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Considerazioni sul fine pena e sulle marachelle di mio figlio

Nel principio costituzionale secondo il quale le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, mi pare sia contenuto l’unico scopo della stessa pena. Si potrebbe considerare l’ipotesi di un fine pena che coincida con la rieducazione del condannato?

Prima di correre il rischio di provocare qualche equivoco che possa disturbare la comprensione di questo pezzo, da parte di chi avrà la pazienza di continuare questa lettura, devo dire che mio figlio, alla sua età di poco più di due anni, non ha condanne penali e pertanto non sta scontando alcuna pena detentiva. Eppure, proprio da lui mi è balzata alla mente un’osservazione in merito alle condanne penali ed al discorso del fine pena.
 
Qualche giorno fa mio figlio ne combina una delle sue. Ci mancherebbe che non facesse alla sua età. Ma insomma, non è che l’educazione data dal genitore può cominciare dopo l’infanzia e quindi alle marachelle qualche volta segue una punizione, che non mi piace mai dare, mi rattrista ed infatti dura in genere il tempo di un “papàaaaa…” detto con occhietti da cerbiatto, come si dice. Ma, a parte le mie debolezze, l’altro giorno, dicevo, mio figlio ne combina una delle sue, butta a terra la pappa della sorellina di sette mesi, così, per giocare e io lo mando in camera sua. Lui non piange, non dice niente, si avvia mortificato verso la sua camera e si mette supino sul letto.
 
Quando passo per il corridoio per prendere straccio e scopettone per pulire, lo vedo allungato, con la testa sul cuscino e gli occhi aperti, come se stesse ripensando alla sua marachella. Entro nella sua stanza, mi avvicino e lui chiude gli occhi, forse finge di dormire. Esco dalla cameretta e lui rimane lì, in silenzio e occhi chiusi. Mi rendo conto che ha capito di aver fatto una cosa che non doveva e così torno da lui e gli chiedo “Si butta la pappa della sorellina?”, e lui “No”, “Lo fai più?”, “No”, “Però adesso chi pulisce?”, “Io”. Certo, non è che ha fatto il Cenerentolo, ma solo il gesto di raccogliere la pappa da terra. Da qui la riflessione. Io l’ho mandato a letto per dargli una punizione per la sua marachella, ma per quanto tempo sarebbe dovuta durare? Tutto il pomeriggio o mezz’ora? Io l’ho fatta durare il tempo che lui capisse che quella cosa non avrebbe dovuto farla.
 
Mi rendo conto che si tratta di un metodo che non può essere trasposto pari pari alla giustizia ordinaria, che da una parte si tratta di marachelle e dall’altra di reati, che la pappa buttata per terra non è paragonabile ad una rapina a mano armata. Ma tra la mia funzione di genitore e quella dello Stato forse l’accostamento educativo può essere fatto.
 
La mia punizione a mio figlio e la punizione che lo Stato infligge a chi commette reato, hanno, al netto di tutte le differenze evidenti, lo scopo di educare. Nel principio costituzionale secondo il quale le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, mi pare sia contenuto l’unico scopo della stessa pena. Si potrebbe considerare l’ipotesi di un fine pena che coincida con la rieducazione del condannato?
 
Mi rendo conto che si possa correre il rischio di subordinare la condanna ad un eccesso di discrezionalità di un giudice, né mi permetto la presunzione di un approccio filosofico al diritto penale. Non ho competenze dal punto di vista procedurale e tanto meno ho sufficienti basi per filosofare. Parlo da cittadino. E da cittadino qualsiasi, che ha il diritto a vedersi tutelata la propria incolumità dallo stesso Stato che ha il dovere di rieducare un condannato. Bene, da cittadino e guardando anche egoisticamente alla mia incolumità, mi sentirei molto più garantito se un detenuto finisse di scontare la sua pena dopo quella rieducazione richiamata nella Costituzione, anziché se un condannato scontasse tutti i suoi vent’anni per un omicidio senza che lo Stato abbia assolto al proprio dovere rieducativo. Se fosse considerata in questo senso la certezza della pena? Forse sarebbe molto più efficace e non avrebbe quell’approccio vendicativo oggi troppe volte riconoscibile in certi discorsi politici che, mentre dicono di interpretare le paure ed i sentimenti della ggente (con due g), in realtà le paure le creano ed i sentimenti, spesso d’odio, li provocano.
 
Ma la scelta di poter considerare il fine pena legato alla rieducazione del detenuto, oltre le probabilmente tante implicazioni per me difficilmente immaginabili, costringerebbe lo Stato ad adottare pene alternative al carcere, e nell’assolvere al suo dovere rieducativo del condannato, a rinunciare, oltre che alla pena dell’ergastolo, anche alla bramosia di coercizione che lo porta ad esempio a costruire sempre più carceri. Ma questa è un’altra storia. O forse no.

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