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Charamsa e l’omosessualità: un monsignore di troppo

Non è il massimo apprendere, in un giorno di ottobre, che un monsignore confessi la propria omosessualità aggiungendo di avere un compagno che presenta al mondo intero. Se il monsignore non fosse cattolico, forse non riscuoterebbe tutto questo enorme interesse, per giunta a ridosso di un avvenimento importante: "il Sinodo" sulla famiglia che si apre oggi quattro ottobre.

Sono molti i punti che non tornano. In primis chi diventa sacerdote fa voto di castità, ragion per cui sarebbe ovvio un atteggiamento di rinuncia dell'esercizio del proprio ministero se si scopre una certa ambiguità sessuale, invece che voler rigettare uno degli elementi cardini della Chiesa, la castità per l'appunto. Infatti non essendo contemplato il matrimonio per i sacerdoti, uscirsene con questa trovata è come legittimare la sessualità per i preti che potrebbero convivere con un uomo oppure una donna a seconda della propria tendenza sessuale. In questa confessione davanti a tutti si legge una certa platealità, nonché forzatura, e si ha l'impressione che la cultura gay ormai sia il cemento e la lingua comune di tutto il mondo globalizzato. Praticamente l'unica identità culturale è quella dell'omologazione, o si accetta o si è fuori.

Un ricatto per una Chiesa in movimento che non può certamente rinunciare a ciò che rappresenta. In fondo, a leggere i Vangeli e voler passare al setaccio la vita del Cristo, non mi pare che si riscontrino atteggiamenti legati alla sessualità in genere; Cristo non aveva tempo da dedicare ad una moglie, seppure Uomo tra gli uomini, di conseguenza ciò che si sta portando avanti in questo momento di confusione è davvero fuori luogo.

Non ci pare che la Chiesa obblighi gli individui a farsi prete e chi non si sente in linea con i dogmi e le prerogative ecclesiastiche può consapevolmente compiere altre scelte. A meno che, con la scusa del cambiamento, non si vogliano riformare i Vangeli e riscrivere da capo a fondo Vecchio e Nuovo testamento. La Chiesa è stata chiara: la famiglia è quella naturale ed il sacramento del matrimonio consacra l'uomo e la donna ad essere una sola carne, di conseguenza i figli che saranno generati da questa unione sono il frutto di quell'amore che li ha uniti davanti alla comunità cattolica. Il monsignore può viversi la sua vita come crede e con chi crede, ma di qui a dire che anche la sua è famiglia, di acqua sotto i ponti ne scorre davvero tanta.

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