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Anche sui mutui, ci sono due Europe

Nel Sud Europa si sceglie il mutuo a tasso variabile, a Nord il fisso. Le conseguenze sono ora sotto gli occhi di tutti. Sarebbe utile indagare le motivazioni dei debitori e le condotte del sistema creditizio

 

L’impatto del forte aumento dei tassi d’interesse su chi ha contratto un mutuo varia tra paesi. Chi si è affidato al mutuo a tasso fisso, ora non solo può disinteressarsi di quello che accade alla rata del proprio mutuo, ma si gode l’aumento di remunerazione dei propri risparmi (se ne ha), mentre chi ha scelto il variabile è costretto a mettere mano ai risparmi (anche qui, sempre che ne abbia) per abbattere l’indebitamento.

A SUD RIMBORSANO, A NORD INCASSANO

Un’analisi di Bloomberg su dati della Banca centrale europea evidenzia il fenomeno. Nei primi cinque mesi del 2023, i rimborsi anticipati di mutui, parziali o totali, sono balzati del 24% in Spagna e del 23% in Portogallo, mentre sono crollati del 39% in Germania e del 42% in Olanda. Per l’Italia si segnala un aumento di rimborsi anticipati del 12%.

Il fenomeno si spiega con la “inclinazione” dei paesi del Sud Europa a ricorrere al tasso variabile sui mutui. Il tasso Euribor a 1 anno, che è il riferimento per la maggior parte dei mutui spagnoli a tasso variabile, è passato in un anno da zero a circa il 4%, e alcuni mutuatari si trovano a pagare il triplo di rata.

Per contro, la maggior parte dei mutui tedeschi sono a tasso fisso con scadenze decennali e oltre. Motivo per cui i mutuatari non soffrono di fronte alla stretta della Bce. Non solo: chi ha mutuo a tasso fisso e uno stock di risparmi, oggi può destinare i secondi a impieghi di breve termine che decisamente sono diventati più remunerativi. In Francia, il tasso sui depositi a termine a un anno è arrivato al 3%, mentre in Germania siamo al 2,6%. Il confronto tra attività e passività premia questi debitori. In Sud Europa, invece, chi aveva da parte dei risparmi, e magari ha fatto il mutuo per “mettersi a leva” e guadagnare dalla differenza tra tasso passivo (variabile e basso) e rendimento degli attivi, ora si trova costretto a usare quei risparmi per comprimere l’indebitamento e l’esborso della rata.

Dopo aver evidenziato questo fenomeno, resta la domanda delle domande. Perché nei paesi del Sud Europa si tende a ricorrere ai mutui a tasso variabile, e nel resto d’Europa a quelli a tasso fisso? Le potenziali risposte possono essere legate alla cultura finanziaria dei mutuatari e alla loro avversione o propensione al rischio, come anche alle condotte del sistema bancario, che può svolgere un ruolo attivo nell’indirizzare la domanda verso il fisso o il variabile.

MOLTE DOMANDE A CUI RISPONDERE

Ma perché una banca e i suoi dipendenti dovrebbero disincentivare il ricorso al tasso fisso quando i tassi sono ai minimi storici? Ci sono evidenze di rarefazione dell’offerta di mutui a tasso fisso nel periodo in cui i tassi di riferimento della banca centrale erano diventati negativi? Oppure tale rarefazione non c’è mai stata e tutto si riconduce a scelte dei debitori improntate a miopia e avidità? Come per la gestione degli attivi (cioè dei risparmi), anche per quella delle passività dobbiamo immaginare un grave deficit di cultura economica e finanziaria? Questa pare essere una domanda retorica. Ma tale ipotesi vale solo per i paesi del Sud Europa? Eppure, questi paesi sono quelli che storicamente, cioè ante euro, hanno sofferto di tassi d’inflazione più elevati. La disinflazione legata all’avvento della moneta unica ha modificato radicalmente le aspettative?

Tutte domande assai rilevanti. A cui bisognerebbe cercare di rispondere, dopo approfondita analisi e non sulla base di evidenze aneddotiche alla “mio cugino”. Nel frattempo, invece, da noi si assiste al solito teatrino dei saltimbanchi della politica, e a richieste che continuano ad essere prive di senso economico finanziario, come quella di remunerare i conti correnti, manco fossero strumenti di risparmio anziché di puro servizio delle transazioni. Non è un caso che le situazioni di maggior sofferenza e il populismo sui conti correnti da remunerare siano compresenti da noi, paese del Sud Europa, e in Regno Unito, paese dove i mutui sono di fatto resi variabili dall’esigua durata del tasso fisso (mediamente due-tre anni, dopo i quali c’è il rinnovo con reset del tasso).

Riguardo alla condotta delle banche rispetto alla scelta tra tasso fisso e variabile, occorre premettere che un istituto di credito è in grado di gestire il proprio equilibrio economico e finanziario, tra attività e passività, usando derivati. Ad esempio, può entrare in contratti di swap per trasformare le passività a tasso variabile in tasso fisso, quando ritiene che i tassi saliranno. E viceversa. Razionalmente, anche senza porsi domande sulla composizione del passivo delle banche (cioè la loro raccolta), per un istituto di credito sembrerebbe preferibile spingere i debitori sul variabile, quando i tassi sono ai minimi storici. Ma questa “razionalità”, in caso puntellata da altre misure precauzionali, come un basso rapporto tra debito e valore dell’immobile e un peso altrettanto limitato della rata sul reddito del debitore, rischia di essere comunque travolta dall’esplosione di sofferenze, se e quando i tassi dovessero sfuggire di mano, come di fatto accaduto nell’ultimo anno.

Serve educazione finanziaria anche per la gestione delle passività, questa è l’unica certezza. Ma potrebbe non bastare.

Mentre attendiamo la risposta a queste domande, ci chiediamo cosa è accaduto in Italia per giustificare l’impennata di mutui a tasso variabile che si osserva nei dati Bce da metà 2022 allo scorso aprile. Misteri italiani.


Incidenza dei mutui a tasso variabile, per mese di accensione (statistica Bce):

 

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