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Una voce poco fa

Riflessioni sul caso Vulpio

Che un giornalista del più diffuso quotidiano italiano venga censurato dal suo direttore perche svolge con zelo il suo lavoro, dovrebbe essere cosa che indigna.
Che la sua vicenda non faccia minimamente breccia nei media mainstream, questo la dice lunga sulla subordinazione degli stessi ai poteri forti attuali.
Che, poi, odg e fnsi non spendano nemmeno un francobollo in fondo al sito per almeno simulare un interessamento verso il giornalista aggredito dal suo direttore, è cosa questa che la dice lunga sulla bancarotta morale di enti che hanno, evidentemente, abdicato ad un qualsiasi, seppur minimo, ruolo sociale.

Un giornalista, in Italia, nel 2008, viene brutalmente tolto di mezzo, con una telefonata del direttore, e nessuno, a livello ufficiale, protesta, come se fosse naturale.

Anche tra la gente, sento parlare in giro di crisi, di calcio, di regali di natale, di mali di stagione, ma che la stampa sia così platealmente e sfacciatamente censurata non tocca (quasi) nessuno. Come dire: noi italiani abbiamo eletto presidente l’italiano più ricco del Paese, un settantaduenne monopolista dei media e con tentacoli in ogni ganglo della nazione, la nostra tradizione e’ quella dei plebisciti e dei mazzieri: chi se ne frega di un Vulpio, se l’han fatto fuori un motivo ci sarà...

Come se i soldi fossero l’unico problema. Come se un Paese che si sta sgretolando, moralmente e culturalmente, prima ancora che economicamente, non dovesse preoccuparsi di sinecure come la libertà di espressione o l’eguaglianza di fronte al giudice.

Il caso Vulpio mi sembra paradigmatico: non ci importa di lui perche’ non ci importa di noi; noi inteso come comunita’, come patto sociale. Ci importa dei fatti nostri, dei nostri interessi, e lo spazio pubblico lo deleghiamo e ce ne disinteressiamo, non ci perdiamo tempo.
 
Certo l’Italia ha molti problemi. E’, come dicono le statistiche dell’Economist, un Paese indebitato, vecchio e corrotto, una "societa’ bloccata", direbbe Marcuse, ma l’informazione e’ il problema dei problemi, perche’ non importa quali malattie hai, se non sai di esser malato muori comunque.

 
Mi domando: ma se una cosa simile succedesse in Cina o in Corea del Nord? Avremmo lo sciopero della fame di Capezzone e la levata di scudi liberal-ideologica dei Panebianco e dei Galli della Loggia. E se ne parlerebbe. Ma perche’ questo doppio standard, neppure dissimulato?

Perché l’Italia non capisce che siamo tutti Vulpio?

Thomas Jefferson diceva che gli USA sarebbero stati ciò che i loro giornali stessi sarebbero stati. Loro hanno il freedom of information act, e il giornalismo d’inchiesta da loro ha fatto cadere un presidente. Noi abbiamo la legge bavaglio per i giornalisti che osano fare i giornalisti, ovvero il ddl n^1638/07 (il bastone) e, nel contempo, gli aiuti all’editoria, milioni di euro regalati ai direttori organici al regime (la carota).

Nei paesi civili i media controllano il potere, in Italia e’ la casta al potere a nominare e/o prezzolare i dirigenti dei media.
 
Forse, alla luce di ciò, la vicenda Vulpio appare più normale, quasi scontata; come dire: blogger cinesi in galera, giornalisti italiani con la schiena dritta epurati.
 
E non sarà forse inutile ricordare come, per meglio serrare il controllo ideologico, in Italia lo sviluppo di internet sia al palo, frenato da politiche governative ottuse o in mala fede: i finanziamenti servono per dare al "popolo" i decoder, non l’adsl. E dove,"malauguratamente", la connessione a internet c’è già, si provvede con reiterati tentativi di censura del web, alcuni riusciti, altri meno. 

Persino il precedente governo di centro-sinistra si ridicolizzò col tentativo di "normalizzazione" del web Levi-Prodi, a dimostrazione che la casta è una sola. Si scambiano le casacche ma prendono tutti 15.237,02 euro netti al mese, più indennità, diarie, rimborsi etc...
 


A questo serve il controllo sui mainstream: a farci pagare tacendo, senza porci domande e, soprattutto, senza porle a lorsignori le domande.
 
E quando qualcuno, come Carlo Vulpio, si permette di farle le domande, e poi di scrivere i nomi e i cognomi dei corrotti allora il potere deve agire. Per ribadire chi comanda. E, se l’opinione pubblica non protesta, allora vuol dire che obbedisce.
 
Le monadi corrono solitarie sul tapis roulant, non c’e’ tempo per le domande, per i problemi di coscienza.
 
Ho chiesto alle persone che incontravo se sapevano chi è Carlo Vulpio: mi guardavano come se gli avessi chiesto gli affluenti dello Zambesi. Forse avrei dovuto parlare del grande fratello, non quello di Orwell, quello di Endemol...

Carlo Vulpio, un giornalista che vorrebbe fare informazione nel Paese ultimo in Europa come liberta’ di espressione (fonte Freedom House): che ingenuità:
 
In Italia l’informazione, per la massa degli elettori, è delegata al monopolio tv del tycoon- presidente del consiglio: una tv, nelle parole di Corrado Calabrò (ansa, 30.10.2008), volgare, ripetitiva e becera.
 
Forse se Carlo Vulpio si fosse uniformato agli standard della regina dei media, il suo direttore non lo avrebbe "sollevato dall’incarico"....(sollevato...la censura ti "eleva"...)

Forse dovremmo farci sentire, fintanto che c’è ancora qualche Vulpio in giro, dopo, forse, sarà troppo tardi.




 










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