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Natale: la celebrazione più religiosa (e meno cristiana) che abbiamo

Dunque, immagino che dalle prime righe di quest’articolo il lettore medio - quello che generalmente è infastidito da questo tipo di celebrazione - si aspetti di leggere quelle due cose che continuiamo a ripeterci ogni anno dopo l’abbuffata della vigilia (e dai tempi delle prime litigate al catechismo) in salsa moralistica , forse in modo un po’ da predicatore laico: da una parte fingere di accettare quello che è la regola di buona educazione generale, in modo formale e asettico "Buon Natale a tutti" che ha più o meno il valore di un “buon giorno”, quindi di circostanza; e dall'altra (per reazione forse contro i cenoni, ma anche per esorcizzare il tempo che corre troppo in fretta), ribadire quello che ormai accettano anche i cristiani: "Ok, sappiamo che Gesù non è nato il 25 dicembre, forse è preso da una celebrazione di origine pagana”. E magari accentuare la degenerazione dei valori degli ultimi anni contro il senso sacro, “il consumismo lacera i veri valori cristiani”, e quindi accettare magari una sorta di compromesso con la tradizione sottolineando il valore culturale (non quello politico nazionalista). E magari per qualche nostalgico possiamo uscirne con la frase del “Babbo Natale è un mostro creato dalla Coca Cola” etc etc. Cose di questo genere.

Poiché quest’anno, invece, finalmente abbiamo avuto una cena diciamo più sobria, possiamo provare ad offrire una lettura diversa. Il natale non è svuotato di valori religiosi, ma resta la festa più religiosa che esiste nell’occidente (e non solo) secolarizzato. Basta notare come nell’ultimo secolo – proprio con l'avvento della secolarizzazione – anche nelle nazioni di tradizione non proprio cristiana si tende a festeggiare sempre di più con regali il Natale (Giappone, Malesia, Cina, India) questo tipo di celebrazioni. L’errore sarebbe considerarla una festa cristiana, compromessa col paganesimo, senza partire dalla nostra prospettiva.

Ora il punto è proprio questo, il natale non è la festa dei cristiani che si sono impaganiti, ma la festa di noi occidentali, che ci serviamo di elementi “tradizionali” per la costruzione di un senso ritualistico capitalistico di appartenenza familiare e fintamente solidale.

Un po' come la fine del mondo per i Maya, basta andare in Messico per vedere che lì si parla dell’evento molto di meno che nelle trasmissioni televisive o sulla stampa pseudo-scientifica di noi illuminati (come è possibile che lo riteniamo un problema che ci riguarda più da vicino?). Ora, quando l’incauto giornalista, prova a intervistare qualche discendente dei Maya, noterà con una certa sorpresa che in realtà loro non ci credono neanche alla fine del mondo, perché intendevano solo la fine di un ciclo e non necessariamente la fine terribile che ci immaginiamo con alieni e devastazioni. Hanno un concetto ciclico del tempo, non lineare. E quindi anche parlare di apocalissi è improprio per la loro tradizione .

Ma sarebbe un errore quindi credere che tutto ciò sia frutto di un malinteso, cioè che noi non interpretiamo correttamente la tradizione (come dire, noi “ consumisti” non cogliamo l’essenza dei veri valori cristiani di povertà, solidarietà). La verità è il contrario, il potere nichilistico del capitalismo ha bisogno di simboli per ritualizzare le proprie angosce: che ci sia l’alberello, il presepio o Gesù bambino ha poca importanza. L’importante è che ci sia qualcosa in quel giorno, più o meno che si richiami al senso di appartenenza tradizionale, per ritualizzare il senso “consumista”.

I maya non credono davvero alla fine del mondo, siamo noi occidentali che - vivendo nel declino capitalista della crisi economica - abbiamo bisogno di ritualizzare le nostre angosce con scenari apocalittici, di tipo new age più che ebraico cristiano. Cioè più attingendo alla cultura di Hollywood che a quella dei testi sacri. Quando arriverà la fine del mondo, che si spera sia ritardata solo di poco, non ci sarà il giudizio universale del mondo, ma solo qualche terremoto e asteroide che finalmente farà sentire noi poveri uomini in crisi individualistica postmoderna uniti contro lo stesso pericolo, che ci redime dai nostri "eccessi" e responsabilità. Questo potere nichilistico capitalistico, per la dimensione sacra, è molto più distruttivo del vecchio buon ateismo materialista, perché da una parte svaluta irreversibilmente i valori dall’interno, e dall’altro però salva l’apparenza della forma e l’etichetta ritualistica. Questo purtroppo pare non sia stato compreso da tutti..

Quando il Papa parla della dittatura relativistica, e della crisi dei valori postmoderna ha perfettamente ragione; però - poiché è pontefice - la sua soluzione è un po’ farisea: ritornare al pre-moderno, individuando l’errore dell’uomo postmoderno nella sua arroganza illuministica (l’autonomia kantiana, cioè l’uomo che dimenticandosi di Dio fonda la legge)-

Con la modernità la cultura latina che ha forgiato la dimensione cattolica dell’essere cristiana è stata lacerata dall’interno, e il Papa invece di modernizzare i valori cristiani, cambiando il paradigma latino (celibato, diritti omosessuali, divorzio, per intenderci). Sceglie di salvare la forma. Il rituale. La gerarchia, sancendo - con la salvezza del rituale - la morte dei "valori".

Ora, in effetti, nel momento in cui i cristiani accettano - consapevolmente e in buona fede - la formalità del rito pagano e consumista (come il Natale), hanno già ucciso e negato il dio che vorrebbero professare E Nietzsche l’aveva capito in parte, quando faceva profetizzare all’uomo folle la morte di Dio. Quando c’è l’albero già abbiamo accettato la distruzione del sacro, in modo estremamente più radicale di un illuminista di qualche secolo fa, che spesso lasciava il suo agnosticismo ad una visione personale, ma che non riusciva mai a scalfire il potere e la funzione sociale che avevano le vecchie religioni. 

A questo punto si sono invertiti i ruoli: pare che i vecchi buon atei, quelli che criticavano il capitalismo, siano - nel loro ateismo - più cristiani dei nuovi moderno religiosi che incautamente sussurrano "Buon Natale". 

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