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Conciliazione giudiziale: l’Italia deve adeguarsi all’Europa

La risorsa della mediazione per una società conflittuale e, soprattutto, per un Paese come l’Italia con milioni di cause in arretrato presso i tribunali. Il risparmio in tempo e denaro.

In una società con un altissimo tasso di conflittualità come la nostra, si hanno ogni giorno motivi e occasioni per vedere messi in pericolo i propri diritti. Ciò è dovuto dalla miriade di interessi che si contrappongono nel normale svolgimento delle relazioni sociali.

Ecco, dunque, la notevole possibilità che si verifichi una controversia tra il gestore di una lavasecco e la propria cliente, oppure tra un utente e la propria compagnia telefonica, e via discorrendo per tutti quei rapporti in cui ciascuna delle parti è chiamata a osservare l’adempimento di una prestazione o di un comportamento che non penalizzi l’interesse di un altro soggetto.

Se proviamo solo immaginare quanti possano essere i motivi di conflitto che si esplicano quotidianamente e che con ogni probabilità sono destinati a essere esaminati e giudicati da un tribunale, ci risulta fin troppo facile intuire che la mole di lavoro di un giudice ordinario è esposta a una consistenza fuori dal comune. Non è il caso di snocciolare dati, percentuali, numeri e statistiche; basti pensare che una causa per una banale lite tra condomini, prima di arrivare a un naturale epilogo, dura un tempo medio di quasi un decennio.

Se i condomini litiganti sono, per esempio, due anziani, l’eventualità di non riuscire a vedersi riconosciuti e ristorati i propri diritti per mezzo di una sentenza è più che mai attuale. Questo è uno – e non il solo – dei motivi per cui il nostro sistema di giustizia è tra i meno efficienti in Europa ed è tra i più sanzionati dell’Unione Europea.

L’Italia ha cercato di adeguarsi alla normativa europea in fatto di soluzioni alternative delle controversie. Lo scorso anno si è dato il via a un processo rivoluzionario nella gestione dei conflitti nel nostro Paese. Il decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28 ha rappresentato un caposaldo di questo processo nella risoluzione di controversie in diversi ambiti della materia civile e di quella commerciale.

Tralasciando le criticità tecnico-giuridiche che la normativa presenta e che sono al vaglio della Corte costituzionale, è d’uopo porre l’accento su una particolarità che emerge: la novità culturale rappresentata dalla mediazione, quale modalità alternativa della soluzione dei conflitti.

Nelle popolazioni anglosassoni la conciliazione, intesa come esito positivo in seguito alla mediazione di un professionista, terzo e imparziale rispetto ai soggetti coinvolti nella questione che li rende antagonisti, è un fatto consolidato nei secoli. Essa esprime la cifra della loro maturità civile nella pacifica convivenza dei cittadini. Gli aspetti positivi del metodo conciliativo sono, senza ombra di dubbio, l’economicità dei tempi e delle risorse economiche, riscontrabili nell’affrontare una controversia.

La soluzione di un problema tra due soggetti, infatti, è piuttosto rapida rispetto alle bibliche lungaggini che investono i tribunali e poco dispendiosa rispetto ai costi che un cittadino deve affrontare, facendosi difendere in giudizio da un legale. La mediazione non prevede il patrocinio obbligatorio di un avvocato. I soggetti ne sono gli assoluti protagonisti e i reali vincitori – in base alla logica vinci-vinci propria della mediazione – se alla fine si arriva a un accordo, cioè a una conciliazione.

L’aspetto più innovativo della conciliazione è, quindi, il fatto di rendere gli accordi raggiunti dai soggetti non solo soddisfacenti dei loro interessi, ma anche duraturi nel tempo, perché sono essi stessi che hanno dato luogo all’accordo, con l’importante ruolo giocato dal mediatore. Per questo la conciliazione è un importantissimo fatto culturale. Questa può, a ragione, essere assurta a strumento di pacificazione degli uomini nelle loro relazioni sociali.

Nel nostro Paese – anche per i motivi che prima dicevamo – c’è molto bisogno che questa cultura si propaghi, prenda piede e diventi un ricorrente habitus mentale del cittadino italiano. Il percorso è lungo e irto di ostacoli, ma la strada maestra è stata tracciata e seguirne la direzione è ormai una necessità non solo nei confronti dell’Europa, ma anche nei confronti di un progresso civile e culturale degli italiani.

 

(Nicola Marzo)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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