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Educazione civica e rivoluzioni politiche

A leggere sui più diffusi mass-media di ultima generazione, emergono tanti imbonitori della società civile che continuano “populisticamente” a sparare nel mucchio cercando di colpire vecchi e nuovi simboli della politica nostrana, promettendo, di converso, che con qualche generico slogan e soprattutto, con la creazione di vari cori "da stadio”, che tutti devono ripetere acriticamente come “pappagalli” , si può realizzare una grande rivoluzione politica.

Ingenuamente, tra costoro, mi auguro in buona fede, ma con cognizioni di causa sul piano della cultura politica decisamente lontani “anni luce” dai vari teorici degli ultimi secoli, credono che eliminando questa pessima classe politica, arrivano i loro “beniamini” e così “sic et sempliciter” tutto si può trasformare, instaurando, con il pieno ossequio ai loro “nuovi profeti”, la civiltà della democrazia e della giustizia sociale!

L’assunto spurio di questi cultori delle illusioni, rinvia alle teorie illuministiche di Rousseau, riprese in modo nefasto da Robespierre nel periodo della rivoluzione francese e, in tempi più vicini a noi, da Lenin in Russia e da tanti suoi imitatori nel corso del Novecento. In sintesi questi filosofi della politica, sostenevano in grandi linee che, un gruppo ristretto di “profeti” ovvero rivoluzionari di professione, avrebbero potuto guidare l’intera società, interpretando la “volontà popolare”! Qualsiasi dissenso , vedi il “Terrore” di Robespierre in Francia o le prime decisioni di Lenin fin dal novembre del 1917 in Russia, venne represso in modo intransigente. In fondo si sosteneva che una minoranza di rivoluzionari potessero rappresentare l’intero popolo. Ma non solo!

Si argomentava filosoficamente, che l’umanità è sostanzialmente predisposta, diremmo oggi, “geneticamente” ad operare in concordia o almeno a creare naturalmente una società giusta, aliena da egoismi e sopraffazione e che queste “malattie” che hanno generato la crisi a tutti i livelli, sono la conseguenza dell’egoismo di quei pochi che hanno governato fino a quel momento. In soldoni: i buoni sono la maggioranza dell’umanità che soffrono le ingiustizie solo per l’egoismo dei pochi che ci governano… come rimedio arriveranno la classe dei “profeti”, i classici supereroi, che schierandosi con i buoni-poveri restituiranno a tutti la giustizia calpestata!

Le cose non stanno proprio così e la storia l’insegna, peccato che non sono in molti a saperla interpretare correttamente. Per cambiare davvero, per attuare quella democrazia diretta, nei limiti di una comunità di decine di milioni di cittadini, occorre un elemento decisivo, che non s’inventa con un cambio di governo o con le illusioni di qualche nuova formazione politica, ma con un’operazione che richiede tempo e coinvolge un intero popolo, cioè l’educazione civica! 

Imparare a discutere su problemi concreti e universali, saper formulare proposte motivate e coerenti, sapersi confrontare con gli altri e saper individuare gli inevitabili rappresentanti, che vanno sempre controllati dagli elettori, rimane sempre l’unica vera rivoluzione civile. Chiunque afferma che pochi soggetti possono comprendere i problemi collettivi e imporre delle soluzioni, che tutta l’intera comunità deve solo seguire a testa bassa e offrire un consenso acritico, sbaglia sostanzialmente e illude anche quei pochi che ancora s’interessano di politica.

Il problema vero è quello di educare il maggior numero di cittadini a partecipare alla vita politica con quell’interesse che mostrano, per esempio, per il calcio, anzi con quel criticismo costruttivo che nasce dalla passione, che si manifesta per le cose che si sentono proprie e, ancor di più, dalla competenza. Educarsi ed educare alla partecipazione alla vita politica è l’unica strada per una rivoluzione o ancor meglio per attuare quella democrazia tanto discussa da 2500 anni, ma poco o nulla attuata.

E per questo, piuttosto che additare altri profeti, gli imbonitori di cui sopra scrivevo, doverebbero solo individuare una sala, uno spazio fruibile dove incontrarsi e discutere, utilizzando la “rete” solo per diffondere degli inviti e non imporre farneticanti soluzioni. Chi vuol intendere intenda!

 

Foto: Ken Teegardin/Flickr

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