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Commento di

su Quando i clandestini eravamo noi


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9 gennaio 2010 22:19

Per aggiunger altra verità condivido alcuni pezzi di un libro
 - Tra il 1945 e il 1960 “il cammino della speranza” passava per le Alpi -

L’immagine è drammatica, come la didascalia che l’accompagna: mostra una donna che, “sorpresa dalla tempesta di neve vide il suo bambino spirarle tra le braccia, proseguì per qualche tratto e infine cadde esausta con l’altro figlio: i tre corpi furono trovati due giorni dopo”. Più di una volta la tragica fine degli emigranti clandestini italiani alla ricerca di lavoro e fortuna oltralpe finì sulle pagine de “La Domenica del Corriere”. Del resto i quotidiani quasi ogni giorno erano costretti a dar conto, con toni più o meno allarmistici, di episodi analoghi, tanto difficile era tenere una contabilità dei caduti. 

Sugli attraversamenti si avevano solo indicazioni di massima e comunque inquietanti. In Val d’Isère, ad esempio, per raggiungere Bourg-Saint-Maurice, nel settembre 1946 arrivavano in media 300 clandestini al giorno, toccando addirittura le 526 unità in un’occasione. In Val di Susa il comune di Giaglione dovette chiedere aiuto alla prefettura di Torino non avendo più risorse per seppellire quanti morivano nel disperato tentativo di valicare le Alpi. Nel 1948 il “Bollettino quindicinale dell’emigrazione” scriveva che quotidianamente in quel luogo passavano illegalmente in Francia “molto più di cento emigranti” e “due o tre al mese, almeno”, secondo un rapporto di un agente del Servizio di informazioni militare, non ce la facevano.
Allora come oggi non mancavano persone senza scrupoli che lucravano sulle disgrazie altrui. Il sindaco di Bardonecchia, Mauro Amprimo, sentì il dovere di far affiggere un manifesto nel quale si rivolgeva alle guide alpine. “Anche se compiono azione contraria alla legge – vi si leggeva – sappiano almeno compierla obbedendo a una legge del cuore, discernendo e accompagnando, cioè, soltanto quegli individui che appaiono loro chiaramente in condizioni fisiche tali da sopportare il disagio della traversata dei monti e scegliendo altresì condizioni di clima che non siano proibitive e non abbandonando i disgraziati emigranti a metà percorso”.
Sessant’anni fa, dunque, i clandestini erano gli italiani, le Alpi il “mediterraneo” da attraversare verso l’agognata meta, alcune guide alpine gli scafisti dell’epoca. Ma in tempi in cui si parla non sempre con accenti benevoli degli immigrati e in particolare degli irregolari, in Italia – Paese dalla memoria corta e non sempre condivisa – sono in pochi ad avere coscienza di questo passato. E d’altra parte la pubblicistica ha sostanzialmente ignorato il fenomeno, interessandosi prevalentemente dell’immigrazione regolare, più facile da documentare e da seguire. Eppure, stando a quanto racconta Sandro Rinauro nel bel libro Il cammino della speranza (Torino, Einaudi, 2009, pagine 436, euro 35), dal quale sono tratte le notizie citate, il 50 per cento dei lavoratori italiani emigrati in Francia tra il 1945 e il 1960 era clandestino e il 90 per cento dei loro familiari li raggiunse altrettanto illegalmente.


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