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Charlie Hebdo era razzista? A proposito del libro postumo di Charb

L’ossessione di Charlie Hebdo per l’Islam è tra le questioni aperte nel dibatto post 7 gennaio. Il giornale, diretto da Stephane Charbonnier, era razzista? Era giusto pubblicare quelle vignette? La questione, già presente prima della strage di gennaio, a cinque mesi da quei fatti, resta uno dei punti caldi di dibattito. 

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Charlie Hebdo è coinvolto in questa discussione da anni: considerato un alfiere del pensiero libertario di sinistra degli anni post ’68, da molti era ormai visto come un giornale di destra, che serviva – consapevolmente o meno – un discorso xenofobo e razzista, alimentando l’islamofobia in Francia.

Già nel 2013 Charbonnier era intervenuto su Le Monde per prendere posizione contro “l’idea folle che Charlie fosse diventato una testata razzista”. 

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A tre mesi dalla morte è uscito l’ultimo libro di Charb, a continuare la discussione: lo scorso 5 gennaio, due giorni prima di essere ucciso, Charb aveva consegnato l’ultima versione di un libro che stava scrivendo, una sorta di pamphlet dal titolo “Lettre ouverte aux escrocs de l'islamophobie qui font le jeu des racistes” (Lettera aperta agli imbroglioni dell’islamofobia, che fanno il gioco dei razzisti). Uscito in Francia giovedì 16 aprile, è stato anticipato dalla pubblicazione di alcuni estratti sul Nouvel Observateur (dal quale ho tradotto i passaggi qui sotto).

Charb parte da una riflessione sulla società francese: nel 2009 l’allora Presidente Sarkozy lanciò un dibattito che doveva coinvolgere tutto il paese sull’identità nazionale e ne affidò la gestione al Ministro dell’Immigrazione. Se vi suona strano, è perché in effetti è strano. Al punto che lo scorso gennaio Sarkozy ha pubblicamente ammesso di aver sbagliato: avrebbe dovuto affidare i lavori al Ministero della Cultura. Quel dibattito portò a galla commenti razzisti di ogni tipo, che il Ministero si affrettò a cancellare e minimizzare (niente che non appaia ogni giorno sulla bacheca di Salvini, per capirci). 

 «In Francia le affermazioni razziste sono state “liberate” da Sarkozy e dal suo dibattito sull’identità nazionale. La più alta carica dello Stato si è rivolta agli stupidi e agli stronzi dicendo loro: “Lasciatevi andare ragazzi”. Cosa pensate che facciamo questi? Si mettono a sostenere in pubblico quello che di solito sbraitano durante i pasti di famiglia innaffiati da troppo alcool. Il discorso razzista, quello che le associazioni, i politici e gli intellettuali erano riusciti a confinare in uno spazio ben definito – quello tra la bocca dello xenofobo e la porta della sua cucina – è uscito in strada ha nutrito i media e ha oliato, un po’ alla volta, i social network. Sì, stiamo assistendo a un’esplosione di manifestazioni razziste, ma il termine “razzismo” non si usa più, è stato rimpiazzato da quello di “islamofobia”. (…) I militanti delle comunità che cercano di imporre alle autorità la nozione di islamofobia non hanno altro scopo se non quello di spingere le vittime di razzismo a dirsi mussulmani. Che alcuni razzisti siano sempre più islamofobi, scusate, ma è aneddotico sottolinearlo. Sono prima di tutto razzisti e, attraverso l’Islam, mirano a colpire lo straniero. Se prendiamo in considerazione solo l’islamofobia dei razzisti stiamo prendendo sotto gamba il razzismo. (…) Lottare contro il razzismo significa lottare contro tutti i razzismi, lottare contro l’islamofobia cosa significa? Lottare contro la critica di una religione o contro il fatto che si criticano i suoi praticanti perché sono di origine straniera? Mentre ne discutiamo i razzisti ridono. Se domani tutti i mussulmani di Francia si convertissero al Cattolicesimo non cambierebbe nulla: i francesi di origine straniera sarebbero comunque i responsabili di tutti i mali». 

Essere cretini è un diritto

Sempre Charb: «Aver paura dell’Islam è indubbiamente cretino, ma non è un reato. Allo stesso modo potete dire di aver paura del Cristianesimo o dell’Ebraismo senza che un giudice vi condanni. (…) Un testo diventa sacro, e eventualmente pericoloso, perché un lettore fanatico decide di applicare alla lettera quello che ci trova scritto. Bisogna essere piuttosto ingenui per prendere alla lettera quello che dicono i testi fondatori di una religione, e bisogna essere altrettanto psicopatici per voler fare esattamente quello che questi testi dicono. Insomma, il problema non sono né il Corano né la Bibbia, romanzi soporiferi e mal scritti, ma il fedele che legge il Corano o la Bibbia come se fosse il foglio di istruzioni di una libreria Ikea (…)». 

Il ruolo dei media

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Charlie Hebdo è diventato “famoso” fuori dalla Francia nel 2006, quando decise di ripubblicare alcune vignette dello Jyllands Posten. Charb nel libro sostiene che l’affare delle Caricature di Maometto è stato creato dai media. «Il profeta dei musulmani è stato disegnato su Charlie Hebdo prima de “l’Affaire” e nessuna associazione e nessun giornalista si scandalizzò. (…) Fu solo dopo la denuncia e la strumentalizzazione delle caricature danesi da parte di un gruppo di estremisti musulmani che disegnare il profeta è diventato un caso capace di far scoppiare delle crisi d’isteria, mediatica e islamica. Prima mediatica e poi islamica».

Secondo Charb questi disegni non erano particolarmente scioccanti in sé: lo diventarono per la stampa, soprattutto a causa delle reazioni che suscitarono.

Ricordate la caricatura di Maometto con una bomba nel turbante? «Chi la criticava ha deciso di vederci un insulto verso tutti i musulmani. Mettere una bomba in testa a Maometto significava dire che tutti i suoi fedeli erano terroristi. Oppure, un’altra interpretazione possibile, ma meno mediatica e vendibile, era che Maometto con una bomba in testa rappresentava la strumentalizzazione della religione fatta dai terroristi. (…) La pubblicazione delle caricature ha scatenato la collera di qualche associazione mussulmana perché i media hanno deciso che poteva scatenare la furia dei mussulmani». 

Il paternalismo borghese della sinistra

E la domanda che tutti si pongono è – continua sempre Charb – ma perché se a Charlie sapevano che i disegni potevano essere strumentalizzati li hanno pubblicati?. «Perché le caricature di Charlie Hebdo non prendevano di mira tutti i mussulmani. (…) I disegnatori di Charlie pensano che i mussulmani non siano tutti intolleranti all’umorismo. In virtù di quale strana teoria l’umorismo sarebbe meno compatibile con l’Islam che con qualsiasi altra religione? Dire che l’Islam non è compatibile con l’umorismo è altrettanto assurdo che dire che l’Islam non è compatibile con la democrazia o con la laicità. Se lasciamo passare il concetto che si può ridere di tutto, tranne che di alcuni aspetti dell’Islam perché i musulmani sono più suscettibili del resto della popolazione non stiamo facendo della discriminazione? La seconda religione del mondo, la seconda di Francia, non dovrebbe essere trattata come la prima? È ora di finirla con questo paternalismo disgustoso dell’intellettuale borghese bianco di sinistra che cerca consensi presso i “poveri infelici e ignoranti”. “Io che sono colto capisco che Charlie Hebdo fa della satira perché da una parte sono molto intelligente, mentre dall’altra è la mia cultura. Ma per rispetto verso di voi, che non aveva ancora capito cos’è l’umorismo, fustigherò questi disegni islamofobi che faccio finta di non capire. (…) Questi ridicoli demagoghi hanno, da una parte un grande bisogno di essere presi in considerazione e, dall’altro, un formidabile sogno di dominazione mai assopito». 

Per finire Charb ritorna sulla critica che Alain Gresh fece al suo giornale sulle colonne del Le Monde Diplomatique: nel 2012 attaccò Charlie proprio su queste irresponsabilità di fronte alle conseguenze delle sue vignette. E per spiegare fece il famoso esempio delle Germania Nazista: se nel 1931 un giornale di sinistra avesse fatto un numero speciale sull’Ebraismo spiegando quando questa religione è retrograda, che la Bibbia è un testo violento e che gli ebrei si vestono in modo strano, qualcuno avrebbe fatto la differenza con la propaganda anti-semita?

La risposta di Charb? «Charlie Hebdo avrebbe potuto occuparsi dell’Ebraismo senza per questo attaccare tutti gli ebrei. Ma nel 1931 esisteva un terrorismo internazionale che si richiamava all’Ebraismo ortodosso? Degli jihadisti ebrei volevano instaurare regimi religiosi in Libia, Tunisia, Siria o Iraq? Un rabbino Bin Landen inviò un aereo a schiantarsi contro l’Empire State Building? Non sono uno storico, ma non credo… Nel 1931 l’integralismo ebraico non è quello che oggi è l’integralismo musulmano. E no, l’islamofobia non è un nuovo antisemitismo: c’è solo il vecchio, odioso e immortale razzismo. Un razzismo del quale sono vittime le persone di origine musulmana». 

Un po’ di numeri

Premetto che un dibattito del genere non si può affidare solo alla statistica: i numeri sono importanti ma non rispondono per forza a domande che toccano la cultura e il sentimento che sta dietro un’azione. Detto questo, possono aiutare a mettere le cose in contesto. Alla domanda “Charlie Hebdo era ossessionato dall’Islam?” hanno risposto sulle colonne de Le MondeJean-François Mignot e Céline Goffette, sociologi entrambi, specializzati nell’analisi del dato statistico e demografico. I due si sono limitati a una conta, diciamo: hanno analizzato le copertine (e solo le copertine) di Charlie Hebdo dal gennaio 2005 al gennaio 2015. Su 523 in totale, 336 parlano di politica, 85 di economia, 42 di personaggi del mondo dello spettacolo e 38 (il 7%) toccano la religione. Di queste 21 sono sulla religione cattolica, 7 sull’Islam, 3 sulle tre grandi religioni e il resto sull’Ebraismo. Solo l’1,3% delle aperture di Charlie Hebdo nel periodo preso in considerazione parlava di Islam.

Altro sguardo statistico riguarda i processi contro Charlie Hebdo: dal 1992 (anno in cui è tornato in edicola) al 2015 il settimanale ha subito 48 processi (dati archivio AFP, via Le Monde): le denunce sono arrivate prioritariamente dall’estrema destra e dall’area cattolica (vedi grafici qui sotto). 

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Nel 75% dei casi si sono concluse favorevolmente per Charlie Hebdo, le condanne sono soprattutto per diffamazione. Da 2000 c’è stata diminuzione dei processi. 

E poi i numeri (e quindi la diffusione) di Charlie Hebdo. Il giornale non era in forma: prima degli attentati vendeva circa 24 mila esemplari e contava 8 mila abbonati. C’erano stati dei licenziamenti, i salari erano bassi e i debiti tanti. Dopo gli attentati gli abbonati sono passati a 200mila, e questo oltre ai doni e alle vendite del numero “post 7 gennaio”: 7 milioni di copie. 

Charlie Hebdo è sinistra o no?

La morale di questa storia? Non c’è, per ora. Charlie Hebdo fa ancora polemica. E soprattutto ha aperto una riflessione interna al pensiero di sinistra che tocca il concetto di sovversione e critica del capitalismo. Article 11, trimestrale di orientamento libertario, nel suo ultimo numero ha pubblicato una lunga e complessa riflessione su Charlie a firma di Serge Quadruppani. Sostanzialmente quello che si “critica” a Charlie Hebdo è di non aver compreso un momento storico: se nel ‘68 la desacralizzazione era uno dei modi di critica del sistema e l’umorismo era sovversivo in sé, oggi la situazione è ben diversa. Il neo-liberismo ha recuperato e inglobato lo spirito libertario, almeno sotto molti aspetti di costume: il porno e la trasgressione tout court, ad esempio, sono diventati parte del messaggio mediatico standard. 

In questo senso quindi il messaggio di Charlie Hebdo non sarebbe altro che uno strumento in mano al neoliberismo e alla conservazione.

La “risposta” di Charb a questo discorso, il suo libro, sembrerebbe invece una sorta di manifesto “repubblicano” nel suo senso più puro. Da capire se ha ancora spazio. 

(La foto di Charb l’ho rubata, lo ammetto. Da qui. Arriva dal Bild: Keystone/BRUNEL RICHARD))

Questo articolo è stato pubblicato qui

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