Quale lavoro >
Stando
alla disciplina del nuovo contratto a tempo indeterminato (tutele crescenti) il
datore di lavoro, in vista della scadenza dei primi 3 anni, dovrà sciogliere il
seguente dilemma.
Proseguire nel rapporto in essere apprezzando e privilegiando
le capacità e le potenzialità del dipendente sul maggior costo (intorno €8000
anno) della futura prestazione.
Oppure attivare un nuovo contratto (con altro
soggetto) e ricominciare a giovarsi della decontribuzione (v. €8000) concessa
fino ai 3 anni.
Una premessa scontata è che a fronte di un lavoratore
“inadeguato” il contratto verrebbe risolto dopo poche settimane.Negli altri
casi, per indovinare la decisione più probabile, basta individuare i caratteri
del compito da svolgere.
Una attività sostanzialmente “ripetitiva” non implica
una professionalità spiccata, in costante evoluzione. Spesso corrisponde a
“esigenze” occasionali e/o a “contributi” di basso valore aggiunto.
Come tale è
altamente “fungibile”.
Per giunta nelle più consuete unità lavorative detta
fattispecie supera di gran lunga (come frequenza) le attività richiedenti
un’alta qualificazione e preparazione. In sintesi.
Ergo.
E’ evidente che assimilare
detto tipo di rapporto ai contratti a tempo indeterminato è a dir poco
equivoco. Per molti versi è un contratto triennale “prolungabile” solo per una
libera e autonoma “convinzione” del datore di lavoro.
La dignità del lavoro,
quale prospettiva di vita, non è materia da spettacolo di Pantomima e
Rimpiattino …