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Anche per il Sud una speranza

Contrariamente a quanto da molti ritenuto, stampa britannica in primis, anche il Sud ha una sua speranza di farcela; malgrado siamo ormai a centocinquanta anni dal primo insorgere della Questione Meridionale senza che si sia mai presentato un barlume di soluzione per essa.

 

Per riscontrarla, questa speranza, occorre riflettere su alcuni fenomeni di massa.

Cominciamo dal cinema. Quando le luci della sala si spengono e cominciano a scorrere le immagini, ogni volta parte la magia che trasforma, ad esempio, un afro-americano del Tennessee, un ex meccanico della U.S. Air Force come Morgan Freeman, nel campione dei diritti civili sudafricano Nelson Mandela. Il cinema, come ci dice Aristotele per la tragedia greca, è mimesis o rappresentazione di «caratteri, casi e azioni»; spesso raffigurazione di buoni sentimenti; raramente manca il «lieto fine». E sugli spettatori che lasciano la sala si legge in viso l’esito catarchico della proiezione.

Passiamo alla televisione; una qualunque, quella di Stato va benissimo. Anche per essa accade qualcosa di simile a quello che accade per il cinema: una magia catalizza sul teleschermo lo sguardo e l’attenzione dello spettatore e lo spettacolo consueto, ad esempio il quiz di prima serata con il pacioso presentatore ormai da anni presente tutte le sere, si svolge secondo il rito del suo format. E non sono le domande ad essere protagoniste, bensì la varia umanità dei concorrenti.

Ora ci trasferiamo in un ambiente più serioso, quello delle librerie. Scaffali e scaffali di libri, di testi, di pubblicazioni; intorno a cui si affaccendano i commessi per accontentare l’utenza di lettori, la quale cerca un libro e, nel libro, cerca un poco di se stessa.

Passiamo, infine, alle parrocchie, sovente centro di aggregazione sociale. Le messe, le gite fuori porta col parroco, il coro per la celebrazione domenicale accompagnato con la chitarra elettrica.

Tutti questi, diciamo così, fenomeni di massa hanno una caratteristica evidente, ma cui raramente si fa caso: essi sono eguali sia Nord sia al Sud. Quello che è diverso, fra Nord e Sud, è il contesto esterno sociale, economico e civile. Chi vive in una realtà meridionale degradata se ne accorge ad ogni piè sospinto: quando le luci della sala cinematografica si accendono, quando il teleschermo si spegne, quando si chiude il libro che si sta leggendo, quando si esce dalla chiesa dopo la messa domenicale. Perché allora, si entra in una realtà distorta e schizofrenica; fatta di soprusi e di sopraffazioni, di biechi interessi privati perseguiti con ferocia, di corruzione e di politica clientelare, di circoli del potere occulti, di crimini persino.

Ecco dove sta la speranza del Sud: nella reazione di quanti, questo contesto degradato, non intendono accettarlo né per se né per i propri cari e vogliono lottare per cambiarlo, disposti anche a pagare per questo un costo (non sono né pochi né disarmati i «pescecani» che ingrassano in questa contingenza esattamente come i loro colleghi che ingrassavano un tempo in occasione delle guerre).

Non è certo sulle iniziative dell’attule governo (le banche del Sud, il ponte sullo stretto, e così via) che il Sud può fondare la sua speranza di farcela: l’unica cosa su cui può farlo è la voglia di lottare per se stessa della sua popolazione.

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