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Sviluppo sostenibile, il fallimento della conferenza di Rio

Si è conclusa la conferenza internazionale sullo sviluppo sostenibile organizzata dalle Nazioni Unite a Rio de Janeiro. I più importanti Stati del mondo hanno discusso sul tema dell’ambiente, ma anche in questo caso non sono mancate le polemiche: ambientalisti e sindacati contro gli esiti della conferenza.

La conferenza si è conclusa con un documento di 53 pagine. Si intitola “Il futuro che vogliamo”, e si occupa di diversi problemi sullo sviluppo sostenibile. C’è un impegno sulla mobilità: sei banche di sviluppo, tra cui Banca mondiale e Banca europea per gli investimenti, hanno presentato un’iniziativa di 175 miliardi di dollari per ridurre le emissioni di gas e effetto serra, attraverso l’uso di autobus, treni e biciclette.

Gli istituti di credito si sono impegnati a lavorare con 66 agenzie di partenariato sullo sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di aumentare il trasporto a basse emissioni. Inoltre l’Europa ha chiesto un maggiore impegno sulle problematiche ambientali a livello mondiale, proponendo la riforma dell’Unep (il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite) e ipotizzando la sua trasformazione in agenzia Onu. Il tentativo però non è riuscito per l’opposizione di Usa e Brasile, che comunque hanno lasciato uno spiraglio per studiare una diversa formula statutaria in futuro.
 
Gli ambientalisti hanno criticato con forza la conferenza. A loro giudizio questo vertice “è stata un’occasione sprecata”. Al termine della conferenza le associazioni ambientaliste hanno presentato una lettera alle Nazioni Unite in cui prendevano le distanze dal documento: “È mediocre e non è all’altezza dello spirito e dei passi avanti fatti nei vent’anni trascorsi da Rio92. Né è all’altezza dell’importanza e dell’urgenza delle questioni affrontate”. Secondo gli ambientalisti, poi, gli impegni sono “fragili e generici” e “per i prossimi negoziati non garantiscono risultati”.

Rio+20, dicono, “passerà alla storia come la conferenza Onu che ha offerto alla società globale un esito segnato da gravi omissioni. Mette a rischio la conservazione e la resilienza sociale ed ambientale del pianeta, così come ogni garanzia di diritti umani acquisiti per le generazioni presenti e future. Per tutte queste ragioni registriamo la nostra profonda delusione rispetto ai capi di Stato, sotto i cui ordini e guida hanno lavorato i negoziatori, e dichiariamo che non ammettiamo né avalliamo il documento”.

Sulla stessa lunghezza d’onda i sindacati. 
Il segretario generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati (Ituc-Csi), Sharan Burrow, ha dichiarato: “Il movimento sindacale mondiale è seriamente contrariato dalla dichiarazione finale del vertice Rio+20, una dichiarazione che manca delle misure concrete necessarie ora per porre fine alla insensata distruzione dell’ambiente, guidare investimenti nell’economia verde per creare posti di lavoro e ridurre l'allarmante crescita nelle diseguaglianze con la garanzia della protezione sociale per le persone più vulnerabili. Le parole non sono sufficienti”.

E ha aggiunto: “è veramente incredibile per i sindacati e le organizzazioni della società civile che sono venute a sostenere la necessità, per i governanti, di assumere una visione strategica per la giustizia planetaria, vedere che i leader nazionali hanno paura di abbracciare un nuovo modello di sviluppo che integri azioni sul piano ambientale, sociale ed economico”.

“Le decisioni di Rio aprono una serie di processi dagli esiti sconosciuti. Saranno capaci di alzare il livello dei negoziati? Saranno in grado obiettivi di sviluppo sostenibile di soddisfare acquisizioni ambiziose sull’energia, l’alimentazione, i lavori verdi, il lavoro dignitoso, la protezione sociale, il diritto all’acqua?”, si è chiesta polemicamente Sharan Barrow. “Le risposte a queste domande dipenderanno dalla volontà dei governi di sostenere decisioni multilaterali con impegni reali che cambino radicalmente il modello di sviluppo economico dell´economia globale”.

Il fallimento della conferenza di Rio non può che essere valutato negativamente, ma non stupisce: attuare la svolta necessaria nelle politiche ambientali realizzate dai governi dei Paesi più importanti determinerebbe un contrasto evidente con gli interessi economici di soggetti, soprattutto imprenditoriali, molto forti e capaci di condizionare l’azione degli stessi governi. Quella svolta è però indispensabile, e i problemi ambientali rimangono, nella loro gravità. È auspicabile quindi che, al di là degli esiti della conferenza di Rio, si manifesti da parte dei governi dei Paesi di maggiore rilievo un profondo ripensamento delle loro politiche ambientali. O meglio, sarebbe auspicabile che ciò avvenisse.


IL DOCUMENTO: "The future we want", le 57 pagine uscite da Rio+20 contestate dagli ambientalisti

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