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Belgio: la rivoluzione delle patatine fritte

Qual è, secondo voi, il Paese che è rimasto più a lungo senza governo? 

Il lettore, che vuole dare una risposta a questa domanda, penserà prontamente a qualche nazione dal nome impronunciabile, magari sperduta in qualche zona remota del nostro globo.

E invece no. Siamo nel cuore dell’Europa, nella sede del parlamento europeo: in Belgio, dove proprio in questi giorni è stato stabilito il record della crisi politica più longeva della storia, perfino l’Iraq è stato surclassato. Dopo il voto del 13 giugno scorso, il Belgio - oggi (30 marzo) - non ha ancora un governo, sono quindi passati 290 giorni. In Iraq invece c’erano voluti 249 giorni per un intesa e altri 40 per formare l’esecutivo (in totale 289). 

L’atmosfera è surreale, perché ciò che davvero è scandaloso è che non c’è stato nessun scandalo. Tutto scorre normale: “funziona” anche senza governo. Pochi se ne sono accorti. 

Neppure nel parlamento europeo, lo scorso semestre, hanno fatto caso che il paese che ha assicurato la presidenza europea di turno era senza governo. Tutto come se fosse normale: l’economia belga continua a crescere, assicura la banca nazionale; proprio mentre il Belgio partecipa alla “missione” libica inviando sei caccia F-16. Ma non c’è governo.

Eppure non manca l’autoironia: le uniche forme di manifestazioni di protesta organizzate dalle associazioni studentesche prendono il nome di “rivoluzione delle patatine fritte” (pietanza tipica belga) . 

Gli studenti trasformano le principali piazze delle città belghe in “places des frites” distribuendo patatine fritte ai partecipanti. Anche i quotidiani dedicano poco spazio a questo record; preferiscono dare la precedenza al 70esimo anniversario di nascita del personaggio di Capitano Haddock (preso dall’amato fumetto di Tintin )che all’attuale crisi di governo.

Eppure la situazione governativa è grave: i fiamminghi del nord (dove il partito separatista N-Va Di Bart de Wever ha vinto le scorse elezioni) non riescono a mettersi d’accordo con i francofoni del Sud (dove invece il partito socialista di Elio de Rupo ha ottenutola vittoria). Non trovano un compromesso neanche sull’assetto federale da dare al paese. I fiamminghi vogliono un maggiore autonomia, negata dalla parte francofona.

Questo, ricordiamolo, avviene nel cuore d’Europa, in uno dei paesi più sviluppati del mondo che gode di un ottimo sistema welfare; in un paese dove ti tassano se non vai a votare.

Ma questo paradosso non rappresenta forse pienamente la contraddizione della nostra contemporaneità?

Pensando a questo scenario politico a tratti “surreale” mi vengono in mente alcuni fotogrammi del film “I figli degli uomini”. Non mi azzardo a fare nessun analogia particolare: ma non stiamo forse andando tutti verso questa direzione? 

Da una parte il sogno dell’unificazione nel nome del liberalismo, nato dopo la caduta del muro di Berlino, si sgretola davanti a nuove forme di apartheid: anche nel nostro continente, abbiamo visto, è risultato più difficile del previsto ottenere l’unificazione europea sperata. Dovunque, qui e lì, spuntano nuovi nazionalismi o regionalismi che minano ad una determinata unità politica. Dall’altro canto questa dimensione politica viene accettata con indifferenza e passività da parte della popolazione opulenta. Soffermiamoci sul film prima citato: il background che accompagna le scene di questa dimensione illuminata e occidentale trapiantata nel futuro è“arido". L’infertilità è lo sfondo della contemporaneità. Dietro la patina illuminata e occidentale c’è l’aridità di una generazione che ha perso la propria capacità creativa di ripensare gli schemi di interpretazione del presente e di cambiamento rivoluzionario del futuro. Proprio mentre affermiamo il primato dei valori (?) occidentali, perdiamo la “coscienza” della nostra (e di ogni) identità culturale. Questa è l’infertilità che ci accompagna e che determina la chiusura di orizzonti. Chiudersi nel proprio regionalismo, nella propria piccola e cieca dimensione domestica, guardando il mondo con quell’apatia di chi pensa che gli altri pensano per noi. Già hanno deciso per noi. Non importa se quella guerra sia giusta o no. Non importa se discutono se quegli esseri umani siano legali o no. Pensano per noi. Noi intanto continuiamo a distribuiamo le patatine. Per protesta.

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