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Cina: l’arma moderna delle valute non basta a rilanciare l’economia mondiale

I governi delle grandi economie non riescono a trovare una politica comune per il rilancio dello sviluppo. La svalutazione della moneta sembra l’unica risposta disponibile. Sarà così? Intanto la Cina irrompe sulla scena internazionale seduta al tavolo di quelli che contano. Nessuna prospettiva di crescita può prescindere dalle decisioni del gigante asiatico.

Ad urne “ancora calde” le elezioni di medio termine consegnano ad Obama un Paese diverso da quello che nel 2008 gli era stato affidato come unica superpotenza superstite della guerra fredda. I maggiori timori degli americani che avevano creduto al sogno del “Yes we can” erano legati principalmente alla scarsa esperienza del primo presidente nero degli Stati Uniti in tema di politica estera. L’America che boccia oggi Obama è un’America spaventata, corrosa nella ricchezza della sua classe media, smarrita dall’impatto sul bilancio federale dei costi delle grandi riforme sociali e delle iniziative anticrisi intraprese dal governo.

Buona parte del mondo guarda al presidente USA ed alle sue iniziative future per capire quando e come si uscirà dalla recessione ed Obama, senza avere ancora i dettagli, riconoscendo la sconfitta, ha telefonato al leader repubblicano, prossimo speaker della Camera, per cercare una difficile coabitazione che guidi il Paese verso la ripresa economica.

Sfortunatamente la soluzione non sarà facile perché per la prima volta nella storia moderna le chiavi della soluzione della grande crisi economica mondiale non sono a Washington ma a Pechino. Solo la Cina infatti, può guidare un processo di cooperazione internazionale in grado di arrestare le tensioni monetarie attraverso la rivalutazione dello yuan. Il valore reale della divisa cinese è stimato dagli analisti internazionali tra il 20 ed il 40% al di sopra del livello attuale, pilotato artificialmente dal governo che usa le immense riserve di liquidità disponibili (oltre 2000 milardi di € il 40% del portafoglio mondiale). E’ proprio quello che l’America e gli altri paesi industrializzati chiedono con forza da tempo anche se proprio Obama ed altri stanno utilizzando lo stesso strumento per favorire le proprie esportazioni. La differenza sta nel pesante deficit degli Stati Uniti che ostacola la ripresa ed i consumi interni.

Questo è il nuovo fronte della crisi economica globale, l’ultima mutazione genetica dell’uragano planetario detonato prima con l’esplosione del mercato immobiliare, seguito via via dalla paralisi dei mercati finanziari, dalla contrazione degli ordinativi per l’industria e per ultimo dal deficit dei bilanci pubblici.

Senza una concertazione internazionale ed un accordo per una politica monetaria “amministrata” il rischio di una guerra commerciale messa in atto attraverso una svalutazione delle divise potrebbe avere effetti devastanti. Si profila un tutti contro tutti con schieramenti variabili a seconda delle circostanze. USA ed Europa polemizzano con la Cina, ma in privato la Germania accusa gli Stati Uniti di immettere liquidità per sostenere l’economia. I paesi emergenti in Asia ed in America Latina controllano le loro monete per restare competitivi.

Se, come sembra, tutte le grandi economie mondiali sceglieranno questo terreno di scontro assisteremo all’uso della moneta come uno strumento bellico del III millennio. I governi venderanno e compreranno valute (già oggi si scambiano 4000 milardi di $ al giorno) oppure svaluteranno la propria moneta acquistando titoli di stato. Il gigante asiatico principale accusato si difende invocando la necessità di una stabilità dello yuan che se si rivalutasse velocemente produrrebbe milioni di disoccupati in Cina che genererebbero disordini sociali ed un impoverimento del più promettente mercato di consumatori della storia. Inoltre, a sostegno delle proprie tesi, il governo di Pechino ricorda le conseguenze della svalutazione del dollaro negli anni ’80 che provocarono l’impennata dello yen e la conseguente stagnazione dell’economia giapponese che da allora non si è più ripresa completamente.

La vittoria dei repubblicani nelle elezioni americane non aiuterà dando coraggio ai falchi del Congresso che chiedono con forza ad Obama di assumere misure drastiche nei confronti della Cina bloccando l’acquisto cinese di titoli di stato americani e imponendo dazi alle merci asiatiche. D’altronde le statistiche dei porti statunitensi bagnati dal Pacifico parlano chiaro : Nei primi 9 mesi del 2010 sono arrivate merci in quantità superiore al totale del 2009.

La Cina si rende conto che le altre economie forti cercano di praticare la sua stessa politica e questo rafforza la sua convinzione di poter accettare al massimo una rivalutazione controllata dell’1-2% all’anno per consentire al suo sistema economico di consolidarsi. Tutto ciò è molto meno di quello di cui hanno bisogno gli altri paesi per rilanciarsi ed ognuno cerca soluzioni originali come il Brasile che sta negoziando con Pechino un sistema di cambio diretto tra real e yuan senza passare dal dollaro la svalutazione del quale ha danneggiato di recente il settore manifatturiero brasiliano. Ma il Sud America, nonostante il grande sviluppo e l’ingresso di Argentina, Messico e Brasile nel G20, rimane un continente ai margini tanto più a rischio in caso di tempesta monetaria.

Tutte le strade quindi, indicano Pechino come il crocevia della ripresa economica mondiale con la Cina sempre più protagonista principale delle decisioni che condizioneranno il futuro del mondo.

E’ paradossale ma la maggiore responsabilità per uscire dalla recessione è affidata al capitalismo selvaggio del più grande paese comunista della storia ed alla sua enigmatica autodefinizione “economia sociale di mercato”. Con buona pace della difesa dei diritti umani mentre non decolla una riflessione nuova tra sviluppo capitalista e progresso sociale in un mondo che non si domanda se la crisi dipenda solo dalla speculazione o anche dal corto circuito del nostro sistema economico dove si produce più di quello che si riesce a consumare.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.128) 9 novembre 2010 17:56
    Damiano Mazzotti

    Se gli Americani vogliono rimanere protagonisti della nuova economia devono investire meno soldi nelle tecnologie belliche e più soldi e uomini nel settore biotecnologico...

    Ma il problema finanziario rimane se non si decidono di far sparire i buchi neri della finanza creativa delle grandi banche commerciali che si sta mangiando tutta la liquidità che di solito permette di far mangiare aziende e famiglie...

    • Di fabiobartoli (---.---.---.17) 10 novembre 2010 09:08
      fabiobartoli

      Caro Damiano condivido la tua osservazione. E’ chiaro che l’articolo affronta un tema diverso partendo dall’analisi di due fatti: 1° Pressare la Cina perchè lasci oscillare la sua moneta liberamente significa non avere idee e raccomandarsi alla divina provvidenza 2° Agire in ordine sparso da parte nelle iniziative verso le economie emergenti significa ridurre fortemente il potenziale negoziale.
      Non vorrei che ancora una volta le economie forti pensino di poter imporre i loro interessi a Paesi coma la CIna l’India o il Brasile potrebbero, stavolta rimanere davvero delusi.

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