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Di Pietro e Belpietro: censura di Stato

Di Pietro e Belpietro indagati per "vilipendio".

Il senatore Antonio Di Pietro e il direttore di "Libero" Maurizio Belpietro sono indagati dalla procura di Roma per il reato di "vilipendio" al capo dello stato Giorgio Napolitano (fonte: www.ansa.it/).

Di Pietro sarebbe colpevole di aver affermato, in occasione dell’approvazione dell’ultimo condono fiscale, che Napolitano, firmando tale legge, avrebbe compiuto "un atto di vilta’ e di abdicazione".

La colpa di Belpietro è invece quella di avere scritto un articolo di fondo sul giornale che dirige. In tale scritto, (che essendo l’ "editoriale" presuppone appunto la manifestazione di un’opinione, di una convinzione, non di un fatto), dal titolo "la dignita’ dello stato non vale un fusillotto", si sosteneva che fu fatto ritardare il rimpatrio dei soldati italiani recentemente caduti a Kabul per consentire il normale svolgimento della visita presidenziale a Tokio, dove Napolitano si trovava in visita.
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Ora.

Se avessero denunciato Di Pietro, visto come coniuga i verbi, per vilipendio della lingua italiana lo avrei, al limite, capito....

Se avessero perseguito Belpietro per il disonore di capeggiare un foglio d’ordini che si è sommamente disonorato con le pubblicazioni delle squallide menzogne prezzolate (e sottolineo quel "prezzolate") del suo vicedirettore Renato Farina alias "agente Betulla", lo avrei capito.

Constatare invece che in Italia nel 2009 è ancora possibile, e nella prassi comune, denunciare qualcuno, indagarlo, trascinarlo in tribunale e magari farlo condannare, soltanto per il fatto di avere manifestato delle opinioni, è cosa che fa (o dovrebbe far) riflettere.
 
Colpire qualcuno per l’espressione delle sue idee è l’essenza stessa della censura.

Punto.

Ci sono mille modi, mille ragioni, mille giustificazioni per implementare la censura. Dal divieto delle parolacce ai bambini sino alla "lesa maestà ", passando per assocazioni, enti, partiti, ciità nazioni, continenti, ogni gruppo sociale dominante non resiste alla tentazione di avvantaggiare certe idee "ortodosse" e ostacolarne altre "non organiche" al gruppo sociale stesso.

Che si chiami pomposamente index librorum prohibitorum o meno prosaicamente "codice deontologico/di autoregolamentazione/politica editoriale" eccetera, che si tratti dell’ "autocensura" per fare carriera in redazione, che si tratti dell’istruttoria ministeriale su un programma tv (vedi Scajola/AnnoZero), si tratta sempre del controllo di una (pretesa) autorità sul libero pensiero critico, seempre pericoloso per qualsiasi potere. 

A tutto ciò, per brevità, è stato dato il nome di censura.
 
La radice del problema, semplificando molto, nasce dal fatto che a nessuno piace passare per censore, specie i censori.

Quindi ogni gruppo, che sia una bocciofila o uno stato, è costtretto a concedere un certo margine di libertà ai suoi componenti (soci, sudditi o cittadini che siano).
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La domanda è: "quanta libertà di espressione si può concedere?"

Ed è una domanda alla quale non si è ancora trovata una risposta minimamente condivisa.


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Negli Stati Uniti una sentenza della Corte suprema afferma inequivocabilmente che in nessun caso è ammessa la querela per un’opinione che si ritiene diffamatoria perché, come disse il giudice Powell, "in base al Primo Emendamento non esiste qualcosa come l’idea falsa". (Rodolfo Brancoli, "Il ritorno del guardiano" Garzanti , 1994, pag 120).

E basta vedere come, per esempio, i David Letterman o i Michael Moore strapazzano e "vilipendono", diremmo noi, le varie istituzioni e in primis il presidente americano stesso per notare delle differenze.

Moore, per esempio, ha esortato gli americani a ricoprire d’insulti l’ex presidente (guerrafondaio) Bush (attentialcine.blogosfere.it/2008/04/michael-moore-compleanno-e-sparate-as-usua) e non è stato indagato da nessuna procura.

Sotto questo aspetto siamo molto lontani dalla liberta’ di espressione degli USA.

In Italia, negli anni ’80, la censura del regime (partitocratico) denunciò e condannò Indro Montanelli "reo" di avere chiamato "padrino" il gerarca democristiano Ciriaco De Mita, che lo querelò e lo fece condannare. Per "diffamazione", naturalmente.

In anni più recenti la stessa censura colpì Marco Travaglio, "colpevole" di avere, in un celebre articolo dell’Espresso, evidenziato i legami tra la mafia e Forza Italia. Naturalmente Travaglio, come molti altri giornalisti, è stato condannato per "diffamazione" molte altre volte.

Sotto il profilo della (non) "liberta’ di espressione", l’Italia è molto lontana da paesi civili come gli USA ed è molto più simile a satrapie come, per esempio, l’Egitto del presidente Mubarak (grande amico del nostro) dove, non piu’ tardi del 2007 un blogger veniva condannato a quattro anni di galera per "vilipendio al presidente e alla religione".
 
Se non ricordo male il blogger (Kareem Amer) aveva paragonato la longevità politica del suo presidente a quella dei faraoni. un’opinione giudicata passibile di quattro anni di galera....
 
Come qui, dove osare dire che "firmare (per il rientro dei capitali forse mafiosi e comunque evasi al fisco) è un atto di viltà e abdicazione" , costa un processo.

Noi, sudditi di un regime dove persino il sito di Indymedia venne sequestrato per avere pubblicato un fotomontaggio (preso da un altro giornale) di Ratzinger in divisa nazista (come fu in gioventù), e dove il capo del governo è (sempre) capo della quasi totalità dei media, certo non tratteniamo il fiato per le sentenze che colpiscono il pensiero critico, in Egitto o altrove.

Il reato di "vilipendio", uno psicoreato che dal codice penale Zanardelli del 1889 non si riesce a espungere, anzi, è sempre piu’ utilizzato dai potenti.

Si denuncia, si intimidisce il giornalista (o il blogger) e poi si aspetta. Tanto non c’è nulla da perdere, per chi querela, anche se è in malafede, anche se si querela la pura verità o una legittima opinione.

Sarà anche per (psico)reati come il "vilipendio" ed il suo uso/abuso, che un ente come Freedom House colloca la libertà di stampa italiana ultima in Europa e 73esima al mondo?

Finché esisteranno reati come il "vilipendio", usati dal potere per circoscrivere e controllare le opinioni non ortodosse, non avremo mai una libertà di espressione degna di tale nome.

Altrimenti, col pretesto di punire gli eventuali abusi, il potere non si asterrà mai dal colpire il pensiero critico.

Come è sempre successo.
 
E succede ancora oggi.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.76) 14 ottobre 2009 10:28
    Damiano Mazzotti

    Codice Zanardelli e codice Rocco fascista costituiscono gran parte del nostro codice penale..

    Il conservatorismo va bene per i prodotti gastronimici non per le società...

    Siamo davvero penosi noi italiani: da soli non siamo capaci di rinnovarci..

    Abbiamo bisogno dei fucili degli altri o delle crisi economiche mondiali...

    Quando i cardinali e i papi andranno vestiti come i comuni mortali forse le cose cambieranno..

  • Di e.b. (---.---.---.210) 14 ottobre 2009 11:30

    Io credo che il vero ’villipendio’ è dato dalle esternazioni e dal modo di comportarsi del (purtroppo) nostro "migliore primo ministro degli ultimi 150 anni".
    Il suo " villipendio" è contro "tutti" gli Italiani ma è ..... di regime! .

  • Di Gianni Fantechi (---.---.---.103) 14 ottobre 2009 13:26

    attenzione che Farina è passato con Feltri al giornale, quindi non è vice di Belèietro a Libero.

  • Di Oloap (---.---.---.153) 14 ottobre 2009 15:01

    Maurizio,
    il reato contestato di vilipendio, secondo la sua accezione originaria, non limita in alcun modo la libertà di opinione ed espressione. Si parla di vilipendio quando nell’espressione viene usato un evidente e voluto disprezzo, è questa la connotazione che viene contestata.

    Parlare di "atto di viltà e abdicazione" potrebbe configurare un atteggiamento di disprezzo verso l’alta carica dello stato (cosa che verrà stabilita se il ministro Alfano darà il nullaosta a procedere, cosa che escludo). Che la libertà di opinione sia comunque garantita è dimostrato dal fatto che lo stesso concetto poteva essere facilmente espresso in termini meno "carichi".

    • Di maurizio carena (---.---.---.230) 14 ottobre 2009 17:00
      maurizio carena

       caro Olap,
       la mia prosa e’ veramente limitata e i miei ragionamenti evidentemente privi di argomenti se riescono ad arrivare commenti come il tuo.

       "VILIPENDIO", etimologia latina: composta da "vile" ( vile, da disprezzare) e "pendere" (considerare). Quindi si puo’ tradurre con "manifestazione verbale di disprezzo".
       Ma attenzione: nei confronti, e soltanto nel caso, di disprezzo contro chi e’ in alto (regime, istituzioni, gerarchie clericali) da parte di chi sta in basso.

       Tale PSICOREATO, e’ un "reato d’opinione" anzi, IL reato d’opinione per eccellenza.

       Con tale PRETESTO ogni governo e ogni regime (come il nostro, per esempio) e’ libero di condannare e/o minacciare qualunque espressione di pensiero non organica al sistema.
       E’ per tenere a bada quello che la tradizione liberale occidentale chiama "il gregge confuso", "la massa suina", che esiste tale psicoreato.

       Quando, giustamente, i dissidenti dei regimi stranieri vengono accusati dello stesso reato i mainstream di regime nazionali difendono a spada tratta la "liberta’ di espressione" specie in chiave anticinese, antivenezuelana, anticubana, antinordcoreana, eccetera.
       Eppero’.
       Quando i dissidenti sono interni, quegli stessi mainstream sovvenzionati dal regime stesso, invertono la rotta di 180 gradi.
       Chissa perche’ troviamo scandaloso che gli studenti, poniamo, iraniani che criticano il loro presidente vengano processati (e condannati), mentre lo stesso standard non vale se i dissidenti sono interni e il presidente e’ uno degli organi del regime (domestico) che si vorrebbe criticare.

       Col tuo argomento sarebbe d’accordissimo qualsiasi dittatore.
       Perche’ mica nessuno vuole passare da tiranno. Serve sempre un simulacro di "liberta’ di espressione".

      Ogni costituzione al mondo nomina, piu’ o meno il diritto alla liberta’ di espressione, in generale. Poi, se vai a vedere piu’ da vicino scopri che ti fottono coi commi, con le leggi e leggine peggio se discrezionali come nel caso del vilipendio.
       
       Capisci perche’ quello del "vilipendio" e’ un anacronismo del passato che solo un popolo di telericoglioniti come noi riusciamo a tollerare?

       Se non fossimo un regime, sempre piu’ strutturato e totalitario, i reati d’opinione NON dovrebbero semplicemente esistere.( Men che meno il vilipendio, che dipende dall’arbitrio del giudice).
       Il fatto che tali "reati" esistano corrobora, se mai fosse necessario, l’evidenza che viviamo in un regime.
      Il fatto che gli italiani lo sopportino dimostra che la maggioranza dei sudditi e’ priva di qualsivoglia consapevolezza, cultura, dignita’. Dei servi, nella miglior tradizione "francia o Spagna, basta che se magna".

       Del resto, quando uno come Minzolini puo’ pubblicamente dichiarare che lui ha sempre dato tutte le notizie, senza che nessuno gli sputi in faccia, dice in che paese viviamo.

  • Di pv21 (---.---.---.223) 14 ottobre 2009 19:58

    Troviamo del tutto normale essere preda di Untori della parola e diventare dei Travolti dalle informazioni. Ormai la "parola" è solo un suono, un mezzo per fare rumore. Più rumore fa e meglio è.
    (c’è di più ... => http://forum.wineuropa.it

  • Di roselina970 (---.---.---.226) 15 ottobre 2009 01:40

    Intanto cominciamo a liberarci di Berlusconi
    con il comitato spontaneo nato su Facebook e con completa autonomia da qualsiasi partito
    si sta organizzando il NO BERLUSCONI DAY
    iNFORMATEVI ED ADERITE:TUTTI A ROMA IL 5 DICEMBRE!!!

  • Di Oloap (---.---.---.45) 18 ottobre 2009 20:17

    Maurizio,
    sinceramente non pensavo che un semplice commento scatenasse una tale reazione. Mia mamma mi diceva sempre che se una cosa puoi dirla educatamente, usare la maleducazione è sempre sbagliato, anche se hai ragione. Questo è uno dei princìpi che guidano il mio modo di vivere, mi ci sono sempre trovato bene ed è in base ad esso che avevo valutato come sbagliato manifestare apertamente e volutamente disprezzo verso la prima carica dello stato.

    In sintesi, sono perfettamente d’accordo con l’abolire il reato (per le ragioni che citi), ma ciò non toglie che sia fondamentalmente sbagliato esprimere le proprie opinioni manifestando un qualsivoglia disprezzo.

    • Di m.c. (---.---.---.230) 19 ottobre 2009 19:40

        hai ragione,

       e’ piu’ educato fare come fa il potere,

       che stermina vilaggi e lo chiama "esportare la democrazia",

       che fa il lavaggio del cervello e la chiama "informazione",

       che fa le leggi piu’ razziste dell’occidente e le chiama "integrazione",

       che distrugge la scuola e la chiama "riforma scolastica",

       che prezzola criminali dell’informazione, e chiama tale corruzione di stato "aiuti all’editoria"...

       e si potrebbe continuare.

       IO DISPREZZO QUESTO REGIME, LA SUA IPOCRISIA E I SUOI ESPONENTI. LI DISPREZZO SOMMAMENTE.

       E quando tale grido, soffocato dal regime, riesce a fare in qualche modo breccia in questo sistema marcio non posso che esserne contento.
       
       Il regime usa il reato di VILIPENDIO solo per soffocare la dissidenza.
       Spero che tu, ora, lo abbia capito.
       
       Chi scrive, di questi tempi, combatte.
       Combatte contro una dittatura, una videocrazia piduista e razzista sempre piu’ radicata.

       Le parole, oggi, sono bombe, sono fucili e pistole, e internet sono le montagne dei nuovi partigiani.

       Si combatte. Lo capisci questo?

       Capisci perche’ bisogna alzare la voce e anche di molto.
       Chi, in tempi di dittatura, non alza la voce, non combatte, non e’ una persona educata. E solo un VIGLIACCO.

       Sappi che la rivoluzione NON e’ un pranzo di gala.


       

       

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