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Piccoli Berlusconi crescono

 

 

Per la serie “Piccoli Berlusconi crescono“: in un’epoca di grande spolvero berlusconiano, gli imitatori proliferano .

In quel di Parma, per esempio – pur avendo perso per strada per ragioni anagrafiche e giudiziarie un paio di emuli del cavaliere, ossia Pietro Barilla e Calisto Tanzi (anche loro, ovviamente, “caballeros”, sicuramente di diversa stazza morale e capacità imprenditoriali, ma accomunati dal vizietto della tangente) vantiamo un piccolo Berlusconi fatto in casa, cioè uno che –c ome quell’altro – s’è fatto strada con metodi spicci e sbrigativi, pur opponendo alla visibilità berlusconiana un assoluto understatement che - senza scomodare pletore di avvocati fidati, giudici prezzolati, e magari leggi ad personam – gli ha permesso ugualmente di passare praticamente indenne da tante bufere: Paolo Pizzarotti.

Di quello (Berlusconi) si narra che da piccolo studentello si faceva pagare le copie dei compiti in classe, di questo (Pizzarotti) che a soli diciannove anni, già bramoso di intrapresa, si fa emancipare dal Tribunale per assumere la titolarità della fabbrica fondata dal padre.

Queste le successive tappe del suo “cursus honorum”: nell’anno domini 1992 incappa nell’inchiesta dei giudici di Tangentopoli sui lavori per “Malpensa 2000” (l’aeroporto che sarà inaugurato nel 1998), che si è aggiudicato insieme ad una nutrita compagine di imprese, alcune pubbliche, messe su grazie al miliardo e trecento milioni di tangenti versate alla Democrazia Cristiana.

L’anno dopo, nell’ambito del filone “bergamasco” dell’indagine in corso sull’Anas a livello nazionale, Pizzarotti, la cui impresa si è aggiudicata l’appalto Anas per la costruzione del by pass stradale fra Lenna e Piazza Brembana, un affare da 60 miliardi, interrogato per chiarire se siano state versate tangenti, fa il nome dei due parlamentari “passati all’incasso”, uno democristiano e l’altro socialista.

Assolto in seguito per le tangenti Enel (nello stesso processo in cui viene condannato Bettino Craxi), nonché per le presunte irregolarità relative agli appalti per la strada Ofantina, dove è coimputato con il Dc Angelo Sanza, nel settembre del ’94 Paolo Pizzarotti saldo il conto di Malpensa 2000, concordando coi giudici della sesta sezione penale di Milano una pena di un anno e un mese, oltre a 560 milioni di risarcimento, per le tangenti pagate per aggiudicarsi i lavori.

IL 2 dicembre 1994 esce un articolo del settimanale "L’Espresso” dal titolo “Mani Pulite/Esclusivo: Il caso Concari : “Prandini, io ti accuso”.

Vi si parla della morte del costruttore Piero Concari avvenuta il 12 ottobre 1994. Emerge, tra l’altro, che il suddetto, quarantotto ore prima di suicidarsi proprio nel quartier generale della Impresa Pizzarotti, e cioè il 10 ottobre, aveva presentato al Sostituto Procuratore della Repubblica di Parma, dottor Francesco Saverio Brancaccio, un memoriale contenente pesanti bordate contro il costruttore Paolo Pizzarotti, contro l’ex Ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini e contro il suo proconsole in Emilia Franco Bonferroni.


Nel memoriale si faceva riferimento ad un brevetto che sarebbe stato messo a punto prima di morire dal Concari, brevetto che – a detta anche di un senatore leghista, Luigi Copercini, anche lui imprenditore parmense nel ramo delle fondamenta per costruzioni - “non poteva fare felici gli eventuali nemici o concorrenti di Concari, un uomo vecchio stampo che non amava le cose poco chiare".

Il memoriale verrà poi inviato da sette senatori della Lega Nord in allegato ad un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Procura Generale di Roma e al Ministero della Giustizia, “per evitare che cada nel dimenticatoio".

Nell’esposto si definisce tra l’altro la morte del Concari come “presunto suicidio”, quindi si spiegano le ragioni del dissesto delle sue società, ossia un intreccio politico affaristico che trova riscontro in numerose notizie di stampa, interrogazioni parlamentari e finanche sentenze di Tribunale; si precisa che la Soc. Pizzarotti S.p.A. e la Soc. Incisa S.p.A. sono capofila di numerosi lavori che si svolgono in tutta Italia e in particolare quelli relativi alla realizzazione, in concessione ANAS, della "Ghiare-Bertorella" più volte citata negli appunti dell’imprenditore scomparso; si afferma che è di dominio pubblico che il Sostituto procuratore Brancaccio ha assidue frequentazioni personali con il dottor Paolo Pizzarotti della omonima azienda e con il ragionier Beniamino Ciotti manager del gruppo Ligresti & Gavio e quindi in Parma referente della Incisa S.p.A. e che è pure di pubblico dominio tutta una serie di "fallimenti" sospetti di imprese e aziende parmigiane, che molti sostengono non riconducibili ad uno stato di sofferenza della economia e con procedure definite dagli stessi bene informati "sospette"; e si conclude proponendo l’intervento di ispettori ministeriali, ad evitare ogni sospetto di inquinamento ambientale .

Il Pizzarotti cita tutti quanti, senatori autori dell’esposto e giornalisti dell’Espresso per danni materiali, morali e biologici.

La Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato stabilirà poi nel gennaio 2000 che i senatori hanno esercitato funzioni inerenti al loro mandato parlamentare.
A movimentare ulteriormente gli anni ‘90 della Pizzarotti, e poi anche quelli seguenti, c’è il filone dei pentiti della camorra. Comincia Pasquale Galasso, che fa intuire un sottile gioco estorsivo orchestrato tra notabili democristiani, da una parte, e boss come Raffaele Cutolo, prima, e Carmine Alfieri, poi, dall’altra. La conferma arriva nel 2003, quando la Dia di Napoli si accorge che la camorra imprenditrice dei casalesi, con fortissimi interessi nell’edilizia, è riuscita a estorcere denaro anche a imprese di livello nazionale come la Pizzarotti e a imporre omertà a tecnici che lavorano in zone del Paese diverse da quelle tradizionalmente controllate dalle organizzazioni criminali. Si scopre che un ingegnere della Pizzarotti, Giovanni Negro, è stato schiaffeggiato da un camorrista così violentemente da riportare la perforazione di un timpano, mentre il responsabile locale della società è stato addirittura prelevato e portato al cospetto del boss Francesco Bidognetti (“Cicciotto e’ mezzanotte”), che impone di affidare i subappalti a imprese gradite alla camorra ( proprio in quel periodo il ministro Pietro Lunardi, amico di Pizzarotti e come lui nato nella patria dei prosciutti, diventa famoso per l’invito a «convivere con la mafia»).

Fosse diventata legge allora, la proposta recente del sottosegretario Mantovano di togliere l’appalto a chi non denuncia le ingerenze mafiose, sarebbe stata una bella lezione per i Pizzarotti di turno, sempre pronti a tutti compromessi.

E il bello deve ancora venire, c’è alle viste la madre di tutti gli appalti, quello del ponte sullo Stretto. L’uomo del Ponte è la vecchia cariatide della politica democristiana Giuseppe Zamberletti, messo a capo della società pubblica “Stretto di Messina SpA” , ma nello stesso tempo anche capo dell’IGI - Istituto Grandi Infrastrutture, una potente lobby travestita da centro di studi e ricerche in campo ingegneristico e infrastrutturale, nel cui consiglio di amministrazione ci sono gli esponenti di tutte le più grandi imprese di costruzioni italiane, Pizzarotti compreso, ed anche di determinati istituti bancari. In altre parole, l’ennesimo conflitto d’interessi : come non bastasse la più che probabile alleanza tra Cosa Nostra ed ‘Ndrangheta per spartirsi appalti e subappalti, magari coi soliti metodi e contando sulla solità omertà.

Parma, 15/10/2008

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