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Congresso Pd. Segretario e candidato Premier: la barzelletta dell’articolo 3

Quello, dello statuto del partito, che fa concidere la figura del segretario con quella di un fantomatico "candidato Premier".

Il congresso si terrà l’8 dicembre. Questa la storica decisione presa dai delegati dopo due giorni di dibattito. Preso atto che, secondo le cronache, a Gianni Cuperlo sarebbe toccato l’applauso più lungo, chi non avesse una spiccata predilezione per la metafisica, potrebbe non interessarsi oltre all’Assemblea del Partito Democratico. 

Potrebbe se, tra un inno al “cambiamento” e l’altro, cercando qua e là per trovare l’anima del partito, i delegati non avessero messo in discussione anche l’articolo 3 del suo statuto: quello che stabilisce che il segretario debba anche essere il candidato Premier.

Altrove troverete di che dilettarvi, se vi premono le ragioni per cui Bindi e i veltroniani lo difendono strenuamente, o volete sapere in che modo questa questione s’intreccia a quella della durata del governo Letta.

Il punto è che quell’articolo, sia confermato o no, è una vera e propria presa in giro degli elettori, come del resto sarebbe qualunque norma che mirasse ad indicare qualcosa più del “piddino cui gli altri piddini preferirebbero fosse assegnato l’incarico di formare un nuovo governo, nell’ipotesi che la coalizione comprendente il partito vinca le elezioni, sempre che gli altri alleati siano d’accordo e ammesso che il Presidente della Repubblica ritenga che rappresenti la scelta più opportuna”.

E non basta, perché questo incaricato potrà cominciare a governare solo dopo aver ottenuto la fiducia del Parlamento. E anche così, sarà sempre e solo un presidente del Consiglio: in carica, assieme al proprio governo, solo fino a quando continua a godere di quella fiducia.

Il Premier, eletto direttamente dai cittadini, ed in carica a prescindere dalle maggioranze parlamentari, è tutt’altra cosa. Usare quell’espressione per indicare il nostro presidente del Consiglio, sarà più sintetico, lusingherà la vanità dell’unto del Signore di turno, ma è soprattutto indice dell’analfabetismo istituzionale di questi decenni.

Al PD va riconosciuto il merito storico dell’introduzione delle primarie di collegio per la nomina dei candidati al Parlamento; una restituzione di sovranità ai cittadini che dovrebbe essere condizione minima, allo stato delle cose, per riconoscere un patente di piena democraticità ad una forza politica.

Di questo, auspicando che dalle primarie debbano un giorno passare proprio tutti, non possiamo che essergli grati. Sentire i suoi dirigenti parlare tanto alla leggera di premierato, però, oltre a suscitare molti dubbi quanto al loro realismo politico (ma pensate di prendere da soli il 51% dei voti? E chi era il vostro “candidato premier” alle ultime elezioni? E chi è, invece, il presidente del Consiglio?), preoccupa. E molto.

Non è una questione d’accademia. La Repubblica Italiana è nata parlamentare; ha al proprio centro il Parlamento, ed in base a questa geometria i Padri Costituenti disegnarono l’equilibrio dei suoi poteri.

L’introduzione surrettizia di elementi di presidenzialismo dentro questo quadro è la causa prima dello sfacelo della nostra democrazia: la Repubblica una paio d’anni fa si è quasi trovata ad avere un padrone.

Si vuole davvero avere un Premier? Si modifichi la costituzione in questo senso, ridisegnando i rapporti tra le istituzioni e, soprattutto, se non si vuole essere governati da un despota, limitando alle sole e gravi emergenze la possibilità di decretazione da parte dell'esecutivo.

Modifiche costituzionali da fare alla luce del sole, ad opera di un'assemblea costituente eletta col più puro dei sistemi proporzionali, nello spirito della Costituzione esistente.

Altro è solo fumo negli occhi, quando non vera e propria eversione.

 

Foto: Alessandro Capotondi/Flickr

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