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Commento di Fabio Della Pergola

su Siria, Iran, Stati Uniti: prospettive di disgelo


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Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola 9 ottobre 2013 08:47

Può darsi che io sia molto ingenuo, ma continuo ad attenermi ai fatti, come lei suggeriva.

1 - "Territori contesi" è la definizione data dalla diplomazia israeliana, non da me ovviamente, credevo che lo sapesse."Territori occupati" è la definizione data da parte palestinese e dalla diplomazia internazionale.
E’ scontato che sono definizioni che hanno un contenuto ideologico che deriva dalla definizione che si dà della linea verde del ’48: “linea armistiziale” (come fu) oppure “confine” (come si definisce spesso: vedi i continui riferimenti ai "confini del ’67" intendendo con questo la linea precedente il conflitto del ’67).

La realtà è la prima perché la linea verde non corrisponde ai confini (peraltro non ben definiti) tracciati con la delibera ONU che sanciva la nascita di Israele nel ’48. Quindi non è mai stato il “confine” tra Israele e l’ipotizzato stato palestinese. Violando nel ’67 la linea verde del ’48 gli stati arabi ne hanno di fatto annullato il valore di linea armistiziale, imponendo di tracciare una nuova linea armistiziale alla fine dei due conflitti ’67 e ’73. Questo non è mai avvenuto perché poteva avvenire solo con una trattativa fra le parti. Trattativa che avrebbe dovuto svolgersi fra Egitto, Siria, Giordania da una parte e Israele dall’altra. Ma, ecco l’inghippo, dei tre stati arabi due, Egitto e Giordania si sono ‘ritirati’ da quei territori - sottoscrivendo la pacificazione con Israele solo sulla base del loro territorio metropolitano - lasciando la patata bollente relativa a Gaza e West Bank nelle mani della galassia palestinese, mentre la Siria è semplicemente rimasta da allora in uno stato di guerra senza più guerreggiarla. Con l’OLP-Fatah-ANP è iniziato il balletto negoziale che dura tuttora. Quindi non sono mai stati tracciati né confini definitivi e condivisi né una linea armistiziale post ’73 perché la trattativa non ha mai visto la fine.

La comunità internazionale continua a pensare alla linea verde del ’48 come tracciato di riferimento (e quindi parla di” territori occupati” perché il diritto internazionale vieta di ‘annettersi territori’ a seguito di un conflitto). Ma non essendo mai stato tracciato un confine condiviso dalle parti (per tre volte la parte araba ne ha rifiutato il riconoscimento) la posizione israeliana di non riconoscere quello colonizzato come ‘territorio occupato’ bensì come ‘territorio conteso’ è tuttaltro che cervellotica ed è il motivo per cui, in mancanza di una trattativa di pace complessiva, seria e affidabile, qualsiasi governo israeliano ha proceduto con una colonizzazione più o meno accentuata su quel 3-4 o 5% di territorio - usando la pressione colonizzatrice come elemento finalizzato alla trattativa: è il "pace in cambio di territori" di vecchia memoria post ’67 - che potrà essere scambiato con uguale estensione di territorio attualmente israeliano in caso di accordo di pace defintivo.

2 - “Pulizia etnica” significa allontanamento forzato di una popolazione da un territorio. “Sterminio” o “genocidio” o “etnocidio” ne indicano la soppressione. Qui c’è un conflitto territoriale ad intensità variabile, ma non c’è né pulizia etnica né genocidio. I numeri parlano chiaro.

La sua “logica” – che pretende di parlare di ‘pulizia etnica’ - non indica una particolarità palestinese; vale per qualsiasi territorio “finito” su cui insistono popolazioni ad alto tasso demografico.

La questione alla fine è che siamo di fronte ad un contenzioso territoriale che si è ammantato di una patina di conflittualità religiosa (molto più profonda da parte palestinese – vedi Hamas - che non israeliana – vedi i sostenitori della “Grande Israele biblica”). Gli accordi informali di Ginevra hanno dimostrato che il contenzioso territoriale – essendo “finito” – può essere risolto stabilendo quanti metri quadri vanno all’uno e quanto all’altro. Con rinunce, anche significative, da entrambi le parti. Un conflitto che diventa religioso non avrà mai fine se non con la “conversione” dell’avversario.

Il punto è esattamente questo; in entrambi i campi esiste chi vede il conflitto come territoriale e chi come religioso. Io, ingenuamente, penso che sia un problema palestinese molto più che ebraico e che dipenda in gran parte dalla deriva islamista di gran parte del mondo islamico. Lei forse no, ma il suo uso del termine “lobby sionista” è comunque molto inesatto: più un ebreo è religioso e meno è sionista, dovrebbe saperlo.

Adesso siamo pari. Come vede “dibattito” non è uguale a “commento”. Saluti. FDP


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