• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > È la vera Maddalena di Caravaggio

È la vera Maddalena di Caravaggio

Lo annuncia Mina Gregori, rivelando di aver ritrovato uno dei quadri che Caravaggio aveva con sé nel suo ultimo viaggio. L’originale di un capolavoro noto attraverso quelle che ora appaiono essere, tutte, solo delle copie.

JPEG - 66.8 Kb
 
Porto Ercole era allora parte degli Stati dei presidi spagnoli di Toscana e una feluca la collegava regolarmente con Napoli. Fu questo, probabilmente, che fece pensare a Michelangelo Merisi da Caravaggio, che si trovava a Palazzo Cellammarre, a due passi dalla Riviera di Chiaia, ospite di Costanza Colonna Marchesa di Caravaggio, di servirsi di questa imbarcazione per rientrare inosservato nello Stato della Chiesa ed aspettare, a poca distanza da Roma, un perdono papale che si dava per certo e prossimo. La feluca attraccò segretamente a Palo, presso Ladispoli, allora feudo degli Orsini, vi sbarcò l’artista, ma, per una qualche ragione, dovendo immediatamente ripartire per Porto Ercole, non i suoi bagagli. Tra questi, importantissimi per l’immediato futuro di Caravaggio, i quadri con cui si riprometteva di ringraziare il Cardinale Scipione Borghese per l’aiuto che gli aveva dato. Opere che rappresentavano, insomma, il prezzo delle sua libertà e che doveva a tutti i costi recuperare. Per questa ragione ripartì subito per Porto Ercole. Viaggiò via terra, però, e nell’attraversare in piena estate gli acquitrini della costa laziale, si ammalò di “febbri”. Arrivò a Porto Ercole, ma solo per morirvi, il 18 luglio 1610.

Il Cardinale Borghese, saputo della scomparsa del pittore, mise in azione la propria rete di contatti per scoprire dove fossero finiti quei quadri che considerava suoi. Glielo fece sapere con una lettera, il 29 luglio di quell’anno, il Nunzio di Napoli, Deodato Gentile: “Re.mo. p.ron Colend.mo. Il povero Caravaggio non è morto in Procida, ma a port'hercole ove ammalatosi ha lasciato la vita. La felucca ritornata riportò le robe restateli in casa della S.ra Marchese di Caravaggio che habita a Chiaia, e di dove era partito il Caravaggio. Ho fatto subito vedere se vi sono li quadri e ritrovo che non sono più in essere, eccetto tre, li doi San Gio.anni e la Maddalena, e sono in sud.a casa della S.ra Marchese, quale ho mandato subito a pregare che vogli tenerli ben custoditi, che non si guastino, senza lasciarli vedere o andar in mano di alcuno, perché erano destinati e si hanno da trattenere per V.S. Ill.ma”.

Tre quadri, dunque. Uno dei San Giovanni è senz’altro quello, dipinto proprio durante il soggiorno napoletano, che è oggi anche noto come San Giovanni Battista Borghese e che il Cardinale Scipione, potendo dimostrare d’averlo commissionato, riuscì a riavere in breve tempo. L’altro San Giovanni, è con tutta probabilità il San Giovanni Battista Disteso ora di proprietà di un collezionista bavarese. Rimasto incompiuto, e pertanto giudicato di minor valore del precedente, pare sia stato trattenuto da Pedro Fernandez de Castro, VII Conde de Lemos, allora appena insediatosi come vicerè a Napoli, che quando fece ritorno in Spagna, nel 1616, se lo sarebbe portato con sé. 

Resta da capire che fine abbia fatto la Maddalena, un’opera che si crede Caravaggio abbia dipinto nei primi mesi della sua latitanza, quando, già condannato alla decapitazione per l’uccisione di Ranuccio Tommasoni, avvenuta la sera del 28 maggio 1606 nel corso di una lite per un fallo nel gioco della pallacorda, se ne stava nascosto nel feudo di Paliano, proprio sotto la protezione di Costanza Colonna. Un quadro, che Caravaggio, nell’impossibilità di avere altri committenti, avrebbe dipinto di propria iniziativa, mentre per la famiglia che lo ospitava realizzava la celebre Cena in Emmaus ora a Brera. Forse fu questa la ragione per cui sarebbe rimasto a sua disposizione tanto a lungo. Forse se lo sarebbe portato dietro nelle sue peregrinazioni, o lo avrebbe affidato alla marchesa Colonna affinché glie lo conservasse, perché vi avrebbe ritratto, con quell’espressione d’intimo sfinimento che ha poi ispirato tante altre “estasi”, la donna che amava: Maddalena Antognetti, cortigiana nota in tutta Roma semplicemente come “la Lena”, che già aveva usato come modella per la Madonna dei pellegrini nella basilica di Sant’Agostino e per la bellissima Madonna dei palafrenieri, oggi nella Galleria Borghese.

Questo è quel che della Maddalena in estasi si pensava di sapere, perlomeno fino ad ieri. Si era anche certi che non potesse aver lasciato Napoli prima del 1612, quando il fiammingo Louis Finson ne aveva realizzato la copia ora conservata Musée des Beaux Arts di Marsiglia, ma, a proposito di antiche copie, nessuno era certo di quale, tra le otto note fin lì, fosse quella autografa. Solo dagli anni settanta si era raggiunto un certo accordo, tra gli studiosi, ma non tra tutti, nel ritenere che questa fosse da individuare nella cosiddetta Maddalena Klain, ora in una collezione privata romana, proclamata di mano del Caravaggio da Maurizio Marini, che era stato chiamato a visionarla dopo una ripulitura, ma che già Roberto Longhi aveva ritenuto, se non proprio l’originale, quanto di più vicino a questo gli fosse stato dato di vedere.

Pareri che proprio un’allieva di Longhi, Mina Gregori, oggi la più profonda conoscitrice di Caravaggio e della sua opera, ha reso superati, annunciando d’aver individuato, e senza ombra di dubbio, la Maddalena originale in un’opera di cui non era stata finora rivelata l’esistenza; in quadro su cui è stata chiamata a dare un giudizio dalla famiglia europea (sulla cui identità si mantiene il più completo riserbo) che ne è proprietaria.

Un incontro che, nelle parole della stessa Gregori, è stata una folgorazione: “Quando mi sono trovata al cospetto di quell’opera magnifica, sono letteralmente caduta in ginocchio”. Un’emozione fortissima, perfettamente comprensibile anche a chi abbia avuto semplicemente modo di vedere le foto di questo quadro che i giornali hanno diffuso assieme all’annuncio della studiosa.

Basta davvero un’occhiata, come dice la stessa Gregori, e per le stesse ragioni che indica la studiosa, per riconoscervi Caravaggio. Basta anche a un pittore come me, che ama Caravaggio ma sa di lui ben poco. So, però, che i panneggi valgono una firma. Che sono tra le prime cose che impariamo a dipingere, come il nostro nome è tra la prime parole che impariamo a scrivere, e che ad ognuno di noi riescono un po’ diversi; più o meno mossi, più o meno morbidi, più o meno “croccanti”. E per quanto si possa giudicare da una foto, quelli di quella camicetta sono di Caravaggio. Poi l’incarnato. La Maddalena Klain è quasi rubizza; la sua pelle è “un ritratto della salute”. La giovane, tanto giovane da poter esser scambiata per un ragazzino, ritratta nel quadro presentato da Mina Gregori, è pallidissima; ha quell’incarnato da cui è scomparsa quasi ogni traccia di bruno che Caravaggio usa sovente quando vuole sottolineare stati di estrema prostrazione. E le labbra, di questa Maddalena appena rivelata? Caravaggesche nella forma; soprattutto nel colore: in quel livore che fa subito pensare al Bacchino malato, che Caravaggio dipinse nei primi anni del suo soggiorno romano. E poi prestiamo attenzione a quelle mani; a quelle dita. Non alla loro forma, al loro disegno, del tutto simile a quello di altre copie; alle loro ombre, così definite e morbide ad un tempo. Così… di Caravaggio.

Non bastasse questo per convincerci a fare i nostri più vivi complimenti a Mina Gregori per la sua scoperta, avessimo il dubbio di trovarci di fronte ad un’altra copia, certo opera di un pittore dalle straordinarie doti tecniche, non dovremmo fare altro che girare la tela. Dietro porta un bollo in ceralacca delle dogane pontificie risalente al ‘600 che ce ne garantisce l’antichità. In più vi è appiccato un biglietto. In una calligrafia pure risalente al XVII secolo dice: “Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma”. Si rivelasse autentico, non solo avremmo l’assoluta certezza d’aver finalmente ritrovato la Maddalena scomparsa. Sapremmo anche chi l’ha scritto, o perlomeno, l’ha fatto mettere lì: il “povero” Deodato Gentile che, con quattro secoli di ritardo, andrebbe lodato per la propria diligenza.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità