L’economia globale ha bisogno di paesi dove si produce a prezzi più bassi.
La Cina come tanti altri paesi nascono dalla delocalizzazione di industria occidentali che si trasferiscono in paesi dove il costo della mano d’opera e le regole imposte permettono maggiori guadagni e prezzi più bassi.
In Bangladesh milioni di operai lavorano per l’industria della moda a cento dollari al mese.
Purtroppo i costi di produzione in Europa sono elevati e quindi anche i costi al consumo e possono comprare solo i benestanti. E gli altri comprano i prodotti made in China, Taiwan, ecc.
E questo avviene da oltre 50 anni.
La Cina produce acciaio a costi più bassi delle acciaierie italiane. Che usano in gran parte - tranne Ilva - forni elettrici. In Cina vanno avanti con il carbone di cui sono ricchi. E se inquinano non si lamenta nessuno.
In Cina lo stipendio medio oggi è di seicento dollari.
E se la Cina va in crisi si useranno le acciaierie indiane o se ne faranno di nuove in Bangladesh o in Africa.
Naturalmente trasferire la produzione tessile è relativamente facile. Trasferite quella dell’acciaio è più complesso. E siccome ci sono costi di trasporto le acciaierie italiane continuano ad essere competitive. Per adesso.
E quindi le nostre aziende non possono permettersi di aumentare i costi di produzione perché se no subiscono la concorrenza straniera e rischiano di chiudere.
E questo fa capire perché questo governo lascia ai sindacati le trattative sul costo del lavoro - e non le impone per legge, come vorrebbe la Schlein.
Per non perdere aziende e posti di lavoro.