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2016: la fine del PD?

Nel leggere il titolo dell'articolo, più d'uno lo considererà un puro esercizio speculativo del solito "gufo" che non si rassegna a vedere il PD renziano solido e in buona salute. Eppure...

Il PD renziano sta dando già da un po' segnali di sofferenza. Sono sempre più distanti i tempi del 40% e oltre ottenuto alle elezioni europee e il 30% che gli viene attribuito dai recenti sondaggi sembra derivare più dalla inconsistenza degli avversari che dalla capacità del leader del PD e Presidente del Consiglio di continuare a far presa sull'elettorato, quello progressista in particolare. Ecco allora farsi strada la tentazione di andare a "pescare" in maniera più o meno esplicita consensi in quell'area di centro-destra orfana di guida autorevole.

Gli indizi a conferma di tale progetto sono evidenti e vanno dal paventato Partito della Nazione sino alla sempre più stretta collaborazione con Verdini ed il suo gruppo di fuorusciti da Forza Italia passando per le ingombranti avance del siciliano Totò Cuffaro appena scarcerato. Le smentite in merito, che Renzi affida ai suoi, assumono il significato di una implicita conferma. Peraltro non è la prima volta, né sarà l'ultima, che il leader PD sbugiarda se stesso mettendo in atto ciò che ha negato sino ad un attimo prima.

Intervenendo di recente in un talk show, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha paragonato Renzi, per le sue capacità di condottiero, nientemeno che a Napoleone. L'accostamento ha richiamato alla memoria di chi scrive un saggio di Serge Cosseron, edito in Italia nel 2005 per Piemme, dal titolo "Napoleone, il grande bugiardo".

Lo storico francese individua diverse categorie di menzogne napoleoniche: menzogne ideologiche, menzogne per omissione, menzogne come strumento strategico. A questo punto si può legittimamente sostenere, con i dovuti distinguo circa l'incommensurabile levatura dei due personaggi, che le citate categorie bene calzino al nostro Renzi, con l'aggiunta per costui di una notevole abilità mistificatoria. Definire "Buona Scuola" un atto di deportazione di migliaia di insegnanti è stato geniale, come geniale appare l'etichetta di posto fisso attribuita al contratto d'assunzione "a tutele crescenti" che altro non è se non un contratto di precariato quadriennale privo di copertura dell'articolo 18. Sarà interessante verificare quanti lavoratori si vedranno confermare il posto di lavoro nel 2019, quando scadranno i contributi alle aziende. E ancora, il martellamento mediatico circa la presunta diminuzione delle tasse; peccato che la Corte dei Conti certifichi un incremento del 22% negli ultimi tre anni.

Buone anche le performance renziane sulla lettura e napoleonica interpretazione dei dati statistici. Apprendiamo da lui di un iperbolico numero di nuovi assunti grazie al Jobs act che non trova riscontro nelle cifre pubblicate dall'ISTAT tanto che il ministro del lavoro Poletti, in un raro momento di sincera analisi dei dati, ha definito deludente l'impatto del Jobs act sull'occupazione, per rimangiarsi la dichiarazione già il giorno successivo, non si sa mai. Ancora, la disoccupazione giovanile continua a crescere. In quanto a cifre, anche l'imbarazzante dato della partecipazione dei cittadini alle primarie delle comunali, cinesi compresi, è fatto passare per un successo.

Intanto viene sempre più difficoltoso contestare i dati, tutti rivisti al ribasso, comunicati da banche centrali, agenzie di rating, Corte dei Conti e vari altri. Sembra proprio che l'appeal di Matteo Renzi si stia affievolendo e a poco servono i professionali spargitori d'ottimismo a tutti i costi impegnati nell'opera di convincimento della gente.

Non stupisce pertanto che il PD renziano sia destinato a perdere ancora più consensi nell'area progressista dell'elettorato e per questo motivo a dover raggranellare numeri nel centro-destra. Di ciò si sono accorti persino i bersaniani che tentano ora di sollevare la testa e alzare la voce, con quale esito staremo a vedere.

Una sola operazione, d'immagine e insieme di sostanza, può garantire a Renzi di conservare la doppia seggiola di segretario di partito e di Presidente del Consiglio: una formazione politica che lo supporti senza se e senza ma, impregnata di servitori poco intenzionati a contestare le sue scelte, sul modello del grillino M5S dove in due decidono e gli altri ubbidiscono, altrimenti... via!

Forse la nuova formazione politica che metterà fine al PD non verrà battezzata Partito della Nazione, ma ne assumerà l'idea: un partito con un programma più apertamente di centro-destra, con buona pace dei bersaniani e piena soddisfazione dei verdiniani. Il 2016, con i suoi appuntamenti elettorali e referendari, probabilmente deciderà i tempi e i modi dell'ultimo atto del PD.

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