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Crisi economica. La malattia e la sua cura: l’individualismo e i suoi limiti

"Si tratta di ridefinire quali siano i valori di fondo in base ai quali gli individui sono giudicati; assegnare il premio ultimo dell’umano competere, la considerazione sociale, non a chi ha di più, ma a chi più contribuisce al benessere della comunità in cui opera".

La malattia che affligge l'Italia è certo stata aggravata dall'incapacità della nostra classe dirigente, ma non è certo un morbo solo italiano e rivolgere tutta la nostra attenzione a Silvio Berlusconi ed alla sua cricca non ci aiuta a comprenderne le cause o ad individuarne la cura.

E' un modello di economia, anzi di umanità, quello che sta attraversando crisi che, se non è terminale, è la campana a martello che annuncia come la sua fine sia ormai dietro l'angolo.

E' soprattutto un invito, l'ultimo forse, alla borghesia perché ridefinisca se stessa prima ancora che il proprio ruolo.

Non può più pensare che basti l'accumulazione di ricchezza a giustificare la propria esistenza; soprattutto si sono raggiunti i limiti oltre i quali non è possibile alcuna ulteriore accumulazione.

L'individualista feroce che si accontenta di uno stato garante delle proprietà privata, il borghese hobbesiano per così dire, e valuta se stesso e gli altri solo in funzione della fortuna accumulata è, proprio mentre trova nuova e più alta voce con i Tea Party d'oltreoceano, ai suoi ultimi giorni.

Un simile atteggiamento spinge l'economia alla crescita continua ed a richiedere sempre più elevati margini di guadagno per i propri investimenti. Necessita di sempre nuovi mercati da sfruttare: di sempre maggiori risorse naturali da trasformare e di masse sempre crescenti di consumatori da soddisfare.

Se si comprende questo appare chiaro come la globalizzazione sia stata, almeno nella sua prima fase che si sta concludendo proprio ora, la fase finale del processo d'espansione del capitalismo che è passato attraverso il colonialismo e l'imperialismo.

Le colonie, sono state le basi di una borghesia commerciale europea - parlo delle colonie olandesi e britanniche, innanzitutto - che cercava di remunerare maggiormente il proprio capitale attraverso nuovi traffici.

Gli imperi coloniali sono stati la risposta alla necessità della borghesia industriale di fine ottocento di trovare nuovi mercati per i propri prodotti oltre che le materie prime per realizzarli.

La globalizzazione è il risultato della necessità della borghesia finanziaria occidentale di trovare investimenti sempre più redditizi; in questa fase dell'espansione del nostro individualismo, agli avventurieri che aprirono l'Africa ai nostri commerci e conquistarono l'India si sono sostituiti i capitali di ventura.

Ognuna delle fasi precedenti di questa espansione è terminata quando ha esaurito le possibilità del pianeta, quando basi commerciali europee erano ormai ovunque e, poi, quando il mondo era stato completamente suddiviso tra gli imperi coloniali delle varie potenze europee.

Questa fase sta terminando in modo analogo. Non ci sono più mercati sottosviluppati da invadere con i nostri capitali; è vero addirittura il contrario: sono le ex periferie ex povere del nostro individualismo ad avere un eccesso di capitali da investire.

Ancora una volta abbiamo raggiunto i limiti planetari della nostra economia basata sul più e dobbiamo pensare ad una sua riconversione; per la prima volta ci troviamo, però, nell’impossibilità di conservare le nostre vecchie regole, di seguire le nostre antiche motivazioni. Farlo vorrebbe dire accettare un inevitabile destino di periferia; essere, per il resto del mondo, quel che il resto del mondo è stato per noi negli ultimi quattro secoli.


O mettiamo una pietra tombale su questo modo d’intendere l’ individualismo o questo metterà una pietra tombale su di noi.

Dobbiamo creare un’economia basata sul meglio; che garantisca a noi e ai nostri figli e nipoti la più alta qualità possibile della vita.

Questo, la qualità della vita, dev’essere il parametro fondamentale rispetto al quale vanno giudicate le scelte per il futuro; avere di più (più automobili, più telefoni e, soprattutto, più soldi) deve smettere d’essere la nostra prima preoccupazione.

Mi ostino a parlare di borghesia e del suo ruolo cosi come credo che l’individualismo sia una delle caratteristiche positive dello spirito occidentale.

Non sono affatto in contraddizione.

Continuo a pensare che l’individuo sia alla base di qualunque progresso e che gli individui che meglio sanno abbinare pensiero ed azione (e questo e non altro è, in campo economico, la borghesia) svolgano naturalmente, sia o no riconosciuto dalle istituzioni, un ruolo guida nella società.

Si tratta di ridefinire quali siano i valori di fondo in base ai quali gli individui sono giudicati; assegnare il premio ultimo dell’umano competere, la considerazione sociale, non a chi ha di più, ma a chi più contribuisce al benessere della comunità in cui opera.

E' necessario temperare l’individualismo assegnando un valore ad ogni uomo in quanto tale, indipendentemente da quel che ha o fa; bisogna smettere di considerare la società come l’hobbesiana congrega di potenziali assassini, tenuti a bada solo dalla forza della legge, per restituire al termine il suo significato etimologico: gruppo di soci vogliosi di cooperare, ognuno con le sue capacità, per il conseguimento del bene comune.

Dobbiamo, in poche parole, conservare il meglio del liberalesimo e recuperare la lezione socialista, dimenticata dopo decenni di stupida propaganda del peggior e più ottuso individualismo.

Pare difficile? Impossibile?

Un modello reale l’abbiamo: è quello delle socialdemocrazie scandinave.

L’occidente deve riuscire a diventare simile a quei paesi (meglio:simile a quel che quei paesi avrebbero voluto essere) o avrà un futuro miserabile.

Io continuo ad essere pervicacemente ottimista: per riuscire in questa trasfomazione, in fondo, dobbiamo solo rieducare noi stessi a vivere meglio.



 

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.7) 20 agosto 2011 19:56

    Come fare cosa >

    L’economia occidentale non tiene un passo deciso.
    Noi arranchiamo sotto il peso di 1900 miliardi di Debito.
    A fine anno il nostro PIL sarà ancora al 95% di quello ante crisi del 2007.
    Senza un tasso di crescita sul 2% neppure con una manovra da 110 miliardi eviteremo altri “sacrifici”.

    Prioritario è definire le misure e gli interventi necessari a rilanciare sistema produttivo e consumi interni. Trovare le risorse sufficienti è il primo obiettivo da perseguire ad ogni costo.
    Bisogna poi liberarsi di gran parte di quella enorme “zavorra” costituita da evasione e da corruzione, dai costi, dai privilegi e dagli sprechi della macchina pubblica.

    Fissati questi obiettivi, rispettata l’equità sociale, chiedere “sacrifici” ai cittadini avrà un senso. Solo così la manovra da 110 miliardi (o forse meno) avrà uno scopo credibile e duraturo.

    Il tempo è galantuomo. Non cancella le Voci dentro l’Eclissi di uomini esempio di coerenza, rigore e impegno civile …

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