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Eluana e io

 Eluana: che fare?

Sto riflettendo da tempo sulla vicenda di Eluana, e mi sembra difficile venirne a capo. Recentemente è morta la persona a me più cara: ha avuto un infarto con edema polmonare; stava riprendendosi, ma poi è sopraggiunto un ictus e ha perso conoscenza. Ho sperato che non entrasse in coma permanente, perché ritengo sia la condizione più dolorosa, sia per il malato sia per i suoi cari. Questa esperienza ha reso ancora più arduo trovare una risposta soddisfacente alla situazione di Eluana.



Se il mio amico deceduto si fosse trovato in frangenti analoghi cosa avrei fatto? Certamente non avrei staccato il sondino. Con che diritto avrei potuto? L’avrei fatto per sollevare lui da una condizione priva di coordinate precise o per togliere me dall’angoscia di vederlo sospeso in uno stallo senza fine? L’unica certezza è che avrei vissuto con il dolore di vederlo lì, vivo ma privo di reazioni visibili, nell’impossibilità di comunicare e di condividere i suoi pensieri, i suoi sentimenti. Eppure, credo che mi sarei affezionato anche a quella vista, a quella compagnia: era il mio amico e lo sarebbe stato per sempre, sveglio o addormentato. Magari lui avrebbe sorriso di me, che lo guardavo in modo ebete: e non avrebbe mai pensato di staccarmi la spina.

Commenti all'articolo

  • Di fides (---.---.---.49) 7 febbraio 2009 10:19

    Ciò che mi ha colpito di questa drammatica vicenda è lo scollamento generato dal rumore che il caso giudiziario Eluana ha fatto e continua a fare a tutti i livelli: politico, giuridico, mediatico dal silenzio di tutte quelle voci che, vivendo accanto ad una persona in stato vegetativo, non parlano di vita apparente, di situazione che chiede un esito, ma parlano di una vita, difficile, sì, dolorosa, si eppure ancora di vita. e allora mi domando: non sarà che solo chi vive la propria vita, istante dopo istante,in quel tempo che, forse, non scorre più di grano in grano ma è diventato altro, diverso, nonostante il sorgere e il tramontare del sole, non sarà che solo chi si prende cura di queste persone riesce a vedere ciò che noi non vediamo, a creare vie misteriose di comunicazione con loro, come quelle mamme di bimbi nati cerebrolesi che pure riescono a donare e ricevere amore da quelle creature nonostante la natura o un incidente le abbia poste in un mondo a noi precluso, in una dimensione incognita, come sconosciuto è il mondo di Eluana e di tutti quelli che vivono come lei? Non sarà che, come per l’handicap, qualunque handicap, l’idea astratta, l’ignoranza della realtà effettiva, la riflessione senza conoscere il problema, porti molti a pensare i down, gli spastici, i dementi persone di serie B che starebbero meglio nella non esistenza, mentre obbliga i genitori i fratelli e tutti coloro che se ne occupano a cambiare lo sguardo e a scoprire anche in loro, soprattutto in loro, una dignità forte della forza che solo il debole e indifeso può avere anche quando il mondo non gliela riconosce?
    come dice fabrizio:
    "Eppure, credo che mi sarei affezionato anche a quella vista, a quella compagnia: era il mio amico e lo sarebbe stato per sempre, sveglio o addormentato".
    non sarà che solo l’amore è capace di generare vita nonostante tutto, nonostante il dolore?

    Fides

  • Di mery (---.---.---.166) 7 febbraio 2009 12:54

    Credo che il volere vedere "fisicamente" la persona a noi cara serva piu a noi che a loro,secondo me è una forma di egoismo . Ho avuto uno zio con una malattia molto rara che si è ritrovato paralizzato dalla vita in giù da un giorno all’altro e poi pian piano la paralisi si è diffusa portandolo comunque alla morte, questo è sicuramente un caso diverso da quello di Eluana, ma pensiamo ai suoi genitori e alla sofferenza che stanno e hanno passato sapendo che non c’è che la prospettiva che torni la loro figlia. Mi ricordo mio zio che ogni volta che andavo a trovarlo mi diceva "trovami qualcuno che mi uccida non ne posso più ho dei dolori tremendi ". La sua agonia è durata 12 anni ho una madre malata di leucemia e una zia morta di cancro soffrendo immensamente io quello che ho visto non lo auguro nemmeno ad un animale e non voglio giudicare i genitori di Eluana, sono una madre e credo che la loro decisione sia la più dolorosa che debbano affrontare e che soffriranno finche avranno vita. Io ci stò ancora male quando penso ai miei zii e a quello che hanno sofferto,credo nei medici che seguono queste persone perchè devono affrontare il dolore di molta gente e credo anche nelle persone che mi stanno a fianco, perciò credo nella decisione dei genitori di questa ragazza. 

  • Di Paolo Praolini (---.---.---.220) 7 febbraio 2009 15:25

    Siamo inquilini di questo mondo pieno di squilibri e di forzature ed anche in questo caso di Eluana, il mondo della politica e della comunicazione hanno voluto strumentalizzare questa triste storia accanendosi su questo triste caso.
    Di situazioni come questa ce ne sono migliaia in Italia, non ultimo è stato il celebratissimo caso Welby.
    E’ umanamente impossibile discernere se sia giusto o meno interrompere la sopravvivenza forzosa di un essere umano inanimato e privo di ogni sensazione e attività intelletto/comunicativa.
    Non vedo il perchè da un giorno all’altro qualcuno si sia messo in testa con urgenza mai espresse in precedenza di legiferare bloccando e modificando gli accadimenti intorno ad Eluana.
    Il rischio è partorire una legislazione paragonabile ad un topolino, quando con argomenti di questa importanza che interessano la sensibilità umana, dovrebbero essere aperti dibattiti, confronti molto vasti, e discussioni parlamentari che portino a soluzioni ponderate, generando una regolamentazione che sappia accogliere il pensiero dei più, ed il rispetto dei soggetti coinvolti.
    Purtroppo parlare dal di fuori, chi non vive personalmente queste realtà, riesce facilmente ad esprimere giudizi, generare sentenze. Ma la realtà difficile che per il malato rimane stabile per anni, per chi convive con essi si aggrava con il passare del tempo.
    La nostra società non aiuta costoro che accompagnano per tutta la vita questi malati, solo sulle loro spalle si accentra il peso e la drammaticità di queste situazioni.
    Mancano aiuti materiali, economici, strutture mediche, psicologiche e spirituali, medicinali, insomma un enorme sacrificio che non potrà mai nessuno ripagare, con la rinuncia ad una vita normale.
    Poi per chi è credente nella propria religione c’è anche il supporto spirituale, che troppo spesso non compensa l’annullamento di una vita.


  • Di Surigatt (---.---.---.237) 7 febbraio 2009 22:12


    Io abito in un paese del Lago di Como e per anni, alla stazione di Lecco, ho visto salire sul treno per Milano giovani belle, brillanti e ambiziose come Eluana, dirette alle facoltà di Economia o Giurisprudenza. Non faccio fatica a immaginarla, splendida ventunenne di una buona famiglia della piccola borghesia lombarda, con una madre riservata e religiosa che l’accompagnava al catechismo e un padre non credente ma onesto e lavoratore, spesso in viaggio per affari. So anche quanto sia difficile per i padri accettare gli handicap dei figli, soprattutto in presenza di alte aspettative, per cui non mi permetto di esprimere giudizi. Vi propongo però una scomoda ma a mio avviso necessaria riflessione di Mario Palmaro, comparsa sull’ultimo numero del mensile “il Timone” (gennaio 2009).

     

    «Vogliono provocare la morte di Eluana sostenendo che la ragazza è ormai ridotta a un vegetale, che non capisce più nulla e non avverte ciò che le accade. Vi sono molti dubbi che le cose stiano davvero così. Ma concediamolo per un momento. Se così fosse, allora non sarebbe Eluana ad avere bisogno urgente di essere uccisa. Chi infatti è incosciente non desidera nulla, né in bene, né in male. Sono quelli che le stanno intorno che vedono, pensano, soffrono, piangono.

     

    Ecco emergere una verità terribile: i pazienti come Eluana devono essere eliminati perché costituiscono uno scandalo insopportabile per quelli che stanno bene, per i familiari, per il personale medico, per la società intera. La modernità ha convinto milioni di uomini che si può vivere benissimo senza Dio, senza Chiesa, senza giudizio, inferno e paradiso.

     

    L’impostura regge fintantoché le cose vanno bene: il portafoglio è pieno, la giovinezza regala vigore, gli affari vanno bene. Quando però il vento della sorte gira, l’uomo scopre tutta la sua solitudine e la sua debolezza. La malattia e la morte rappresentano il culmine di questa drammatica presa di coscienza. Per questo motivo, il capezzale di un malato, e ancor più di un moribondo, sono il luogo dove da secoli molte anime si riconciliano con Dio, chiedono di confessarsi, ricevono il viatico.

     

    Testamento biologico ed eutanasia sono due potentissimi antidoti alle grazie che la sofferenza porta con sé. Bisogna convincere l’uomo moderno a “scegliere” la morte prima che egli possa fare i conti con la sua coscienza».

     

    A questo proposito, ho notato che sia il medico responsabile della morte di Eluana che suo padre, nelle interviste rilasciate, hanno parlato più di sé stessi, di quanto fossero sconvolti da tutta la vicenda, del loro desiderio che finisca presto per tornare a una vita normale, della loro situazione di “vittime”, che della giovane e del suo attuale stato.

     

    Per chi volesse approfondire la questione, suggerisco due articoli estremamente significativi:

     

    http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo440590.shtml?1

    http://www.avvenire.it/Commenti/QUELLA+TOSSE+SQUASSA+LE+PRIME+COSCIENZE.htm

  • Di Stefania Mola (---.---.---.237) 7 febbraio 2009 23:35

    È difficile, caro Fabrizio, proprio così.
    Chi sono io per esprimermi, giudicare, pontificare, non mancando di esporre i figli sventurati in vetrine tanto inopportune quanto improvvisate a sostegno di una verità presunta e strumentalizzata?

    Chi sono loro – nani, ballerine e un’oscena cerchia di servi silenti che oggi pestano rabbiosamente i piedi – per permettersi certe sguaiate interferenze nel dolore altrui?

    Sebbene sia madre e sia figlia, io non so cosa sia "giusto".
    Né so come si "viva" da diciassette anni senza emozioni né relazioni dentro una macchina funzionante (regolare ciclo mestruale e possibilità di incubare un figlio, eh!) con riserva di carica a termine.
    Né come si muoia, ogni giorno un po’, dentro il dolore di sopravvivere a un figlio.
    E voi?

    Mentre inorridisco di fronte all’indecenza delle esternazioni e delle illazioni dirette a quel padre, voglio credere che Dio lo aiuti a sostenere la croce che si è caricato sulle spalle.
    E che liberi lei, finalmente, da tutti noi.

  • Di fabrizio centofanti (---.---.---.93) 8 febbraio 2009 00:19

     grazie, amici.
    mi sembra che siamo in sintonia per quanto riguarda la superficialità di chi sta trattando la questione.
    bisogna mobilitare tutta la sensibilità a propria disposizione per sostenere situazioni simili senza cadere in uno dei tanti atteggiamenti retorici o strumentalizzatori di cui si stanno riempiendo queste giornate.
    un abbraccio a voi.
    fabrizio

  • Di Paolo Praolini (---.---.---.219) 8 febbraio 2009 00:34

    Mi raccomando Fabrizio, continua ad essere portatore di una voce diversa dal coro su questo fantastico canale che è Agoravox.

  • Di fabrizio centofanti (---.---.---.93) 8 febbraio 2009 14:11

    grazie, Paolo, ci provo.
    un abbraccio
    fabrizio

    • Di manuela (---.---.---.162) 9 febbraio 2009 18:05

      Non riesco a giudicare o a criticare queste disperate creature per le loro decisioni e capisco benissimo cosa vuoi dire Fabrizio quando dici che tu eri pronto a rimanere accanto comunque e sempre al tuo grande amico ....(ho provato anche io questo terribile dolore e piacere accanto a chi amavo tanto fino alla fine, e oggi ne sono incredibilmente felice...) . Ma chi sono io per dire, commentare, giudicare, criticare?
      Sento però tanto dolore dentro di me nel vedere come si strumentalizza la sofferenza altrui e sento un forte bisogno di pregare per Eluana e la sua famiglia e che il Signore illumini le menti di chi specula su tutto questo

  • Di marco guzzi (---.---.---.152) 9 febbraio 2009 18:22

    Carissimo Fabrizio, io non so cosa sia giusto in questa vicenda.
    E’ come trovarsi in una situazione in cui le due alternative restano comunque insoddisfacenti.

    Dovremo pensare molto e pregare molto, perché di situazioni simili ne avremo sempre più numerose da affrontare.

    Un abbraccio. Marco Guzzi

  • Di La Poesia e lo Spirito (---.---.---.169) 10 febbraio 2009 19:15
    La Poesia e lo Spirito

     Manuela e Marco, grazie di cuore: sì, è davvero difficile trovare risposte. Bisogna lasciarsi guidare da ciò che nell’uomo c’è di più profondo.
    un abbraccio
    fabrizio

  • Di roberta zucchetti (---.---.---.232) 12 febbraio 2009 15:16

    Caro Fabrizio,
    mia sorella Eugenia si era ammalata di sclerosi multipla a tredici anni e ha convissuto con la sua malattia per trentotto anni, perdendo man mano ogni facoltà. Negli ultimi venti anni, vedendola, poteva sembrare quello che si dice un vegetale. Non controllava più niente del suo corpo, era completamente paralizzata, non teneva diritta la testa, non poteva più parlare, non vedeva quasi niente.
    Negli ultimi quindici anni veniva nutrita prima con un sondino dal naso, poi attraverso un piccolo foro nello stomaco. Non poteva neanche bere un cucchiaino di acqua, perché non riusciva a deglutire. . Ma capiva tutto, sentiva tutto. Ce ne accorgevamo quando si raccontava qualcosa di spiritoso, perché lei rideva con mezza bocca e le ridevano anche gli occhi. E quando le facevamo una domanda chiudeva un occhio per dire di sì.
    Quando ancora poteva parlare, se vedeva qualcuno di noi triste, ci diceva: non fare così, la vita é meravigliosa.
    Che differenza tra lei e Eluana? Il fatto che ancora era in grado di capire? Forse questo poteva costituire un aggravante, una sofferenza in più.
    Sarebbe bastato toglierle il sondino, e le sue e le nostre sofferenze sarebbero finite. Nessuno di noi ci ha mai pensato e neanche ha pregato che il Signore se la prendesse, abbiamo sempre sperato e cercato di starle più vicino possibile. Ma é lei che ci ha dato e insegnato tanto.
    E’ stato un grande dolore quando una mattina, nel sonno, il Signore ha voluto portarsela in cielo. Solo Lui sa qual é il momento giusto per ognuno di noi.
    Ora quando penso a lei rivedo soltanto i suoi occhi ridenti colore del cielo.
    Ciao, Fabrizio.
    Roberta

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