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Ciclismo - Pensieri "rotondi" su Giro, Tour, Coppi, Pantani...

 

Uno sport solo al comando: il ciclismo. Parliamo di letteratura. Il ciclismo ha fatto pedalare cronisti e inviati, elzeviristi e corsivisti, scrittori e poeti. Il ciclismo ha fatto decollare filastrocche e romanzi, biografie più o meno autobiografiche, poesie e leggende, annuari e almanacchi, manuali e trattati, insomma libri, fra verità e nostalgie, fra retrocorse e retroscene. Il primo nella classifica generale del ciclismo scritto è Fausto Coppi. Solo nel 2010, anno in cui si celebrava il cinquantenario della morte, su di lui si è pubblicata una ventina di libri. E non è ancora stata scritta la parola “fine”. Il Campionissimo è stato visto dalla parte della storia, dei gregari e degli avversari, della prima moglie, Bruna, e della seconda moglie, Giulia la Dama Bianca, dei figli Marina e Faustino. Per lui è stato fatto un libro su una sola tappa, la mitica Cuneo-Pinerolo del Giro d’Italia 1949, e un altro sull’ultimo mese di vita, il dicembre 1959. Dopo Coppi forse viene Marco Pantani, diviso, anche da morto, fra splendore e tragedia, fra miracoli e disfatte, fra salite e precipizi. Se posso citare un titolo e un autore, allora “ABICI” di Claudio Gregori, EditVallardi: un alfabeto di storie rotonde.

Fra Milano-Sanremo e Giro di Lombardia, i corridori preferiscono la Sanremo, forse perché la primavera è come l’alba e i sogni sono ancora freschi e l’autunno è come l’autunno e i sogni si sono trasformati in illusioni e delusioni.

Fra Parigi-Roubaix e Liegi-Bastogne-Liegi, i corridori preferiscono la Liegi, perché la Liegi è il piacere della sofferenza, invece la Roubaix è la sofferenza del piacere.

Fra Giro d’Italia e Tour de France, i corridori preferiscono il Giro, perché è una corsa più a misura d’uomo, umana ma non gigantesca, grande ma non colossale, e in cui ogni giorno è un altro giorno.

E poi i corridori preferiscono quella corsa nata come Eroica e diventata le Strade Bianche. Non solo per l’asfalto o lo sterrato, ma per tutto quello che c’è intorno, accanto, oltre. Le colline, le crete, i vigneti del Chianti e della Val d’Orcia. Fino all’arrivo, nel labirinto rinascimentale di Siena e nel traguardo spalancato di Piazza del Campo. Le Strade Bianche, che bianche non sono ma polvere o fango a seconda dei capricci del tempo, sono così antiche che rappresentano il futuro del ciclismo. Cioè: natura, silenzio, rispetto.

Ce ne ricordiamo solo ai Mondiali. Quando vincono, salgono sul podio e cantano l’Inno di Mameli. Che se lo avesse saputo, avrebbe composto “Sorelle d’Italia”, non più “Fratelli”. Le donne del ciclismo sono sempre di più. Giorgia Bronzini, di Piacenza, che si raddoppia fra strada e pista, due volte campionessa del mondo su strada, consecutivamente, come Paolo Bettini. Noemi Cantele, di Varese, che si raddoppia fra strada e crono, due volte campionessa italiana nel 2011, e alla testa di una nuova squadra italiana. Monia Baccaille, umbra, una di quelle atlete che sa rinunciare alle proprie ambizioni per la squadra. Ci sono ormai antiche glorie, come Fabiana Luperini, e discendenti di dinastie sportive, come Elisa Longo Borghini, e ragazze che fanno di tutto, strada pista e cross, come Valentina Scandolara, e poi ambasciatrici di agonismo ma anche di femminilità, come Tatiana Guderzo.
E’ nata anche una nuova squadra di professioniste, che si chiama Team Alfonsina, in onore e in omaggio ad Alfonsina Strada, l’unica donna che abbia mai partecipato al Giro d’Italia degli omini, era il 1924, finì fuori tempo massimo alla terza tappa, ma gli organizzatori le consentirono di rimanere in gruppo, perché era diventata una stella.

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