Aborto negato: nuovo caso spinoso in Cile
Ancora una volta il divieto di interruzione di gravidanza, all’insegna del malinteso concetto di “difesa della vita”, porta a gravi violazioni dei diritti delle donne. Questa volta la protagonista, suo malgrado, è una bambina cilena di 11 anni originaria di Puerto Montt, chiamata "Belén", che è stata stuprata dal patrigno ed è rimasta incinta. Ma in Cile l’aborto è vietato in ogni circostanza, nonostante si tratti di una violenza e nonostante una gravidanza a quell’età possa portare a gravi complicazioni.
Il Paese sudamericano sconta, come altri, la pesante influenza della Chiesa cattolica su questo tema. L’aborto terapeutico era consentito dal 1931, mentre il divieto totale di interrompere la gravidanza è frutto di un accordo del 1989 tra il regime del generale Augusto Pinochet e le gerarchie ecclesiastiche, approvato poco prima che avvenisse il passaggio alla democrazia.
La chiusura all’aborto è stato l’ultimo colpo di coda di una dittatura clericale, in cui la Chiesa cattolica è risultata particolarmente invischiata. Tanto che nel 1987, quando erano ben note le violazioni dei diritti umani da parte del regime ormai in declino, persino Papa Giovanni Paolo II si recò in Cile a incontrare Pinochet, viaggio organizzato con i buoni auspici del nunzio apostolico Angelo Sodano. A parte le photo opportunity in cui il Papa posava senza imbarazzi con il dittatore, da ricordare l’invio da parte del prossimo beato al già ex dittatore, nel 1993, di auguri per le sue nozze d’oro con tanto di "benedizione apostolica speciale".
L’opinione pubblica cilena è molto conservatrice su questo e altri temi, come risulta da diversi sondaggi in cui emerge la diffusa contrarietà all’aborto. Si pensi alla forte opposizione della conferenza episcopale alla legge sul divorzio, approvata in Cile solo nel 2004. Ma l’episodio di Belén, ora a circa 14 settimane di gestazione, ha suscitato molta indignazione, soprattutto tra le donne. È stata diffusa una petizione per chiedere meno restrizioni e si sono svolte diverse manifestazioni. Il Senato lo scorso anno ha rigettato tre disegni di legge per limitare le restrizioni, ma il presidente in carica Sebastian Piñera, di centrodestra, si è opposto fortemente. Non è un caso che si sia uscito dalla prestigiosa Pontificia università cattolica del Cile.
In vista delle prossime elezioni a novembre, anche i candidati si fanno sentire. La socialista Michelle Bachelet, che corre per il secondo mandato, in un tweet ha scritto che ha un “piano per depenalizzare l’aborto terapeutico in caso di stupro”. Parere simile espresso anche da un altro candidato, Marco Enríquez Ominami: “Di fronte a questo crimine orribile [...] faccio un appello al paese unito e ai candidati affinché invochino la depenalizzazione”. Contrario però il presidente e l’altro candidato conservatore, Pablo Longueira.
La madre di Belén, chiamata a testimoniare, è arrivata persino a difendere il compagno: “Non è stata violentata e lui non avrebbe mai usato violenza”. Segno di quanto purtroppo anche le donne, in certi contesti, interiorizzino il maschilismo e la sottomissione che respirano ogni giorno.
Nonostante i progressi, dovuti a maggiore ospedalizzazione e migliori cure mediche nonché alla diffusione dei contraccettivi, la situazione in Cile è drammatica per le donne. Tra il 2000 e il 2004 l’aborto è rimasto in Cile la terza causa principale di morte per le madri. Gli aborti clandestini sono stati stimati, tra il 2000 e il 2002, in almeno 132mila. La maggior parte delle donne processate a Santiago per quello che è tuttora un crimine risultavano da uno studio del 1997 soprattutto giovani madri single, lavoratrici domestiche arrivate in città dalle aree rurali, in condizioni di minorità e senza adeguata assistenza legale.
Sulla pelle delle donne e contro il loro diritto all’autodeterminazione continua una battaglia mondiale, come ci ricordano la tragica morte di Savita Halappanavar in Irlanda, causata dal ritardo da parte dei medici nell’effettuare un aborto terapeutico, e i rischi che ha corso la giovane Beatriz a El Salvador, affetta da gravi patologie e con un feto destinato a morire, ma costretta a portare avanti una gravidanza. Anche negli Usa, come mette in evidenza il Guttmacher Institute, continua “l’assalto” a livello di singoli stati per imporre limitazioni all’accesso all’aborto. Come avvenuto ultimamente anche in Texas, dove il tentativo era stato sventato dall’ostruzionismo in aula della senatrice democratica Wendy Davis. Il governatore ci sta però riprovando.
L’aborto è il tema più spinoso, quello sul quale la Chiesa cattolica non è assolutamente disponibile a compromessi, fosse anche il far passare leggi senza alzare enormi barricate. La portata planetaria del confronto rende bene l’idea della posta in gioco. Ed è sorprendente che in Italia non se ne parli praticamente più, nonostante la crescita (spesso strumentale) del ricorso all’obiezione di coscienza stia minando la legge 194 anche da noi.
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