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Emma Dante e la soggettività della realtà

Come lo indica il suo nome, l’opera si divide in tre capitoli autonomi, uniti unicamente dal tema trattato: la condizione di marginalità e disagio dei protagonisti. Un energico e camaleontico Carmine Maringola, che firma insieme ad Emma Dante le scene dello spettacolo, presenta la prima pièce del trittico: Acquasanta. La marginalità di ò Spicchiato (soprannome datogli dal resto della ciurma, per via degli occhiali che rispecchiano la luce del sole) sta nella povertà della sua condizione, nel suo universo, che si limita ad una nave dalla quale non scende dall’età di 15 anni. Alla terraferma, lui, neanche ci crede. Accoglie gli spettatori alla prua della nave immaginaria, ancorato da tre funi e sbeffeggiato dal marinaio che appare allo spettatore come una voce nella testa del protagonista. La musica suggestiva e le luci abbozzano inoltre nell’immaginazione del pubblico l’idea di una finta tempesta alla quale ò Spicchiato sopravvive e che gli riporta alla mente i ricordi di una vita da mezzo mozzo. Rivive in seguito anche il trauma dell’abbandono, lasciato solo nella sua povertà sulla terraferma, lui che senza il suo mare, unico grande amore, non riesce a vivere.

Dopo un intermezzo nel foyer, dove due anziani signori in abito di nozze ballano con dolcezza, si rientra in sala: il sipario calato si apre nella penombra della scena, si intravedono due donne intente a pregare sottovoce su quelli che sembrano degli inginocchiatoi ricoperti da un telone bianco. I loro sussurri, accompagnati da gesti nevrotici, si trasformano poi in poche parole francesi: Claudia Benassi e Stéphanie Taillandier interpretano le due suore laiche che si prendono cura di Nicola (Onofrio Zummo), nascosto dall’inizio della scena sotto il telone, accovacciato sulla sua piccola sedia, in stato catatonico. Sottratto alla tutela della zia Marisa, disoccupata, con la quale viveva nel quartiere della Zisa, di fronte ad un castello, Nicola è il protagonista del secondo capitolo, Il castello della Zisa, appunto, in cui viene raccontata la malattia di quest’uomo rinchiuso in un silenzio autistico dal quale esce sporadicamente per giocare con palline, birilli e hula hop, stimolato dalle suore. Nel castello sono rimaste imprigionate la sua infanzia, la sua spensieratezza, così ogni giorno, indossando la maschera di drago, cerca di allontanare i diavoli che attaccano il castello.

Il sipario si riapre con una nuova ed essenziale scenografia: due bauli ai lati opposti del palcoscenico. Da qui sbuca la coppia di anziani che ballava nel foyer, protagonista della terza e ultima pièce: Ballarini. Anche qui, gli occhiali, metafora dell’incapacità dei protagonisti a riconoscere la realtà e ad accettarla, vengono inforcati dagli attori, Elena Borgogni e Sabino Civilleri, che ripercorrono a passo di danza una storia d’amore: il primo incontro, il primo bacio, la dichiarazione, la gravidanza, il figlio. Festeggiano insieme il capodanno e dopo aver riavvolto il nastro della loro vita, lo srotolano nuovamente, abbandonando gli occhiali e tornando alla realtà del tempo che passa, della vecchiaia.

Un testo questo, che, oltre a stupire lo spettatore per l’uso dei dialetti napoletano e palermitano e del francese, esplora gli aspetti più intimi della condizione umana.

Da mPalermu a Carnezzeria, da La trilogia della famiglia a Cani di bancata, Emma Dante anche questa volta firma con successo il suo ultimo spettacolo.

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