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Aspettando una legge contro la tortura

L'Italia, terra di Verri e Beccaria, è ancora sprovvista di una legge che introduca nel nostro ordinamento il reato di tortura. Eppure sarebbe sufficiente un'interpretazione rigorosa del dettato costituzionale. Affinché cessino gli abusi, tuttavia, si dovrebbe intervenire anche sul codice di procedura penale.

Il 10 dicembre 1984 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite varò la Convenzione contro le pene inumane e degradanti, che vincola i paesi aderenti ad adeguare il proprio ordinamento. Tale convenzione è stata ratificata dal nostro paese nel 1989 ma manca ancora una normativa di attuazione. Nonostante siano passati ventiquattro anni, in Italia non esiste una fattispecie incriminatrice che riconosca il reato di tortura. Periodicamente la cronaca giudiziaria ci riporta i casi di maltrattamenti avvenuti in carcere o fra le mura di una caserma. Fatti che vedono sempre coinvolti agenti delle forze di polizia. Basti pensare alle vicende di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, ho citato solo alcuni esempi ma l'elenco è drammaticamente lungo.

Un capitolo a parte poi è destinato agli eventi relativi al G8 di Genova 2001. L'inchiesta sugli abusi perpetrati in danno dei manifestanti presso la scuola Diaz e la caserma Bolzaneto ha evidenziato che gli agenti praticarono sui fermati trattamenti disumani e degradanti: privazione del cibo e dell'acqua, minacce di morte e di stupro, violenza fisica, impossibilità di ricorrere a cure mediche, insulti a sfondo politico e razziale. Una vera e propria mattanza, di fatto una sospensione della legalità costituzionale. Ci sarebbero quindi stati tutti gli elementi per poter ascrivere agli agenti il reato di tortura, che in effetti vi fu. Solo che la tortura in Italia non è prevista come reato e quindi agli imputati sono stati contestati altri capi d'imputazione, abuso d'ufficio, abuso d'autorità nei confronti di persona arrestata o detenuta, minacce, lesioni. Non risulta comunque che nessuno abbia trascorso una sola notte in carcere. Ho l'impressione che su Genova 2001 si voglia stendere un velo di silenzio, prova ne sia la mancata istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta. Eppure, stando alle parole di Nerys Lee,

Nel luglio del 2001 ci fu in Italia una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia più recente, una breve ma intensa parentesi della democrazia.

Casi come quelli di Cucchi e di Aldrovandi dimostrano che gli abusi si verificano in concomitanza dell'arresto o del fermo o nelle ore immediatamente successive. L'articolo 386 del codice di procedura penale prevede al comme 3 che

[...] gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria pongono l'arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e comunque non oltre le ventiquattro ore dall'arresto o dal fermo.

C'è una differenza sostanziale tra al più presto e non oltre le ventiquattro ore. Infatti è proprio in quest'arco di tempo che, presumibilmente, si verificano quegli atti che, se fosse previsto dal nostro ordinamento, integrerebbero il reato di tortura. Il cittadino, innocente fino a prova contraria, si trova improvvisamente privato della libertà, condotto in questura e interrogato, senza la presenza del difensore e privo di quella particolare garanzia costituita dall'intervento dell'autorità giudiziaria.

Per cui, a mio parere, oltre ad introdurre il reato di tortura, il legislatore dovrebbe incidere sul codice di procedura penale per eviare che la sentenza si riduca ad un verbale di polizia ampliato e motivato.

l'Italia, oltre ad essere inadempiernte nei confronti delle Nazione Unite, avendo ratificato una Convenzione senza poi darvi corso con adeguati provvedimenti normativi, lo è anche verso la propria Costituzione, la quale, all'articolo 13, comma 2, prevede che

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

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