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Poste Italiane | Profitto al volante pericolo costante: perché nell’Italia del 2018 i postini muoiono?

Lo scorso 4 maggio sulle strade di Comacchio è morto un 26 enne, studente universitario e portalettere a tempo determinato per Poste Italiane. Nicola, così si chiamava, si è scontrato con un camion mentre era alla guida dello scooter con cui consegnava la posta.

 

Nicola era uno dei 3 mila giovani “a termine” reclutati da Poste Italiane nell’ultimo anno per “rinnovare” la propria rete di recapito. 
Rinnovare la rete per Poste significa innanzitutto rendere il recapito più flessibile per andare incontro alle esigenze degli utenti dell’e-commerce, che è la nuova frontiera per il mercato dei servizi postali. Le lettere, infatti, non le spedisce quasi più nessuno e gli operatori commerciali che scelgono uno strumento digitale per comunicare con i propri clienti sono sempre di più; se non fosse per i pacchi ed i pacchetti dell’e-commerce i portalettere uscirebbero per le consegne con la borsa semi vuota. L’e-commerce vale oltre 23 miliardi di euro e metà del fatturato è costituito da prodotti fisici che devono essere recapitati. Il comparto postale di Poste Italiane è in sofferenza da anni, a dispetto del nome l’azienda è trainata dalle vendite dei servizi finanziari ed assicurativi, che costituiscono il vero core business. Eppure la rete di 30 mila portalettere - unica per capillarità sul territorio - potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale nell’economia degli acquisti digitali, un’utility con cui nessun altro concorrente può competere. 
E infatti a febbraio Poste Italiane ha lanciato un nuovo modello di recapito per andare incontro alle esigenze degli e-retailers come Amazon che si basa sulla consegna serale e nei weekend, nelle zone metropolitane e nei centri urbani. I 30 mila portalettere consegneranno pacchi e pacchetti nei loro giri di recapito della corrispondenza tradizionale e in giri extra organizzati per le consegne dell’e-commerce (es. prime). La parola d’ordine è flessibilità: l’e-commerce richiede consegne veloci, affidabili, tracciate.
Il nuovo modello scardina l’organizzazione tradizionale del recapito perché allunga l’orario di lavoro nella giornata e lo estende (il recapito sarà gestito su 7 giorni settimanali con tre fasce di turni da sei ore per sei giorni); per poter essere implementato c’è bisogno di lavoratori disponibili o, meglio, malleabili. La precarizzazione del posto di lavoro diventa, quindi, lo strumento con cui realizzare l’innovazione.
Nel 2015 Poste Italiane aveva 144 mila dipendenti (FTE), due anni dopo erano diventati 138 mila, a fine aprile erano poco più di 135 mila. Attualmente i lavoratori a tempo determinato sono 8,4 mila mentre quelli a tempo indeterminato 127 mila; l’anno precedente erano rispettivamente 5,4 mila e 132,5 mila. In un anno si sono persi 5,5 mila posti a tempo indeterminato a fronte di 3 mila nuove assunzioni a tempo determinato. L’azienda mira a ridurre le FTE in termini assoluti e ad aumentare la componente precaria. Tutto ciò è coerente con la strategia di conseguire un abbattimento dei costi del lavoro e una maggiore ricattabilità dei lavoratori con la quale ottenere condiscendenza alla mission aziendale.

I postini a tempo come il povero Nicola che lavorano per Poste Italiane ogni 3, 4 o 5 mesi devono guadagnarsi il rinnovo del contratto, accettando di essere sempre più produttivi e dando disponibilità per cambi turni, straordinari, lavoro extra, etc… Proprio in questa settimana (quando è stato scritto il pezzo originale, ndr) a tutti i portalettere con il contratto a tempo determinato è stato fatto firmare un foglio che determina una maggiore flessibiltà oraria. In pratica si potrà lavorare 8 ore su 5 giorni o 6 ore su sei giorni a seconda delle volontà dell'azienda.

Ma la mattina l'organizzazione del lavoro del recapito è impostata sulle 8 ore ed è quasi obbligatorio stare a lavoro finché non si è saturato il da farsi. Questo vuol dire che si resta a lavoro senza essere pagati. E chi si rifiuta di restare a lavoro oltre l'orario? Semplice, non gli viene rinnovato il contratto. Da un paio di mesi in azienda si parla di una stabilizzazione, il miraggio di un contratto a tempo indeterminato è un altro modo per ottenere condiscendenza sul luogo i lavoro. Una promessa che intanto è anche fumo negli occhi dell’opinione pubblica perché come si è visto i dipendenti di Poste Italiane diminuiscono nel complesso.
Insomma, Poste sta facendo quello che fanno tutti i suoi concorrenti: puntare sull’abbattimento dei costi del lavoro riducendo le tutele (altro che innovazione) per cui e nemmeno ci scandalizziamo più (anche se il fatto che il maggiore azionista di Poste è lo Stato un po’ dovrebbe). 

Nell’economia contemporanea, epoca in cui siamo abituati a farci consegnare tutto persino il cibo con cui cenare la sera, i settori legati al trasporto ed al recapito di beni quali logistica, corrieri espresso, servizio postale, riders… sono nevralgici. Sono in forte crescita di fatturato e, naturale conseguenza nel capitalismo, sono pure la frontiera del nuovo sfruttamento del lavoro: turni massacranti, poca sicurezza delle condizioni lavorative, nessuna tutela del posto di lavoro, paghe basse. E’ un settore di cruciale importanza per le lotte dei lavoratori perché essendo così importante la pressione sul controllo dei lavoratori per evitare che prendano consapevolezza e si organizzino è grande. Questo è reso evidente dalla violenza che ha caratterizzato le reazioni e i tentativi di repressione delle manifestazioni e degli scioperi della logistica e dai tentativi di limitare il diritto di sciopero (vedi il contratto della logistica stipulato da sindacati confederati contro cui a febbraio c’è stato lo sciopero generale indetto dai sindacati di base).

In altri settori la lotta è ancora ai primi passi ma promette bene: lo scorso dicembre ci sono stati i primi scioperi negli hub di Amazon, mentre a Bologna a febbraio hanno scioperato i fattorini del food delivery. Il 25 maggio c'è sato uno sciopero generale dei lavorati di Poste proclamate da diverse sigle del sindacalismo di base.
Di certo “la strada” è di per sé un luogo di lavoro pericoloso e insalubre. Ma essere costretti a viverlo sotto il ricatto del rinnovo del contratto, seguendo turni massacranti che si estendono anche alle ore del giorno senza luce, lavorando senza adeguate misure di sicurezza, è quello che rende ogni luogo di lavoro un luogo a rischio per la vita dei lavoratori.
“La strada” è un luogo di lavoro pericoloso e insalubre ma ad ucciderci è la sete di profitto di manager e azionisti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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