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Pratica politica in tempo di crisi. L’esempio di Afragola

Ad Afragola, come in tanti comuni della Campania, si vota per il ballottaggio. Gli scandali degli ultimi giorni, raccolti dalla stampa nazionale, come il ricatto e le pressioni esercitate da parte di un consigliere comunale uscente, denunciate da un commerciante; o le gravi minacce che compaiono il giorno delle votazioni nel rione Salicelle, e toni politici violenti e degenerati negli ultimi tempi, invitono a riflettere sul metodo "feudale" di conenso e di lottizzazione della politica, che appartiene in realtà a parecchie aree del nostro Paese. 
Se Sciascia utilizzava la Sicilia come metafora, per descrivere il disfattismo di un mondo che è incapace di pensare il proprio cambiamento, proprio a causa della sfiducia che si nutre verso le idee, noi oggi - nell'Italia della crisi economica e di rappresentanza politica - possiamo tentare di usare la stessa metafora, e fotografare l'immobilismo e l'impossibilità di pensare una rivoluzione democratica, proprio a partire da queste contraddizioni locali, e dalla sfiducia che nutriamo verso la dimensione della pratica politica. 

Ho cercato di non aprire la bocca, di non parlare, di non pensarci; ma quando man mano il tanfo arriva sempre di più alle narici, allora - indipendentemente dalla propria volontà - si inizia a vomitare. Vomitare il disgusto e il disprezzo.


"Politici" improvvisati all'ultimo momento; liste con nomi improponibili e imbarazzanti solo per aumentare consenso e creare una nuova verginità a poteri consolidati sul nostro territorio, corresponsabili di un disastro sociale, culturale e economico senza proporzioni. Retori che mentono e sanno di mentire su questioni come "rifiuti tossici", corruzione e criminalità organizzata. Un linguaggio urlato, violento, rozzo, volgare e a tratti anche xenofobo. Pornografia politica, tra letterine, star e vallette. Ricatti, voti di scambio, minacce. Consiglieri comunali che concedono licenza ad esercizi commerciali in cambio di consenso elettorale e sostegno, per poi cercare - in modo macchiettistico e ridicolo - di metterci una pezza, non appena la notizia inizia a circolare sui giornali; dimostrando, però, come evidentemente la gestione della cosa "pubblica" si sia trasformata in gestione della "cosa nostra", associazione a delinquere incarnata proprio dai rappresentanti istituzionali. Pasta e 50 euro: il prezzo di un voto, e il valore degli eletti.

Striscioni che "pubblicamente" ordinano a interi quartieri-dormitori, di non votare altrimenti "pericolo di incendio a chi vota", "non si vota", "vi bruciamo le auto" per poi leggere sul giornale che è stata "la camorra", quella generica, che va bene in prima pagina, senza mai sapere se un giorno - su quelle stesse pagine - si leggeranno i nomi, cognomi , indirizzi e motivazioni di quella "camorra" che evidentemente si intreccia con quella "politica". 

E, oltre a vomitarci addosso, pensando alla tragedia uno dovrebbe iniziare a pensare - al contrario - all'abbuffata, al grande cenone che c'è dietro questo gioco di ruoli: al grande tavolo dove da una parte c'è il politico, magari anche "antimafia", dall'altra l'imprenditore, dall'altra quello che scrive lo striscione, e mangiano insieme decidendo il destino della povera gente. Tutti cercano di abbuffarsi, di prendere un posto, di raccattare una briciola, proprio come i porci.

E in fondo questo lo sanno anche loro, e involontariamente lo ammettono, lo sottendono quando durante la campagna elettorale si presentano come "persona onesta e perbene", quasi a dire che "l'onestà" è una dota eccezionale e straordinaria, un distintivo al petto da ostentare, un motivo per votarlo; e non è invece la premessa scontata di qualsiasi essere umano che semplicemente non vuole banchettare come un maiale. E a noi, in tutto questo, non resta altro che sperare di non sederci mai al vostro tavolo.

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