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British Gas lascia l’Italia e sfumano 1.000 posti di lavoro

Questa è una storia tutta italiana, anzi italo-inglese, ma rende bene l'idea di un paese in preda alla burocrazia e all'immobilismo che non è capace di investire sul suo futuro economico e industriale, soprattutto ad attrarre capitali stranieri.

La British gas, compagnia energetica britannica, rinuncia al progetto del rigassificatore di Brindisidopo 11 anni di paralisi sul fronte delle autorizzazione e dei permessi di Governo ed enti locali. 

Sfuma così un investimento di 800 milioni di euro, con una capacità di 6 miliardi di tonnellate all'anno di gas naturale liquefatto (Gpl), corrispondente a 8 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale immesso in rete (pari al 10% circa del consumo nazionale).

Un colpo durissimo per l'economia del territorio, considerato che il rigassificatore avrebbe procurato circa 1.000 posti di lavoro nei 4 anni necessari alla sua realizzazione. Il presidente e amministratore delegato di British Gas Italia, Luca Manzella, si congeda così:
Abbiamo avviato le procedure per il collocamento in mobilità dei nostri lavoratori presenti a Brindisi. In tutto una ventina di dipendenti. La casa madre, delusa e scoraggiata dal prolungarsi all'infinito del braccio di ferro con le autorità italiane e nonostante i 250 milioni di euro già spesi per il progetto pugliese, ha deciso di riconsiderare dalle fondamenta la fattibilità dell'investimento.
Sì perché la società inglese ha già investito 250 milioni di euro, ma è riuscita solo a costruire la spianata dove sarebbe dovuto sorgere l'impianto. Tutto ebbe inizio nel novembre 2001, quando la British Gas richiede al Governo italiano l'autorizzazione alla costruzione del rigassificatore. Bisogna attendere la nuova Via (valutazione d'impatto ambientale) che viene concessa con decreto solo nel luglio 2010.

A quel punto, ammette Manzella:

Ci eravamo illusi che nel giro di 200 giorni tutto si sarebbe appianato, i permessi sarebbero finalmente arrivati e avremmo potuto avviare i lavori. Di giorni invece ne sono passati 600, il processo autorizzativo è bloccato, gli enti locali continuano la loro strenua opposizione al progetto depositando una raffica di corsi amministrativi contro la nuova Via, mentre dal Governo centrale e dal ministero dello Sviluppo non è mai arrivata la convocazione per la conferenza dei servizi decisiva.
Le conclusioni di Manzella lasciano l'amaro in bocca: "Non si può pensare che una grande multinazionale blocchi un progetto per oltre 11 anni. A tutto c'è un limite". La stessa British Gas all'inizio del Duemila aveva avviato un'opera simile in Galles. Inutile dire che lì l'esito è stato diverso. 
 
In soli 5 anni il progetto è stato validato, l'impianto costruito ed entrato in funzione, in un'area comunque importante dal punto di vista naturalistico ma senza incontrare problemi in fase progettuale o realizzativa. Il contrario della Puglia
L'invito di Manzella è chiaro: 
Il governo Monti, così come si rivolge agli investitori finanziari, dovrebbe inviare messaggi altrettanto chiari e rassicuranti anche agli investitori industriali, che hanno un bisogno enorme di certezze.
La realtà è una: "I veti locali e l'immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell'Italia". Tutte le attività di British Gas a Brindisi vengono dunque chiuse, ma rimane aperto un interrogativo fondamentale che dobbiamo porci seriamente: può un paese in difficoltà come l'Italia continuare a presentarsi sul panorama internazionale come inaffidabile e rischioso per gli investimenti?

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