• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile


Commento di

su Due proposte: NO al finanziamento ai partiti. E stipendio di 3.000 euro ai parlamentari


Vedi tutti i commenti di questo articolo

11 aprile 2012 17:36

Egregio professore lei dimentica un’altra fonte particolarmente rilevante del finanziamento del PCI, le cooperative rosse. Almeno a partire dagli anni settanta la ripartizione delle tangenti avveniva in questo modo: ogni partito di governo teglieggiava gli imprenditori che da loro ottenevano gli appalti, il PCI non chiedeva nulla per se ma solo una quota, di norma il 25%, dei lavori per le cooperative. Né poi si rivolgeva mai alle coop per avere soldi in funzione diretta dei lavori che queste ottenevano. Ma poi succedeva che le stesse volontariamente prestavano opera gratuita per il partito, laute sottoscrizioni per l’unità, tessere per tutti gli iscritti, forniture di beni o servizi e quant’altro poteva occorrere specialmente nelle campagne elettorali. Il sistema emiliano è stata chiamata questa forma di "tangente differita e dissimulata".

Tutto questo naturalmente era a maggior gloria del partito e per il sol dell’avvenire.

Ma contemporaneamente questo sistema tollerava e indirettamente colludeva con quanto facevano democristiani e socialisti. Ed era questo il motivo di fondo per il quale il PCI fingeva di fare la lotta contro la corruzione ma si guardava bene dall’andare oltre le occasionali prediche moralistiche di Berlinguer.

Egregio professore, anch’io ho militato nel PCI, con la testa piena di sogni e ideali, facevo - come si diceva allora - il rivoluzionario di professione ed ho smesso di farlo quando (nel 1979) mi sono trovato a dover fare il collettore di soldi al nero per il partito.

In ogni caso sono daccordo con la sua proposta (tremila euro ai parlamentari e niente finanziamenti ai partiti), ma questo accordo non viene dal desiderio di un ritorno alle origini pure (che mai ci sono state, ricorda la fuga in Svizzera del cassiere del PCI all’inizio degli anni 50?), ne da un desiderio di rendere la sinistra "alternativa", ma dalla volontà di evitare che chi svolge attività politica in posizioni di rilievo non sviluppi interessi e comportamenti da ceto separato dal resto dei cittadini, che è quanto avviene oggi, e questo deve valere per tutti i politici non solo per quelli di sinistra.

Il suo lunghissimo articolo merita un’altra piccola considerazione. In 150 anni di storia unitaria la sinistra, o meglio i partiti che di volta in volta si sono posti come difensori dei ceti popolari, non sono mai riusciti (salvo alcune particolari e brevi esperienze) a governare l’Italia. Ciò non perché essa non fosse realmente alternativa, il PCI lo era e come almeno fino alla fine degli anni settanta, e lo era anche il partito socialista nei primi trenta anni di vita, ma perché si è sempre divisa in due filoni. Da una parte quei gruppi che sviluppavano comportamenti di ceto politico separato e accomodato come socio di minoranza in un consiglio di amministrazione, dall’altra gli estremisti, i radicali della politica naturalmente indigesti alla maggioranza dei cittadini, votati per loro natura ad essere ininfluenti.

Questo modo di essere della sinistra italiana, sin dalle origini, non è cambiato, sono cambiate solo le sigle, ma non la sostanza.

Egregio professore, lei che è uno storico dovrebbe avere strumenti per risolvere questo mio interrogativo: perché né la sinistra moderata né quella radicale hanno mai realmente avuto una proposta politica atta a risolvere alcune questioni che noi italiani ci portiamo dietro da 150 anni, il rapporto mafie -politica, il clientelismo, la corruzione, la questione meridionale, la separatezza tra cittadini e politici (l’antipolitica), il rifiuto dei politici di sottostare ai controlli di legalità?


Vedi la discussione






Palmares