• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Da Glauco Mauri a Beckett. Da Krapp a Senza parole

Da Glauco Mauri a Beckett. Da Krapp a Senza parole

È un omaggio all’intenso lavoro di Beckett quello che Glauco Mauri e l’inseparabile Roberto Sturno hanno portato in scena al Teatro Nuovo di Napoli.

Primo interprete italiano de L’ultimo nastro di Krapp e di Atto senza parole, Glauco Mauri torna a distanza di oltre vent’anni con Da Krapp a Senza parole, nuovo allestimento della compagnia Mauri-Sturno che ripercorre con il prologo e quattro atti unici di Samuel Beckett, la profondità del lavoro dell’autore irlandese, premio Nobel per la letteratura del 1969.

È proprio attraverso il prologo che lo stesso Beckett parla al pubblico: danno voce alle sue dichiarazioni Glauco Mauri e Roberto Sturno in una versione clochard, richiamando subito alla mente i famosi Vladimiro ed Estragone che invano aspettano Godot. I due attori, sbucando da bidoni della spazzatura, ricordano quelli che sono i pensieri più significativi tratti dall’opera beckettiana.

Con Respiro assistiamo a trenta secondi di non-azione in cui il palcoscenico è “cosparso di rifiuti eterogenei” come scrive lo stesso Beckett nella didascalia. Nessun attore, non una parola. Solo un vagito in lontananza seguito dopo pochi secondi da una respirazione forte che piano piano si fa sempre più debole, come la luce. Sintetizza così tutta l’angoscia dell’uomo per il mondo nel quale vive, un mondo devastato o prossimo alla devastazione atomica in cui la società rimane inerte.

In Improvviso dell’Ohio, testo scritto per l’Università Columbus dello stato dell’Ohio per festeggiare i settantacinque anni di Beckett, i due protagonisti dalle lunghe parrucche bianche sono seduti ad un tavolo: uno dei due legge un libro all’altro per aiutarlo a sopportare il dolore per l’assenza della misteriosa donna di cui si parla nel testo.

Ma sono indubbiamente gli ultimi due atti unici, brevi ma intensi, che meglio ci fanno avvicinare al mondo interiore del drammaturgo irlandese e al suo tentativo di esplorare l’esistenza umana.

È l’uomo beffato e ingannato dalla vita quello che Roberto Sturno interpreta in Atto senza parole. Anche qui, come lo indica il suo titolo, non esiste un copione. Solo corpo e mimica per descrivere la condizione esistenziale dell’individuo che, dopo vari tentativi infruttuosi, viene ingannato dalla vita: prima mette a sua disposizione i mezzi per soccorrerlo e poi lo delude. Sollecitato dal suono di un fischietto e da oggetti calati dall’alto (una palma, un paio di forbici enormi, una brocca d’acqua, cubi di varie dimensioni), Sturno rappresenta lo scontro tra l’uomo e la vita, l’individuo che, nel tentativo di barcamenarsi nell’esistenza, anche quando decide di farla finita (gli viene calata una corda con la quale decide di impiccarsi), è nuovamente beffato dalla vita. All’uomo non resta che la voluta solitudine, l’indifferenza e il rifiuto. Sturno regala qui al pubblico una recitazione pulita scandita da movimenti esperti e dalla forza allusiva della pantomima.

Glauco Mauri sarà poi il protagonista dell’ultimo atto unico, come a completare il quadro dei derelitti umani che raffigurano la visione angosciosa del mondo di Beckett. Mauri è Krapp, il vecchio che per tutta la vita, incollato ad una scrivania, registra su nastro i suoi pensieri, le sue divagazioni. In L’ultimo nastro di Krapp, il protagonista ascolta infatti una volta ancora una bobina registrata moltissimi anni prima: la sera del suo trentanovesimo compleanno. Dal nastro si evince tutto l’entusiasmo giovanile per una possibile vita futura. E così riaffiorano persone, visi sbiaditi dal tempo, sentimenti di un’epoca ormai passata. Ed è proprio adesso, una volta finita la bobina, che Krapp rimane inerte di fronte al fallimento di tutta una vita trascorsa nel buio della sua “vecchia tana”. Nella sua interpretazione, tra follia, miseria e angoscia, Mauri presenta al pubblico un Krapp ai limiti tra il grottesco e il comico - “Non c’è niente di più comico dell’infelicità” diceva Nell in “Finale di partita” al suo interlocutore. Parla dell’uomo e della sua fatica a vivere.

“Far capire al pubblico che non è Beckett difficile e complicato, ma difficile e complicata è la vita. La vita che Beckett pur nella sua angoscia, ha saputo raccontarci con una sotterranea ma struggente pietà. Questo vogliamo esprimere con il nostro spettacolo, questo è il nostro desiderio”.

Solo alla fine però, una volta che termina la bobina e le luci si spengono, il pubblico capisce quanto quella registrazione (fatta in realtà nel 1961 dallo stesso Glauco Mauri-Krapp per la regia di Franco Enriquez), che l’attore sorridente presenta al pubblico tra gli applausi, sia importante. E’ la voce proveniente dal passato di un giovane Glauco Mauri che il vecchio Krapp ascolta turbato.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares