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Brasile: sotto il mare, gas e petrolio. Il governo corre alle armi per proteggerli

I giacimenti di petrolio a largo del Brasile potrebbero avere la "stessa dimensione di quelli del Mare del Nord". E il Paese vuole cautelarsi dall'evenienza di operazioni tese ad esercitare un'influenza su un tale tesoro.

A metà luglio Francisco Filho Nepomuceno, amministratore della sede londinese di Petrobras, ha dichiarato all'agenzia di stampa Mercopress che le riserve petrolifere offshore del Paese ammonterebbero ad una sessantina di miliardi di barili, più o meno lo stesso potenziale di quelle del Mare del Nord, prima che Regno Unito e Norvegia ne avviassero lo sfruttamento. Per citare alcuni esempi, il giacimento Tupi (scoperto nel 2007) contiene riserve stimate per 33 miliardi di barili, il giacimento di Giove (scoperto nel 2008) ne ospita 12 miliardi e quello ribattezzato Lula-Cernambi tra i 7 e gli 11 miliardi. In totale il Brasile vanta il 5% di tutto il petrolio stimato in America Latina; mantenendo gli attuali ritmi di produzione garantirà l'approvvigionamento del Paese per 30 anni.

In precedenza, il 28 giugno Repsol, la più importante società petrolifera di Spagna, ha annunciato la scoperta di due nuovi giacimenti “di buona qualità”nelle profondità delle acqua brasiliane nel corso di un sondaggio eseguito assieme al suo partner cinese Sinopec. Il pozzo, situato circa 190 chilometri al largo della costa di Rio de Janeiro, è di proprietà di un consorzio in cui Repsol e Sinopec hanno una quota del 35%, la norvegese Statoil un altro 35% e Petrobras il 30%.

Petrobras punta molto sullo sviluppo dell'offshore. Il 22 luglio la società ha approvato un piano quinquennale di investimenti da 224 miliardi di dollari. Al riguardo sta contrattando finanziamenti per un ammontare di 47 miliardi di dollari entro il 2014 per finanziare sia i progetti in cantiere che quelli esistenti. In virtù delle ricchezze individuate a sud e a nordest della costa brasiliana, quest'anno Petrobras raggiungerà una produzione di 2,1 milioni di barili al giorno, avvicinando il gigante sudamericano ai livelli dell'Iraq (2,7 milioni).

Non c'è solo petrolio nel futuro del Brasile. Anche il gas rappresenta una cospicua fetta delle ricchezze dei fondali atlantici. Nelle ultime settimane Petrobras ha annunciato la scoperta di nuovi giacimenti nel  bacino di Espirito Santo e in quello di Brigadeiro.

L'annuncio è giunto in un momento molto favorevole per la risorsa gas. L'ultimo World Energy Outlook dell'Agenzia Internazionale dell'Energia afferma che l'America Latina ne è una miniera. Merce preziosa, alla luce le tensioni del mondo arabo e della tragedia di Fukushima. Col il petrolio altalenante sui mercati e i fantasmi di Chernobyl riesumati sulla lontana costa giapponese, oggi il gas rappresenta la fonte più valida e sicura di approvvigionamento energetico.

Il rapporto dell'IEA mette in evidenza la crescente quota di gas nell'odierna situazione globale in rapido mutamento, considerato il recente discredito gettato sull'energia nucleare dopo i noti eventi in Giappone. non senza un impatto di carbonio e ancora a corto di obiettivi di riduzione delle emissioni. Date le attuali condizioni, la produzione mondiale del gas e la sua distribuzione potrebbero entrare in una sorta di “età dell'oro” in virtù degli investimenti esteri (soprattutto cinesi) e del prossimo sfruttamento di nuovi giacimenti.

I problemi di estrazione del petrolio rimangono comunque il maggior ostacolo al pieno sfruttamento. A parte la questioni di profondità, i giacimenti in questione si trovano in presale, dunque richiedono tecnologie avanzate (e costose) per essere messi a regime.

Il governo brasiliano rimane comunque ottimista. Per il presidente Dilma Rousseff il petrolio offshore sarà il "passaporto per il futuro" del Paese. Ma è anche un tesoro da difendere.

Dal 2008 il Brasile ha investito molto in armamenti. Possiamo ricordare l'affare Rafale, ossia l'annunciata vendita di 36 cacciabombardieri da parte della francese Dassault sotto la presidenza Lula, poi ridimensionata in favore di una fornitura di F-18 made in Usa su pressione di Barack Obama.

La cooperazione militare con la Francia è tuttavia proseguita. In luglio ha finalmente preso il via il progetto ProSub, programma della marina brasiliana per lo sviluppo e la realizzazione di 4 sottomarini nucleari S-BR con l'ausilio della tecnologia francese, lanciato nel 2008. In base all'accordo, la Francia trasferirà il know how tecnologico alle 30 industrie brasiliane coinvolte nella produzione dei 36.000 componenti necessari alla costruzione dei sommergibili. Va aggiunto che il Brasile dispone già della tecnologia per l'arricchimento dell'uranio necessario per alimentare i sottomarini, patrimonio tecnico altamente sensibile e finora in mano ad un ristretto gruppo di paesi. La consegna dei modelli è prevista per il 2023.

Secondo vari analisti il progetto sarebbe parte di un piano più ambizioso. Il Brasile non ha mire espansionistiche e aggressive verso i suoi vicini sudamericani, ma non vuole neppure limitarsi alla difesa della sua zona economica esclusiva. Il messaggio sotteso allo sviluppo di tecnologie militari altamente sofisticate è l'accrescimento del proprio status di potenza in via di una possibile riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, in cui il Brasile aspira ad avere un seggio permanente. Una crescita economica abbinata ad un potenziamento militare comportano una maggiore crescita delle responsabilità sul piano della politica internazionale, premessa necessaria per ambire al diritto di sedere nel Consiglio.
L'importanza che il Brasile attribuisce alla sua agenda di difesa, pur trattandosi di un paese tradizionalmente pacifico, conferma la ricerca di questo riconoscimento.

L'Atlantico meridionale sta riacquistando la centralità geopolitica mantenuta per quasi mezzo millennio, dall'epoca delle grandi esplorazioni di Magellano e Da Gama fino al XX secolo, quando i conflitti mondiali e la successiva contrapposizione dei blocchi lo hanno relegato in un ruolo secondario.

La crescente importanza delle risorse strategiche qui localizzate hanno attratto l'attenzione delle potenze esterne (Usa, Cina, Russia) ma anche le emergenti potenze locali (Brasile e Venezuela su tutte, ma anche Sudafrica, Angola e Argentina). In questo contesto, manca un'architettura di sicurezza regionale. Il Mercosur è un mercato comune e non ancora un attore geopolitico, l'Ibsa è un meccanismo ancora acerbo per recitare un ruolo influente nell'arena internazionale.

La circostanza che i giacimenti di idrocarburi siano quasi tutti localizzatioffshore li mette al riparo dall'instabilità cronica che affligge l'emisfero Sud dell'oceano, soprattutto su versante africano. Tuttavia, il dominio dei mari è molto più incerto rispetto a quello della terra. Si capisce come mai la scoperta delle ricchezze celate nei fondali atlantici abbia sollevato nuove e pressanti preoccupazioni geopolitiche e militari.

Le potenze interessate dispongono di parecchi assi da giocare. Gli Usa hanno recentemente istituito l'African Command (abbr. Africom) allo scopo di pattugliare le coste del Continente nero, e inoltre hanno ripristinato la Quarta Flotta, che dal 2008 staziona a largo delle coste dell'America Latina. La Cina può contare su solide relazioni, costruite a suon di investimenti, sia con l'Angola che con il Brasile; in entrambi i Paesi gli immigrati cinesi si contano ormai a milioni. La Russia ha annunciato il rafforzamento della propria protezione verso Cuba e il Venezuela, realizzando in questi sue Paesi una rete di piste di aviazione utilizzabili dai propri cacciabombardieri. Il quadro della corsa agli armamenti si completa con gli aerei e i sottomarini di marca francese acquistati dal Brasile.

È soprattutto l'America a suscitare le inquietudini del neopresidente Dilma Rousseff. Gli Stati Uniti hanno tutto l'interesse a schierare la propria marina a presidio delle acque internazionali del Sud America: il 38% del proprio volume d'affari si realizza con quella regione, e da lì proviene il 34% del petrolio importato. Ma la volontà di presidiare un'area che Washington considera da sempre il proprio giardino di casa si scontra con la volontà di espansione manifestata da Pechino. Una nuova guerra fredda in vista? È presto per dirlo. In ogni caso, la penetrazione degli Usa nelle acque a Sud dell'equatore rappresenta per il Brasile un elemento di instabilità e di timore.

In conclusione, rapporti di buon vicinato, da un lato, e armamenti pesanti, dall'altro, sono le chiavi con le quali il gigante sudamericano spera di blindare un tesoro sul quale tanti, troppi ambiscono a mettere le mani.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.205) 20 agosto 2011 12:35

    «mantenendo gli attuali ritmi di produzione garantirà l’approvvigionamento del Paese per 30 anni»

    I giacimenti sono sfruttabili con un andamento a campana, all’inizio si può estrarre solo poco petrolio, poi si sale verso il picco massimo e poi la produzione scende fino ad arrivare a zero. Il picco massimo si ha circa verso la metà del petrolio estratto.

  • Di (---.---.---.205) 20 agosto 2011 12:42

    «le riserve petrolifere offshore del Paese ammonterebbero ad una sessantina di miliardi di barili»

    Bisogna vedere quante di queste riserve saranno realmente estratte, poi bisogna vedere quanto petrolio bisognerà bruciare per estrarre il petrolio dalle profondità marine anzi dalle viscere della terra sotto le profondità marine.

    Questi giacimenti sono molto costosi da sviluppare, in pratica vuol dire che occorre molta energia per svilupparli ovvero occorre molto petrolio.

    Comunque sia se ci dilettiamo nelle divisioni e supponiamo che un giacimento sia come una lattina di coca cola (ma non lo è) che si stappa e si beve sorso dopo sorso fino alla fine, abbiamo che 60 miliardi di barili sono 2 anni di consumo mondiale.

  • Di Luca Troiano (---.---.---.70) 20 agosto 2011 13:38

    Applausi. C’è altro?

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