A questo punto il Cavaliere cerca il governo tecnico

Non lo ammetterà mai. Ma da settimane il Cavaliere lavora ad un piano B da far scattare al momento più opportuno. Un progetto che gli permetta di uscire dall’angolo e gli consenta di raggiungere uno dei due risultati a cui sta lavorando: la propria ricandidatura alle prossime elezioni politiche o l’imposizione a palazzo Chigi di un suo prescelto, Angelino Alfano o (perché no?) sua figlia Marina Berlusconi. Scenari per adesso fantascientifici nella mente di molti ma a portata di mano per un uomo che i limiti è abituato ad abbatterli
I sondaggi danno il Pdl in picchiata, l’alleato leghista è sempre più riottoso, il referendum sul porcellum potrebbe far esplodere la coalizione di governo, l’incontro tra terzo polo e Pd rischia di concedere una vittoria al fronte progressista sia che le prossime elezioni politiche si tengano nella primavera del 2012 sia che si svolgano nel 2013. E allora che fare?
La situazione impone un colpo di reni, una pensata da fuoriclasse pari a quella che portò Silvio Berlusconi a salire sul predelino della sua auto provocando la nascita del Pdl, primo partito italiano ed indiscusso vincitore delle scorse elezioni politiche.
In questo caso il colpo da maestro a cui il Cav sta lavorando sotto traccia sarebbe un governo tecnico sostenuto da Pd, terzo polo e frange del Pdl, che si potragga fino al 2013, apparentemente ostile alla sua figura ma in fin dei conti congeniale ai suoi disegni. L’operazione presenterebbe molti vantaggi. Provocherebbe un’uscita di scena temporanea del Cavaliere che avrebbe tempo per leccarsi le ferite, riorganizzare le idee e le strategie da utilizzare nei molti processi in cui è coivolto. E soprattutto gli consentirebbe di sottrarsi alla morsa mediatica che non gli da tragua da due anni a questa parte.
L’esecutivo di transizione si troverrebbe ad affrontare il passaggio delicato del referendum elettorale, ed allo stesso tempo dovrebbe assumere decisioni impopolari come la riforma delle pensioni o l’istituzione di una tassa patrimoniale per arginare la crisi economica, togliendo le castagne dal fuoco all’attuale compagine governativa che per i vari veti incrociati fino ad adesso in tal senso ha fatto poco o nulla.
Nella mente dell’attuale premier, il “governo dei migliori” dovrebbe essere abbastanza diviso per non governare e capace di varare, spinto dalle necessità, provvedimenti ammazza consensi di cui sopra. Allo stesso tempo dovrebbe mostrarsi eterogeneo e disunito per parlare un linguaggio incomprensibile agli italiani. Qualora ci riuscisse potrebbe varare una nuova legge elettorale (perché il Cavaliere se è messo nelle condizioni di vincere, vince con qualsiasi sistema elettorale).
In sostanza il nuovo esecutivo dovrebbe essere simile all’ultimo governo Prodi. Dovrebbe ricordarne il fallimento e dovrebbe divenire il simbolo di quello che gli italiani si troverebbero di fronte qualora un fronte eterogeneo e accomodato di sinistra andasse unito alle urne, e si ritrovasse a governare.
Andando alle elezioni con un governo, non direttamente espressione del risultato elettorale del 2008, nel 2013 Silvio Berlusconi avrebbe solamente da guadagnarci: perché la retorica del complotto e della congiura di palazzo, amplificata dai mezzi d’informazione, paga sempre. Un po’ come succese nel 1996 dopo il governo tecnico di Lamberto Dini. Quando Romano Prodi vinse per pochissimi voti le elezioni contro il Cavaliere, non sulla scia del fallimentare esperimento del primo governo berlusconiano, ma perché Bossi si sfilò dalla coalizione di centrodestra. Se la Lega avesse optato anche in quella tornata per l’alleanza con Forza Italia ed An forse non ci sarebbero stati i governi dell’Ulivo.
Potrebbe optare per Palazzo Chigi o per il Quirinale, oppure potrebbe imporre a capo del governo una persona a lui vicina che gli curi, dalla plancia di comando, gli interessi delle aziende, lasciando che diventi Capo dello Stato il suo fido Gianni Letta.
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