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E se la lega non volesse veramente il federalismo?

Ieri alla Camera dei deputati Bossi si è fatto notare per i lunghi sbadigli con i quali accompagnava l’ascolto del discorso del Premier.

E’ una tattica collaudata. Voleva marcare una certa distanza tra la Lega e la gestione del Governo. Gli sbadigli annoiati simboleggiavano a favor di telecamera il disinteresse con il quale il partito padano ormai sostiene Berlusconi. Era un segnale alla base: siamo lontani dalle alchimie di Palazzo, noi puntiamo solamente al raggiungimento di traguardi concreti che da lungo tempo ci siamo prefissati.

Se non fosse infatti per il vincolo personale che unisce i due vecchi leader di Pdl e Lega, e per lo stesso attaccamento che hanno entrambi per il potere che maneggiano, l’Italia potrebbe già avere un altro governo, forse più autorevole. Sicuramente più capace di affrontare l’attuale crisi economica.

La base leghista in questo momento se non fosse per la brama di potere della propria classe dirigente si accontenterebbe anche di una dignitosa lotta condotta dalle fila dell’opposizione.

Le recriminazioni e le denunce leghiste avrebbero infatti molto più valore se venissero sostenute non all’interno delle istituzioni ma fuori dal Palazzo, a stretto contatto con i mugugni dei propri sostenitori.

Cosa ci fa un partito secessionista come la Lega in una coalizione da cui ormai sempre più platealmente prende spesso le distanze? Il motivo è essenzialmente uno ed universalmente noto: l’approvazione del federalismo fiscale.

Ma siamo sicuri che la Lega lo voglia veramente?

Sembrerebbe proprio di no. Anche perché se lo avessero voluto realmente lo avrebbero già approvato ad inizio legislatura.

Il federalismo per la Lega è ormai divenuto un prodotto commerciale da piazzare sul mercato elettorale. La merce più pregiata ed allettante con la quale attira a sé i propri elettori. Se venisse a mancare questo elemento di mobilitazione popolare e per di più la sua approvazione non generasse come molti sospettano i risultati sperati, il partito della famiglia Bossi rischierebbe di scomparire, perché avrebbe perso la sua ragion d’essere.

Un po' come potrebbe accadere al partitito di Di Pietro una volta che Berlusconi sarà uscito di scena. Se io già possiedo quello che tu mi vuoi vendere, tu a cosa mi servi? A nulla. Meglio quindi non darti quello che a te appare servirti, così che tu possa continuare a sostenermi e votarmi.

Se infatti una volta per tutte una riforma federale fosse licenziata dal parlamento, con quale motivazione Bossi, Maroni e Calderoli, potrebbero chiedere il consenso ai propri elettori?

La secessione? Sembra improbabile. Visto che a questa eventualità non ci credono più di tanto nemmeno i leghisti più puri.

Per la lotta all’immigrazione? Lo fanno già adeguatamente le forze più puramente di destra.

Per l’euroscetticismo? Ci pensa già il Pdl ad attaccare quotidanamente le fondamenta delle istituzioni europee. E quindi? Meglio procrastinare il federalismo ad una data lontana nel tempo per assicurasi ancora per un po' i voti dei poveri padani.

Qualora il governo e la maggioranza e il quasi disoccupato presidente della commissione bicamerale in materia Enrico La Loggia fossero vicini ad approvare il tanto agognato federalismo fiscale lo stato maggiore leghista staccherebbe in quel preciso momento la spina al governo. Accampando le motivazioni più disparare per coprire il misfatto.

Sarebbe un delitto perfetto. Di fronte alla propria base si presenterebbero come coloro che hanno detto basta alle promesse non mantenute di Berlusconi ed al contempo avrebbero acquistato nuova linfa per presentarsi al prossimo giro di giostra.

D’altronde si sa, da circa venti anni la riforma federale è come l’Araba fenice: tutti la cercano ma nessuno sa dove sia.

Sicuramente non è stata avvistata dalle parti di via Bellerio.  

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