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E adesso Capo? Berlusconi e berlusconiani dopo la tormenta

Un tracollo psicologico del Presidente o del Primo Ministro è una delle eventualità che ogni democrazia è attrezzata per affrontare; esistono dei meccanismi di salvaguardia dello Stato e una catena di successione che sono pronti a scattare in casi del genere.

Se Berlusconi avesse dovuto dimettersi il giorno in cui è finito il berlusconismo - se con questo termine s'intende la via miliardaria alla rivoluzione liberale e non una mera prassi di conquista e gestione del potere - avrebbe dovuto farlo il giorno dopo la formazione del suo governo: quella lista di personaggi insulsi, presentata da chi aveva in quel momento il potere di cambiare davvero il paese, ha detto chiaro e tondo a tutti che il berlusconismo non esisteva; che era una sceneggiatura, una collezione di vuoti slogan e null'altro.

Nulla aggiunge a questo la sconfitta elettorale di ieri; si può certo gioire per il ritorno alla realtà di tanti italiani, me non c'è nessuna ragione di chiedere, solo per questo, le dimissioni del Presidente del Consiglio. È assolutamente normale, quasi scontato, che le elezioni di metà legislatura, per usare non del tutto propriamente l'espressione americana, puniscano il governo (è accaduto recentemente in Germania, per esempio) come è normale che i governi, preso atto degli umori del paese ed effettuati gli eventuali aggiustamenti di rotta, continuino a fare il proprio lavoro.

Quel che dicevano alcuni ieri sera, tra i rappresentanti della sinistra, "deve dimettersi perchè non ha più il sostegno del paese", è una sacrosanta idiozia; la dimostrazione dei danni procurati dal ventennio berlusconiano alla nostra civiltà politica. Dovesse passare questo principio i governi non potrebbero mai prendere provvedimenti che non fossero immediatamente popolari; alla democrazia rappresentativa si sostituirebbe una berlusconiana democrazia dei sondaggi.

Pure sbagliate, parlando di democrazia rappresentativa, le parole di Bersani che, tra i motivi per cui Berlusconi dovrebbe lasciare il potere, citava il fatto che "la maggioranza parlamentare che lo sostiene è diversa da quella uscita dalle urne". Si può essere d'accordo sul principio e certo c'è di che restare scandalizzati dal mercato delle vacche in cui Berlusconi per garantire la sopravvivenza del proprio governo ha trasformato il Parlamento (anche se resta da capire, in primo luogo, perchè le vacche vi siano state portate), ma bisogna anche ricordare che la nostra Costituzione non impone ai parlamentari alcun vincolo di mandato; sostenere il contrario significa, ancora una volta in modo del tutto berlusconiano, affermare che esista una Costituzione reale diversa da quella scritta e di cui questa è solo un'approssimazione. Una posizione che, per quanto possa essere attraente, va assolutamente evitata perchè, pur con le migliori intenzioni, apre la strada ad ogni tipo d'arbitrio.

Ci sono centinaia di ragioni per cui Berlusconi dovrebbe dimettersi, tante quante le occasioni in cui, con i suoi comportamenti, ha violato l'articolo 54 della Costituzione che recita: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore...". Tante quante le occasioni in cui si è dimostrato in condizioni psico-fisiche tanto compromesse da impedirgli di governare. È il Presidente del Consiglio che racconta barzellette volgari durante gli incontri ufficiale o che è fonte d'imbarazzo per il Paese ad ogni riunione di capi di stato quello che dovrebbe dimettersi; è il Berlusconi che telefona in questura nella notte preoccupato per quel che una prostituta minorenne potrebbe dire e, peggio ancora, quello che crede che la ragazza sia la nipote di Mubarak, il Berlusconi che andrebbe accompagnato alla porta dalla sua stessa maggioranza.

È il Berlusconi spiritato che lancia continui attacchi e insulti alla magistratura, all'opposizione, ai media e agli stessi cittadini italiani quello che non ha più alcuna ragion per continuare ad essere Presidente del Consiglio.

I commenti con cui ha accolto i risultati delle elezioni a Milano e Napoli, quel suo “e adesso i milanesi preghino il buon Dio”, arrivati pochi giorni da quel suo puerile e patetico incontro con Obama, sono l’ennesima dimostrazione che l’uomo Berlusconi non c’è più o non c’è più del tutto (lascio agli specialisti il compito di formulare una precisa diagnosi); che non riesce a comprendere fino in fondo la portata di quel che dice e le conseguenze di quel che fa.

Un tracollo psicologico del Presidente o del Primo Ministro è una delle eventualità che ogni democrazia è attrezzata per affrontare; esistono dei meccanismi di salvaguardia dello Stato e una catena di successione che sono pronti a scattare in casi del genere.

L’esempio di Nixon, devastato dallo scandalo Watergate, diventato il fantasma alcolizzato e drogato di se stesso arrivò, una notte, ubriaco fradicio, a far alzare in volo i bombardieri dello S.A.C e ad inviarli verso l’Unione Sovietica. Il suo ordine fu quietamente revocato poche ore dopo, ma quello resta uno dei momenti il cui più rischiammo la fine del mondo) e accompagnato gentilmente verso le dimissioni dagli stessi suoi Repubblicani calza a pennello; sta in questo una delle ragioni della superiorità della democrazia liberale rispetto alle altre forme di governo: non ci sono Capi e tutti, se è il caso, sono sostituibili.

È quello che Hitler non comprese quando si lasciò andare a scene di giubilo per la morte di Roosevelt, il 12 aprile 1945. Non poteva, il führer, capire che ad un Presidente, pure amatissimo, in un sistema senza capi assoluti e senza “unti del signore” come quello statunitense, se ne sarebbe sostituito un altro senza particolari problemi per il paese e senza nessun effetto sul suo sforzo bellico.

Temo che proprio ad Hitler rinchiuso nel bunker della Cancelleria o a Mussolini isolato dal mondo nella villa di Gargnano ci si debba rifare per comprendere quel che avverrà nei prossimi mesi. Per il PdL, Berlusconi è assai di più che un normale presidente o segretario; è il padre padrone del partito, l’eletto da Dio che non può, per definizione, commettere errori. Di più; come nei peggiori regimi, Berlusconi, profondamente insicuro di se stesso e costantemente timoroso d’essere messo in ombra, si è circondato di crociani servi entusiasti, ma non di collaboratori.

Nessuno, tra quelli rimasti nel suo entourage, ha il coraggio di criticarlo apertamente; figuriamoci se vi può essere qualcuno capace di proporsi, apertamente, di sostituirlo. I Bottai ed i Grandi se ne sono già andati dal Pdl; sono rimasti gli Himmler ed i Goebbels: cercheranno la propria salvezza politica personale e abbandoneranno il Capo (i Capi finiscono sempre soli) ma lo faranno solo all’ultimo minuto quando il rischio di lasciare Berlusconi sarà minore di quello di restargli a fianco.

Berlusconi verrà estromesso dal potere solo da una sonora sconfitta elettorale alle prossime elezioni. Quando saranno? Quando la sua maggioranza parlamentare non sarà più; accadrà presto, forse già nei prossimi mesi o quest’autunno, quando gli ultimi suoi acquisti, quelli a lui meno legati e che ancora non hanno intrecciato indissolubilmente la propria sopravvivenza politica con la sua, saranno anche tra i primi ad andarsene.

I primi segnali ci sono già e forti.

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