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 Home page > Tribuna Libera > Euro, meglio portare a termine la traversata del deserto

Euro, meglio portare a termine la traversata del deserto

Nell’euro ci siamo e il problema non è se sia stato bene o male entrarci, ma se sia o meno bene uscirne. Sono problemi molto diversi. Il primo è storico: si tratta di comprendere il mondo. Il seconto è politico, e si tratta semmai di cambiarlo. Uscire dall'euro avrebbe un costo molto alto.

L’avere una moneta comune non riguarda solo l’economia, ma anche la costruzione europea nel suo insieme. È anche un simbolo, oltre che uno dei pilastri dell’integrazione – benché negli ultimi tempi sembri invece avere l’effetto opposto. L’Unione europea ci ha difesi dalle guerre per decenni e ci ha dato un più che discreto sviluppo economico. L’euro è stato negativo sul piano economico, sarebbe stato meglio non entrarci? Può darsi, anche se io penso che il problema in Italia non sia stato l’euro ma la Casta. Sul piano nazionale, avremmo dovuto mettere in sicurezza i conti pubblici come ha fatto la Germania e non aggravare il debito pubblico nella girandola di governi irresponsabili, espressione della Casta parassitaria, da Berlusconi a Prodi, da Monti a Renzi. Ma quel che è fatto è fatto e comunque sia, siamo in ballo e dobbiamo ballare. La scelta di oggi non è più se entrare o non entrare nell’euro, ma se restarci oppure uscirne.

Facciamo allora un esperimento mentale. Siamo su una nave da crociera nel porto di Tunisi, la prossima tappa sarebbe Alessandria, ma noi invece decidiamo di scendere dalla nave e andare a Dakar attraversando il Sahara a dorso di cammello. A cento chilometri dalla meta ci rendiamo conto che traversare il deserto è arduo. Allora ci mettiamo a dire: «Be’, qui non va proprio, la crociera era più bella, perciò adesso giriamo i cammelli e puntiamo su Alessandria». Come dire altre migliaia di chilometri di pista, non solo quel tanto di sabbia che ci può portare, sebbene per aspera, all’agognata Dakar.

Non c’è logica in questo e lo vede chiunque. Eppure proprio in quel modo contorto ragionano i critici dell’euro. Ci dicono quanto sarebbe bello se avessimo ancora la vecchia e cara lira, da svalutare a nostro piacere per sghibbiare l’austerità imposta dai truci guardiani dell’euro – quegli orridi Frankfurter non meno indigesti degli Hamburger. Solo che nell’euro ormai ci siamo e uscirne ha un prezzo elevato, proprio come girare i cammelli su Alessandria. Personalmente, non credo valga la pena di pagarlo. Meglio, molto meglio portare a termine la traversata del deserto.

Che il prezzo di un’uscita sia elevatissimo non è minimanete in dubbio. Annunciate un referendum sull’euro come vuole Beppe Grillo (quandoque bonus…) e per la pura e semplice incertezza sul risultato i mercati finanziari ci regaleranno una caduta della Borsa, un involo dello spread Btp-Bund (dunque di tutti i tassi d’interesse) e una concitata fuga di capitali.

Se poi il referendum dovesse sancire l’uscita dalla moneta comune, dovremmo sciropparci un’istantanea svalutazione della ritrovata lira, un balzo leonino dell’inflazione e un nuovo aumento dei tassi d’interesse. Queste cose sono facili da prevedere; dunque stupisce che non le veda Grillo, che di economia non è ignorante. Se però le vedesse e non ne volesse tener conto, sarebbe un delinquente.

Certo l’euro ha grossi difetti. La missione della Bce per esempio è definita in modo troppo angusto, bisogna ampliarla nel senso mostrato dalla Fed – che bada all’inflazione, sì, ma anche alla crescita. Nel credito, La dimensione nazionale è ancora troppo dominante. Non è prevista una politica del cambio, anche se negli ultimi anni qualche mossa in questo senso c’è stata. E bisognerebbe tener conto della necessità di trasferimenti dalle zone avanzate d’Europa a quelle arretrate. Senza tutte queste cose l’austerity potrebbe diventare un tratto costitutivo della nostra vita, come la televisione. Un po’ di zapping, prego.

 

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