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Dabiq, il mensile dello Stato islamico

Copertina

(di Alessandra Fabbretti)

I vertici dell’Is sanno che per rafforzare il neo-califfato le armi non bastano. È indispensabile un’efficiente strategia di comunicazione, di cui Dabiq, la rivista ufficiale del gruppo, è parte integrante.

Giunta alla sua sesta pubblicazione, svolge in primo luogo la funzione di definire con precisione l’identità del movimento e ritagliargli così un posto nel variegato universo dei movimenti islamisti. In secondo luogo, serve a incoraggiare i musulmani di tutto il mondo ad aderire al jihad del califfo al Baghdadi per ingrossare le fila dei combattenti, e per popolarne i confini.

Viene quindi diffusa gratuitamente online e in diverse lingue (oltre all’inglese, le principali traduzioni sono in arabo, francese, tedesco e russo) e, inserendo il titolo come chiave di ricerca su Google, è possibile scaricarla da vari siti web.

Dovendo rivolgersi ai musulmani convertiti o residenti in Occidente, ha una linea editoriale prossima a quella dei principali magazine di questi Paesi. L’impaginazione e la grafica sono di qualità elevata, mentre gli articoli sono ricchi di foto ben fatte, mai sfocate, e che ricordano le scene dei film d’azione di Hollywood, o i più diffusi videogames di guerra: esplosioni spettacolari, uomini che imbracciano fucili d’assalto sprezzanti del pericolo, prigionieri inginocchiati che attendono la morte.

La propaganda islamista passa anche attraverso la scelta del nome: Dabiq è una piccola cittadina nel nord della Siria, che un celebre hadith indica come il luogo in cui le armate di Allah incontreranno nel giorno del giudizio i Romani (definiti in seguito anche “Crociati”, ossia i cristiani e gli occidentali in senso lato), e li sconfiggeranno, sancendo il trionfo definititvo dell’Islam sul mondo. Nella realtà, questa profezia si è in parte realizzata nel 1516, quando Dabiq è stata teatro della battaglia finale tra l’esercito Ottomano e i Mamelucchi. Questi ultimi uscirono sconfitti, e ne seguì l’affermazione dell’Impero Ottomano, l’ultimo califfato ad essere stato riconosciuto. È facile quindi capire quanto potente sia la valenza simbolica di un simile luogo nell’immaginario dei popoli arabo-islamici, soprattutto in chiave anti-occidentale.

E per dimostrare che la profezia di quello hadith potrà ripetersi una seconda volta, i portavoce dell’Is citano spesso questo luogo nei loro video ufficiali. Dall’analisi di queste dichiarazioni è emersa la chiara volontà di spostare in quella cittadina di tre mila anime lo scontro con la coalizione occidentale capeggiata da Washington. All’indomani dell’assassinio dell’attivista americano Abdul-Rahman Kassig, ad esempio, il jihadista incappucciato diceva alla telecamera: “Eccoci, stiamo seppellendo il primo crociato americano di Dabiq, e attendiamo con impazienza l’arrivo del resto del vostro esercito”. Sullo sfondo, il panorama della città siriana, mentre la testa del prigioniero giaceva a terra.

I contenuti della rivista consistono anche in questo: immagini cruente e stralci di discorsi tratti dai video delle esecuzioni e dei proclami, aggiornamenti sulle battaglie (vincenti) e le conquiste, o scene della vita quotidiana dei jihadisti. Vengono riportate anche interviste ai combattenti, o approfondimenti di tipo politico e religioso con i quali, citando versetti del Corano, hadith e frasi di autorevoli dotti dell’Islam, si vuole giustificare l’esistenza del califfato, e del progetto di estendersi al resto del mondo. Tutto questo è utile a rafforzare, da un lato, l’aura di “pericolosità” e invincibilità, ma anche a dotare il neocaliffato di una certa reputazione: vuole imporsi come la voce più autorevole rispetto a tutte le altre, che si tratti di eminenti università islamiche come l’egiziana al Azhar, fino alle formazioni “concorrenti” come al Qaida e al Nusra.

Accanto a questi articoli di analisi, lunghi anche più di cinque o sei pagine, si affiancano reportage “leggeri”, composti da foto a tutta pagina con brevi didascalie esplicative.

Molto importanti sono le voci di dissidenti occidentali che appoggiano l’Is e spiegano le ragioni che li hanno spinti a lasciare i propri Paesi, oppure quelle dei combattenti, che testimoniano il loro impegno e i motivi che li hanno portati a rischiare la vita per la causa. Le analisi di politica estera, in cui si illustrano tutti gli attori, statali e non, con cui l’Is deve o vuole confrontarsi, e i rispettivi interessi, sono puntuali e testimoniano un buon livello di conoscenza della materia da parte degli autori, le cui firme però non sono mai riportate.

Il mensile si preoccupa infine di fornire informazioni sulle attività svolte sul territorio: l’obiettivo è quello di dimostrare che, una volta conquistati, i territori caduti sotto il vessillo nero ritrovano pace e prosperità. I mercati pullulano di gente e prodotti, gli ospedali assistono i pazienti a pieno ritmo, le strade sono sicure perché protette dalla Polizia islamica, e un clima di fratellanza e armonia regna tra gli abitanti.

Un’ultima osservazione: al termine del quinto numero compare la foto di un gruppetto di bambini tra gli 8 e 12 anni in tuta mimetica. La notizia che i jihadisti arruolino ragazzi al di sotto dei 13 anni è stata resa nota già da un rapporto Onu di agosto, che non fornisce tuttavia una stima precisa del fenomeno. Le donne, invece, non compaiono mai.

Di loro non c’è assolutamente traccia, né che si tratti di musulmane, né di infedeli e, se sono comprese in una foto, il loro volto è oscurato.

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