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Silvio Berlusconi | Il dissoluto devoto

Con la sua discesa in campo ha proclamato di ambire a una “rivoluzione liberale”. Ma durante la seconda repubblica ha fatto sparire partiti storicamente laici e spinto pure l’opposizione su posizioni confessionali. Raffaele Carcano ripercorre la storia politicamente devota di Silvio Berlusconi sul numero 4/2023 di Nessun Dogma

Berlusconi è morto, viva Berlusconi. Oppure no? È stato celebrato come un grande statista, con funerali di Stato, sospensione dell’attività parlamentare e addirittura il lutto nazionale. Con dirette tv di ore. Non si era mai visto niente del genere, nemmeno per De Gasperi o per Moro. Ovviamente, è stato possibile soltanto perché la sua morte è capitata in un momento in cui al potere c’è la destra (anzi, l’estrema destra).

Le opposizioni sono riuscite a dividersi anche questa volta, con qualcuno interessato a spartirne le spoglie elettorali, qualcuno a partecipare al cordoglio e pochi altri che hanno ricordato le sue peggiori performance. Quasi nessuno, anche al di fuori del mondo politico, ha commentato la sua attività di governo sotto una lente laica.

Per farlo, occorre tornare al 1993. L’inchiesta di Mani pulite mandò effettivamente in crisi il quadro politico, creando una disistima di massa nei confronti del pentapartito al governo (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli: cinque sigle che per gli under 40 non significano probabilmente nulla).

Ne approfittò l’ex-Pci, da poco diventato Pds, che, pur a sua volta toccato da qualche scandalo, seppe creare una coalizione progressista che appariva vincente. Approfittando della nuova legge elettorale maggioritaria a doppio turno, l’alleanza di sinistra conquistò quasi tutte le maggiori città, tranne Milano finita alla Lega. E diventò la principale favorita in caso di elezioni anticipate, ritenute imminenti.

Poco prima del ballottaggio per il Comune di Roma tra l’allora verde Rutelli e il segretario dell’Msi Fini, Silvio Berlusconi si era espresso pubblicamente a favore del secondo. Sino a quel momento era stato “soltanto” un imprenditore di successo nei campi immobiliare, televisivo e sportivo, e nessuno stava troppo a sindacare sulla controversa origine dei suoi mezzi finanziari. Politicamente, era ritenuto vicino al Psi di Craxi.

Però era anche il proprietario del Giornale, che aveva posizioni molto più moderate, e aveva legami estesi con diverse correnti della Dc, e in particolare con Comunione e liberazione. Era stato anche un iscritto alla P2. L’endorsement fece molto clamore: era rarissimo, a quel tempo, che un personaggio pubblico sostenesse apertamente i neofascisti. Si rivelò soltanto l’inizio.

Due mesi dopo, il 26 gennaio 1994, Berlusconi annunciò la sua «discesa in campo» con un famoso video spedito a tutte le televisioni. L’immagine di innovatore, forgiata negli anni dalle sue reti tv, rappresentava il principale elemento su cui appoggiarsi per attirare consensi. Ma una caratteristica centrale era già il deciso anticomunismo, che a modo suo ricostruiva un muro di Berlino caduto soltanto da pochi anni. C’era anche un’esplicita richiesta di collaborazione rivolta al mondo cattolico.

Particolare interessante, citava sì l’importanza della famiglia, ma soltanto dopo quella dell’individuo. In effetti, quando creò Forza Italia (che non concepiva come un partito), Berlusconi riempì i quadri dirigenti di collaboratori aziendali e di politici di estrazione liberale da tempo fuori dal giro (senza dimenticare il sacerdote craxiano Gianni Baget Bozzo). Dichiarava addirittura di ambire a una «rivoluzione liberale»: una sorta di tecno-Malagodi che dava un’attenzione maggiore ai piccoli imprenditori anziché a Confindustria, e al liberismo economico molto più che ai diritti civili. E lo spirito di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher (non a caso, un ex attore e la “figlia del droghiere”) aleggiava molto più di quanto si fosse allora disponibili ad ammettere.

Circondato da molto scetticismo sia nel mondo politico, sia in quello della comunicazione, il sedicente moderato fu rifiutato proprio dal centro, che guidato da Mario Segni sarebbe andato incontro a una storica disfatta. Dopo aver imbarcato nella sua lista anche qualche vecchio marpione della Dc, Berlusconi creò una raffazzonata alleanza elettorale con l’estrema destra e la Lega, dalla geometria variabile tra nord e sud.

Le sue televisioni gli diedero un appoggio decisivo, e riuscì a vincere le elezioni politiche del marzo 1994, tenutesi con un nuovo sistema maggioritario. Nacque il primo governo repubblicano con dentro i neofascisti e i leghisti. I molti mal di pancia di questi ultimi (a cui il magnate aveva drenato milioni di voti) portarono alla caduta dell’esecutivo soltanto sette mesi dopo. Complici anche i primi guai giudiziari, i plateali conflitti d’interesse e la sconfitta alle politiche del 1996, Forza Italia sembrava avviata a un rapido tramonto: una meteora che aveva stupito il mondo intero, ma priva della necessaria consistenza per sopravvivere.

Le cose andarono anche in questo caso diversamente. La Lega, da sola, si rivelò incapace di conservare le amministrazioni conquistate al nord, rientrò all’ovile, e l’arrangiata alleanza di centrodestra col tempo si trasformò nella più stabile coalizione politica della nostra storia, spostandosi sempre più a destra e sdoganando definitivamente partiti che, in Europa, erano giustamente temuti per le posizioni estremiste. Alle elezioni del 2001, la Casa delle libertà si impose largamente.

Il secondo Berlusconi era molto diverso dalla fugace esperienza di sette anni prima. La rivoluzione liberale era finita ancor prima di cominciare, sostituita dalla manifesta repulsione per ogni regola e da un classico populismo panem et circenses. Forza Italia era diventato una vera e propria formazione politica in cui il peso di Comunione e liberazione era aumentato considerevolmente, e aveva aderito al Partito popolare europeo.

La Lega aveva spostato il suo “nemico” dai meridionali agli stranieri, e in questo processo aveva anche abbandonato le suggestioni del dio Po e sposato un cattolicesimo sempre più controriformistico e antislamico. C’erano tutte le premesse per un quinquennio superclericale. Quale in effetti fu.

Lo schiacciamento sull’agenda etica di Wojtyla (e del capo dei vescovi Ruini) fu pressoché totale, a cominciare dal sostegno ufficiale alla richiesta di riconoscimento delle radici cristiane dell’Unione europea, fortunatamente respinta. Sul fronte interno, si verificò il primo consistente aumento di contributi versati alle scuole private.

Nel 2003, con la legge 186, furono introdotti in ruolo gli insegnanti di religione: scelti dai vescovi, ma pagati dallo Stato. Nel febbraio 2004 la ministra Moratti cercò di eliminare l’insegnamento dell’evoluzionismo dai programmi scolastici (e in parte ci riuscì). Nello stesso tempo fu approvata la legge 40, che vietava la fecondazione eterologa, limitava quella assistita, costringeva la madre a farsi impiantare anche gli embrioni malati e interdiceva la ricerca scientifica sugli embrioni: il mancato raggiungimento del quorum nel referendum indetto l’anno seguente per abolirla sarebbe diventato l’emblema della riscossa confessionale nel Paese. Un’intera legislatura piena di provvedimenti graditi alla chiesa cattolica fu suggellata dall’introduzione della famigerata esenzione Ici sugli immobili commerciali di proprietà ecclesiastica.

Il versante clericale fu forse l’unico in cui la maggioranza fu determinata e concreta. Le tante mancate promesse su altri fronti la trascinarono alla sconfitta elettorale del 2006 contro l’Unione, un’alleanza di centrosinistra ancora più rabberciata, moderata ed effimera di quella del 1996, e che infatti durò solo due anni, portando per la terza volta al potere Berlusconi. La cui linea di governo del non far quasi niente divenne definitiva. Ma anche in questo caso riuscì a essere antilaico, con tagli sanguinosi alla ricerca e, soprattutto, la battaglia alla Corte di Strasburgo per imporre il crocifisso nelle scuole pubbliche.

L’episodio più tristemente confessionale fu il decreto-legge del 6 febbraio 2009, con cui cercò di vietare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro. Immediatamente bloccato dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il tentativo fu accompagnato da affermazioni raggelanti: Berlusconi dichiarò che la donna, in coma da 17 anni, aveva «un bell’aspetto», tanto che avrebbe potuto «anche generare un figlio». Il premier non capiva «come ci possano essere persone che non sono d’accordo con noi. A me sembra che non ci sia altro che la volontà di togliersi di mezzo una scomodità».

Scomodo lo stava però diventando proprio Berlusconi, in quanto uscivano sempre nuove rivelazioni sul suo coinvolgimento in scandali sessuali. La circostanza incrinò il rapporto con il Vaticano – almeno fino al caso Boffo. Il direttore di Avvenire, che qualche critica l’aveva formulata, fu fatto fuori dalla divulgazione della notizia che aveva pagato un’ammenda per molestie, notizia che fu pubblicata (largamente ingigantita) proprio dal Giornale di proprietà del primo ministro.

Si era nel 2009 e il messaggio alla nuora arrivò chiarissimo alla suocera: i vescovi si rivelarono comprensivi verso Berlusconi quanto lo erano stati, tanti secoli prima, con peccatori ben peggiori quali Costantino e Carlo Magno. La Chiesa ha da tempo imparato la lezione di Enrico VIII: il ruolo di religione predominante val bene qualche assoluzione. Al punto che, nel 2010, ci fu persino l’imbarazzante richiesta di «contestualizzare» una bestemmia del premier da parte di monsignor Fisichella, cappellano dei parlamentari. Il gregge seguì l’esempio che veniva dall’alto: un’indagine di Demos & Pi mostrò che proprio i cattolici erano i più indulgenti nei confronti delle trasgressioni di Berlusconi.

Il leader era però sempre più impresentabile agli occhi del mondo. Uscito definitivamente da Palazzo Chigi nel 2011 e condannato per frode fiscale nel 2013, i consensi per il suo partito cominciarono progressivamente a calare. Berlusconi è rientrato in Senato poco prima di morire grazie al successo della sua coalizione, spostatasi sempre più a destra e guidata dall’erede politica del neofascismo. In compenso, Forza Italia è diventato il partito più confessionale: quello al cui interno l’elettorato non credente è percentualmente minore, e nello stesso tempo quello in cui (insieme alla Lega) sono proporzionalmente più numerosi i cattolici praticanti. Dimostrando in tal modo sia quanto la fede stia calando nel Paese, sia il totale spaesamento politico dei credenti.

A conti fatti l’ultimo trentennio ha cambiato in peggio la società quasi quanto il ventennio fascista. Se il fascismo aveva quantomeno compattato chi gli si opponeva arrivando a creare anche un terreno alternativo comune, su cui fu poi piantata la costituzione, il berlusconismo ha invece trasformato i suoi avversari in qualcuno che troppo spesso somiglia all’originale.

È stato anche un modello di successo, replicato in Thailandia da Thaksin Shinawatra e in Argentina da Mauricio Macri, che ha influenzato pesantemente anche leader quali Donald Trump e Boris Johnson. I partiti estremisti hanno cominciato a mietere successi elettorali in tutto il vecchio continente e stanno raggiungendo il potere ovunque: una volta ancora, l’Italia è stata soltanto l’avanguardia di una crisi generale della democrazia.

Berlusconi, va riconosciuto, ha incarnato una diffusa esigenza di modernizzazione del Paese già rappresentata in precedenza da Craxi (e in seguito da Renzi) di cui c’è effettivamente gran bisogno. Ma che deve essere declinata razionalmente, non in uscite roboanti fini a sé stesse. Il Drive In unito al clericalismo mignottesco ha fatto più male che bene ai diritti (e al ruolo stesso) delle donne nonché alla sessualità consapevole, più Arabia Saudita che Svezia.

Soprattutto, il leader di Forza Italia ha fatto sparire partiti storicamente laici e ha spinto anche l’opposizione a clericalizzarsi – e ciò proprio nel momento in cui la secolarizzazione ha raggiunto il suo culmine. Senza dimenticare che oggi le trasmissioni del duopolio Rai-Mediaset garantiscono un monopolio pressoché totalitario del pensiero cattolico.

In occasione della morte, il cardinale Ruini ha celebrato il patron di Mediaset per i suoi «meriti storici» per l’Italia: «aver impedito al partito ex comunista di andare al potere nel 1994». Che però ci andò comunque soltanto due anni dopo. È evidente che per la chiesa cattolica i suoi meriti sono ben altri: ma non è opportuno ricordarli, dal momento che continua a goderne e che vuole continuare a goderne ancora per decenni. Bendisposti epigoni di Berlusconi senz’altro non mancheranno.

Raffaele Carcano

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