Quattro decenni fa il disastro di Bhopal. È ancora una “zona di sacrificio”.
Provate a immaginare: un’impresa dell’India operante in territorio statunitense uccide 22.000 cittadini degli Usa e riesce a evadere la giustizia con l’aiuto dello stato indiano. Impensabile, vero?
Il contrario, invece, è esattamente quello che è successo. A Bhopal, India, intorno alla mezzanotte del 2 dicembre 1984, un serbatoio di stoccaggio di un’azienda statunitense produttrice di pesticidi si ruppe, spargendo tonnellate di isocianato di metile nelle comunità vicine e uccidendo rapidamente circa 10.000 persone. Molte delle persone inizialmente sopravvissute svilupparono terribili problemi di salute al sistema immunitario e a quello respiratorio. Si registrarono complessivamente 22.000 morti premature e un numero molte volte superiore di persone sopravvissute con danni permanenti.
Nel 1994 la proprietaria dell’impianto, la statunitense Union Carbide Corporation (Ucc) abbandonò l’impianto senza bonificarlo e senza smaltire correttamente le riserve di prodotti chimici, causando così la grave contaminazione delle fonti idriche e del suolo.
Ne sono derivati danni devastanti e permanenti agli abitanti, che hanno anormalità cromosomiche simili a quelle diagnosticate alle persone esposte all’iniziale perdita di gas. Una percentuale sproporzionata di bambini, i cui genitori erano stati esposti al gas, è nata con disabilità o disordini congeniti. L’incidenza degli aborti e dei parti di bambini morti è assai più alta del normale.
Per impedire alla giustizia statunitense di fare il suo corso, la Ucc sostenne che per i tribunali e le giurie degli Usa, imbevuti di valori e aspettative statunitensi, era impossibile comprendere gli standard di vita delle persone negli insediamenti informali che circondavano l’impianto. Del resto, un accordo sui risarcimenti, tra la Ucc e il governo indiano era stato raggiunto nel 1989: una media di 500 dollari a testa.
Nel 2001 la Ucc venne acquisita dalla Dow, sempre statunitense. Un portavoce dell’impresa disse che “per un indiano 500 dollari vanno più che bene”. Dopodiché, Dow ha sempre negato ogni responsabilità.
Negli anni successivi il governo degli Usa, a volte mediante azioni di lobby non pubbliche, ha fatto pressioni su quello dell’India affinché i cittadini statunitensi coinvolti non fossero chiamati a rispondere alla giustizia e ha contribuito a ostacolare e a ritardare le procedure d’estradizione perché i tribunali potessero giudicare i rappresentanti della Dow. In questo modo, ha rafforzato le disuguali dinamiche di potere che sono, a loro volta, alla base di questa storia.
Ma oltre che di disuguali dinamiche di potere, occorre parlare di razzismo ambientale: tale è stato, dunque, l’aver collocato un impianto per la produzione di pesticidi che stoccava e lavorava sostanze chimiche altamente velenose – e, aggiungiamo, con una manutenzione e controlli sotto gli standard rispetto agli impianti equivalenti della Ucc negli Usa – in una zona densamente popolata, composta prevalentemente da musulmani e da comunità delle caste inferiori che vivevano per lo più in povertà e in insediamenti informali.
Ecco che Bhopal è diventata una “zona di sacrificio”, caratterizzata da danni catastrofici e permanenti alla salute di comunità marginalizzate, a causa dell’avvelenamento dei pozzi d’acqua e della tossicità del suolo.
Amnesty International ha sollecitato ancora una volta la Dow a fare un’analisi sulle sue responsabilità, rispetto a Bhopal, derivanti dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, cui l’azienda afferma pubblicamente di aderire, e di rendere pubbliche le conclusioni di tale analisi. Amnesty International ha anche sollecitato il governo Usa e la stessa Dow a cooperare in tutti i procedimenti giudiziari, compresi i contenziosi penali in corso in India.
L’organizzazione per i diritti umani ha poi chiesto al governo indiano di continuare a esercitare pressioni, in nome delle vittime, per ottenere rimedi giudiziari dalla Dow e ha invitato tutti i partiti politici indiani in competizione per le prossime elezioni di inserire nei loro programmi un impegno per i risarcimenti.
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