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La via giuridica (anche) per il matrimonio gay

Oc­cul­ta­ta dal­la cla­mo­ro­sa sen­ten­za sul­la fe­con­da­zio­ne ete­ro­lo­ga, da Gros­se­to è giun­ta mer­co­le­dì un’al­tra buo­na no­ti­zia. In­so­li­to che in Ita­lia si deb­ba­no re­gi­stra­re in un solo gior­no due buo­ne no­vel­le lai­che. As­so­lu­ta­men­te nor­ma­le che ven­ga­no da qual­che pa­laz­zo di giu­sti­zia: la lai­ci­tà, in Ita­lia, pare pos­sa af­fer­mar­si sol­tan­to per via giu­ri­di­ca.

La sto­ria. Una cop­pia gay ita­lia­na si è spo­sa­ta a fine 2012 a New York. Ha poi pre­sen­ta­to ri­chie­sta di tra­scri­zio­ne in Ita­lia, ma l’uf­fi­cia­le di sta­to ci­vi­le si è ri­fiu­ta­to di far­lo. È al­lo­ra ri­cor­sa alla giu­sti­zia, che le ha dato ra­gio­ne. Se­con­do il tri­bu­na­le di Gros­se­to, nel no­stro or­di­na­men­to non c’è al­cu­na nor­ma che im­pe­di­sce la tra­scri­zio­ne, né “è in­di­vi­dua­bi­le al­cun ri­fe­ri­men­to al ses­so in re­la­zio­ne alle con­di­zio­ni ne­ces­sa­rie” al ma­tri­mo­nio. La tra­scri­zio­ne sa­reb­be per­tan­to do­vu­ta, per­ché “non co­sti­tu­ti­va, ma sol­tan­to cer­ti­fi­ca­ti­va e di pub­bli­ci­tà di un atto già va­li­do di per sé”.

Una de­ci­sio­ne di­rom­pen­te, in un pae­se che alle cop­pie gay e le­sbi­che non ri­co­no­sce nul­la, fi­gu­ria­mo­ci il ma­tri­mo­nio. E che può apri­re a pro­spet­ti­ve ina­spet­ta­te, an­che se pen­de la spa­da di Da­mo­cle di un ri­cor­so con­tro l’at­to del tri­bu­na­le (as­sai pro­ba­bi­le, vi­sto che il pm era di pa­re­re op­po­sto al giu­di­ce). Po­si­ti­vo l’at­teg­gia­men­to del sin­da­co di Gros­se­to, Emi­lio Bo­ni­fa­zi: “il Co­mu­ne, che a suo tem­po ha scel­to di non op­por­si al ri­cor­so, si ade­gue­rà da su­bi­to alle de­ci­sio­ni del tri­bu­na­le sen­za al­cu­na op­po­si­zio­ne”. Come è ov­vio, la no­ti­zia è sta­ta ac­col­ta con en­tu­sia­smo nel mon­do del­l’at­ti­vi­smo lgbt, a par­ti­re dai pre­si­den­ti ono­ra­ri Ar­ci­gay Ser­gio Lo Giu­di­ce e Fran­co Gril­li­ni.

La pro­cu­ra di Gros­se­to ha però de­ci­so in tut­ta fret­ta di pre­sen­ta­re ri­cor­so. Il pro­cu­ra­to­re capo, Fran­ce­sco Ve­ru­sio, ha so­ste­nu­to: “Per for­tu­na esi­ste una sen­ten­za del­la Cas­sa­zio­ne che dice chia­ra­men­te che non si può fare. E ras­si­cu­ra che l’im­pu­gna­zio­ne sarà fat­ta “il pri­ma pos­si­bi­le”. A ben ve­de­re la sen­ten­za del­la Cas­sa­zio­ne cui fa ri­fe­ri­men­to, quel­la del mar­zo 2012, pren­de­va atto del cam­bia­men­to del qua­dro le­gi­sla­ti­vo in Eu­ro­pa, ri­co­no­scen­do il di­rit­to di una “vita fa­mi­lia­re” e a “un trat­ta­men­to omo­ge­neo a quel­lo as­si­cu­ra­to alla cop­pia co­niu­ga­ta” per i con­vi­ven­ti omo­ses­sua­li. Ma ri­fiu­ta­va la tra­scri­zio­ne del­le noz­ze gay con­trat­te al­l’e­ste­ro og­get­to del con­ten­de­re così: “di­pen­de non più dal­la loro ine­si­sten­za e nep­pu­re dal­la loro in­va­li­di­tà ma dal­la loro ini­do­nei­tà a pro­dur­re qua­li atti di ma­tri­mo­nio, ap­pun­to, qual­sia­si ef­fet­to giu­ri­di­co nel­l’or­di­na­men­to ita­lia­no”. I mar­gi­ni quin­di ci sa­reb­be­ro, se solo la po­li­ti­ca aves­se il co­rag­gio di in­ter­ve­ni­re con una leg­ge

Come è al­tret­tan­to ov­vio, ci sono sta­te de­ci­se rea­zio­ni con­tra­rie dal mon­do cat­to­li­co, già scos­so dal­la sen­ten­za del­la Con­sul­ta sul­la fe­con­da­zio­ne ete­ro­lo­ga. La Con­fe­ren­za Epi­sco­pa­le ha ri­ba­di­to che “il ma­tri­mo­nio è l’u­nio­ne tra un uomo e una don­na”: nul­la da dire, ov­via­men­te, se solo si li­mi­tas­se a espri­me­re un’o­pi­nio­ne e non a pre­ten­de­re che la le­gi­sla­zio­ne ita­lia­na le si ade­gui. La Cei non teme di sfio­ra­re il ri­di­co­lo so­ste­nen­do che con la sen­ten­za “per­fi­no si ri­du­co­no gli spa­zi per un con­fron­to aper­to e lea­le tra le di­ver­se vi­sio­ni che abi­ta­no la no­stra so­cie­tà plu­ra­le”, tan­to da de­fi­ni­re l’at­to “uno strap­po, una pe­ri­co­lo­sa fuga in avan­ti di ca­rat­te­re for­te­men­te ideo­lo­gi­co”.

Se an­che fos­se, è sem­pre mol­to me­glio che una fuga al­l’in­die­tro di ca­rat­te­re for­te­men­te dot­tri­na­rio. Ma le fu­ghe in avan­ti sono in real­tà quel­le che tan­ti cit­ta­di­ni sono co­stret­ti a com­pie­re per ve­de­re ri­co­no­sciu­ti al­tro­ve quei di­rit­ti ne­ga­ti loro da un pae­se trop­po con­di­zio­na­to dal­le ge­rar­chie ec­cle­sia­sti­che.

Uno de­gli spo­si, Giu­sep­pe Chi­giot­ti, ha di­chia­ra­to Re­pub­bli­ca Tv di es­se­re ri­cor­so alla giu­sti­zia “solo per­ché non ab­bia­mo fi­du­cia nel­la clas­se po­li­ti­ca ita­lia­na: sap­pia­mo che in Ita­lia non sarà mai pos­si­bi­le”. Non è det­to: in fon­do, an­che a New York, solo un de­cen­nio fa, sa­reb­be sem­bra­to im­pos­si­bi­le. Chi­giot­ti è ar­ri­va­to a so­ste­ne­re che “ci sono po­li­ti­ci gay che non di­chia­ra­no la loro omo­ses­sua­li­tà, e che ma­ga­ri sono spo­sa­ti al­l’e­ste­ro”.

Un’af­fer­ma­zio­ne da di­mo­stra­re, que­st’ul­ti­ma: re­sta il fat­to che al­l’e­ste­ro “è me­glio”, sem­pre me­glio ri­spet­to a que­sta po­ve­ra ita­liet­ta cle­ri­ca­le. E non solo per i po­li­ti­ci che si ver­go­gna­no di fare co­ming out, ma an­che per chi vuo­le di­vor­zia­re, per chi vuo­le ri­cor­re­re alla fe­con­da­zio­ne ar­ti­fi­cia­le (al­me­no fino al­l’al­tro ieri), per gli omo­ses­sua­li che vo­glio­no ave­re di­rit­ti che qui sono co­stan­te­men­te ne­ga­ti.

A chi par­la di de­ri­va, oc­cor­re ri­cor­da­re che al­l’e­ste­ro que­sti di­rit­ti sono ri­co­no­sciu­ti da anni sen­za che si as­si­sta ad al­cu­na de­ri­va. L’I­ta­lia è un pae­se che ha ben poco da in­se­gna­re, in que­sto mo­men­to. E al­tret­tan­to si può dire per la Cit­tà del Va­ti­ca­no.

 

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