inutile ripetere che, nel caso italiano perlomeno, non esiste alcuna statistica che mostri un impatto negativo dell’immigrazione e, ancora di più, che consenta di distinguere tra immigrati buoni, bianchi e cattolici, e cattivi, arabi e neri; guardare all’arida realtà delle cifre è infinitamente meno gratificante che crogiolarsi nel conforto dei propri pregiudizi.

Pessimi europei (dei veri extraeuropei) quelli che non sanno cambiare le proprie idee per mettersi in condizione d’affrontare al meglio un mondo nuovo; politicanti atroci, italiani, francesi o tedeschi che siano, quelli che i pregiudizi sfruttano, o peggio alimentano, per mantenersi al potere.

Europei e governi di cui l’Europa potrebbe fare benissimo a meno.

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