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La questione immigrazione come confronto ideologico.

Da giorni sui media impera la polemica circa le improvvide dichiarazioni sulla “sostituzione etnica” fatte dal Ministro Lollobrigida al Congresso della CISAL. Dopo aver letto le dichiarazioni di entrambe le parti non posso fare a meno di constare il bassissimo livello del confronto. 

Ai fini del ragionamento che mi appresto a sviluppare non posso fare a meno di prendere le mosse dalla definizione che la Treccani da del termine etnia << In etnologia e antropologia, aggruppamento umano basato su caratteri culturali e linguistici. Spesso usato , nel linguaggio giornalistico, con il sig. di minoranza nazionale, gruppo etnico minoritario>>[1]. Storicamente, sin dalle sue origini l’umanità si è sempre mescolata, la “sostituzione etnica” alla quale ha fatto riferimento il Ministro Lollobrigida come pericolo e le opposizioni per gridare allo scandalo parlando di razzismo è parte integrante della Storia dell’Umanità.

La popolazione di Paesi come Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto è composta da Berberi e Arabi quest’ultimi hanno modificato la cultura degli autoctoni introducendo l’Islam . Altro esempio di “sostituzione etnica” è l’America Latina dove le popolazioni indigene si sono mescolate prima con gli spagnoli e dalla fine dell’800 con gli immigrati provenienti da diverse parti dell’Europa e , nel caso del Perù, di asiatici in particolare giapponesi. Stessa cosa dicasi degli Stati Uniti dove a partire dall’indipendenza: tedeschi, irlandesi, italiani, slavi e negli ultimi decenni asiatici e latini si sono riversati entro i confini di quello stato dando origine a una società multietnica dove il collante è dato dall’accettazione del modello economico neoliberale. Negli ultimi decenni l’Italia da terra di emigrazione è diventata meta di immigrati.

Il primo intervento normativo in materia di immigrazione è la Legge 28 febbraio 1990, n. 39, c.d. “Legge Martelli” dal nome del proponente. Allora gli immigrati residenti erano 600.000 a fronte dei 5.030.716 al 31 dicembre 2021 dato Istat. Secondo L’Eurispes il 50% degli immigrati ha origine europea, in particolare rumeni, albanesi ed ucraini; il 21,7% africana con una forte componente marocchina; il 20,8% asiatica con una forte presenza; infine americana. Il 57,5% degli immigrati risiede nell’Italia settentrionale, il 25,4% al Centro, il 17,1% nel Mezzogiorno. Il 65,9% degli immigrati è occupata nel servizi, di questo il 20,8% nel commercio, alberghi e ristorazione; il 27,7% nell’industria; il 6,4% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca. Incidono per il 17,9% sul totale degli occupati in agricoltura, per l’11,2% nell’industria, per il 9,9% nei servizi . Un terzo dei lavoratori immigrati svolge lavori non qualificati , tra gli italiani la percentuale è l’8,2%.

Al netto delle banalità dovute alla contrapposizione ideologica tra “ buoni” e “ cattivi” la questione è provare a ragionare sugli effetti che l’immigrazione sta avendo sul tessuto sociale, economico e politico italiano oltre che sull’oggetto del contendere ossia l’etnia. In merito agli effetti sul piano economico, in particolare su salari e mercato del lavoro, hanno provato a rispondere due validi economisti con un loro studio che merita di essere letto e approfondito e al quale faccio esplicito riferimento. Scrivono A. Barba e M. Pivetti << Il capitalismo non necessita soltanto di disoccupati; è indispensabile che essi siano anche disposti ad accettare ogni occupazione e ogni salario. Questo è il motivo per cui i capitalisti lamentano mancanza di braccia anche nei periodi in cui le schiere dei disoccupati si vanno rinfoltendo. Ed è proprio in questo preciso senso che l’immigrazione rappresenta oggi un importante bacino di reclutamento dell’esercito industriale di riserva. Si realizza attraverso l’immigrazione una vera e propria sostituzione nelle fila dell’esercito industriale stagnante. (…) Privo delle più elementari forme di tutela che proteggono gli indigeni e portatore di una “convenzione” frutto di un ben più arretrato grado di sviluppo socio – economico, l’immigrato esercita una pressione al ribasso sul salario che non dipende soltanto dal suo sommarsi all’offerta di manodopera autoctona, ma anche dal suo trovarsi in una condizione di povertà e di bisogno dalla quali i salariati autoctoni si sono in diversa misura emancipati.(…) gli immigrati costituiscono l’alimento privilegiato di cui questa massa si nutre, sia perché la loro offerta è potenzialmente illimitata, sia perché essi sono in grado di riportare indietro di secoli le lancette del grado di sviluppo sociale della classe lavoratrice.(…) >> [2].

Gli Autori continuano oltre evidenziando << La fuorviante affermazione secondo la quale “ gli immigrati fanno lavori che i nativi non vogliono più fare” deve essere compresa proprio come espressione della lotta che attualmente i secondi sono costretti a ingaggiare con i primi. Si tratta del rifiuto , da parte dei nativi , non del rifiuto della mansione che deve essere svolta, ma del discendere nello svolgerla sul più basso piano possibile in termini di condizioni lavorative e remunerative>>[3].

Effetto al ribasso da attribuire alla contesto sociale e culturale di provenienza degli immigrati. In linea di massima gli immigrati sono portatori di istanze conservatrici, in molti casi addirittura reazionarie, il livello di istruzione è molto basso: il 54,1% possiede al massimo la licenza media. Provengono da contesti culturali nei quali Democrazia, diritti sociali, pluralismo culturale e politico, libertà di stampa ecc. non hanno cittadinanza. Costoro guardano all’Occidente liberalcapitalista come lo stile di vita al quale tendere, inconsapevoli che il sistema al quale aspirano è causa della loro immigrazione e dello sfruttamento al quale sono sottoposti nel paese di partenza e in quello di arrivo. Il Corriere della sera del 24 luglio 2017 condusse una specifica indagine sul tema << I richiedenti asilo sono in gran parte privi di istruzione e rappresentano il tipo di persone che altri governi europei preferiscono confinare in Italia. (…) >> Lo studio del Corriere della Sera si spinge fino al punto da sostenere che in ambito U.E. siamo in presenza di una vera e propria competizione finalizzata alla selezione di quegli immigrati formati capaci di portare valore aggiunto alle rispettive economie. Lo studio del Corriere della Sera evidenziava come l’Italia che da sempre sconta una penuria di laureati oggi che è prossima a raggiungere gli standard degli altri Paesi sviluppati vede la propria manodopera qualificata emigrare sostituita da manodopera dequalificata con basso valore aggiunto. Da qui si evince che le politiche messe in campo dai Governi italiani non puntano a competere con i Paesi più avanzati ma con quelli arretrati. Stando sempre a questo studio, l’apporto degli immigrati al potenziale di crescita del Paese è minore rispetto al contribuito che gli immigrati danno ad altri Paesi tipo Germania, Francia, Uk ecc.. 

Le critiche al Ministro Lollobrigida si sono soffermate sul fatto che l’agricoltura italiana ha bisogno di manodopera a basso costo da impiegare nella raccolta di frutta e ortaggi o, per quanto riguarda le inefficienze del welfare state, di donne ucraine e rumene avvalorando in questo modo lo studio condotto dal Corriere e cioè che gli immigrati contribuiscono in misura inferiore alla nostra crescita rispetto a ciò che succede in altri Paesi Ue dove la manodopera immigrata è molto più qualificata. Barba e Pivetti hanno fatto emergere una serie di contraddizioni presenti nella narrazione mainstream per la quale gli immigrati pagherebbero il nostro welfare e addirittura le nostre pensioni.  Scrivono in merito Barba e Pivetti << Nel discutere tale questione è opportuno distinguere tra l’impatto fiscale netto immediato, o di breve periodo, di ogni successiva ondata migratoria annuale e l’impatto di più lungo periodo, quello appunto connesso con il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione autoctona.(…) >> In sostanza l’arrivo di immigrati poveri ai quali fornire assistenza, garantire servizi sociali quali sanità, istruzione, ecc, costano, in termini di spesa pubblica, più del contributo che essi possono dare in termini di maggiori entrate per lo Stato. Per quanto riguarda l’impatto sul lungo periodo << Se per ogni afflusso migratorio annuale il tasso di fertilità della sua componente femminile fosse uguale al tasso di ricambio naturale, gli immigrati e i loro figli, se occupati, potrebbero al massimo riuscire a pagare le loro pensioni e la loro sanità, non le nostre(…). Il punto che qui importa sottolineare è che nel lungo periodo il contributo della popolazione immigrata, anche nelle ipotesi più favorevoli circa il suo tasso di fertilità, non è affatto indispensabile alla sostenibilità del sistema pensionistico e sanitario(…)[4]>> Per quanto riguarda la crisi demografica politiche generose verso la famiglia, come dimostra il caso francese e non solo riescono ad avere anche senza immigrati una crescita sostenuta delle rispettive popolazioni. Ritornando ai dati sull’immigrazione in Italia essendo gli immigrati per oltre la metà residenti nel settentrione non possono risolvere la crisi demografica avvertita in prevalenza nel Mezzogiorno. Crisi demografica aggravata dall’emigrazione che vede le giovani generazioni e con esse i genitori emigrare verso quelle aree dell’Italia che offrono maggiori occasioni di impiego. Nel saggio al quale faccio riferimento i due autori avanzano anche delle soluzioni quali il contrasto all’immigrazione clandestina e la regolamentazione degli ingressi per motivi di lavoro [5] . Le soluzioni avanzate dai due economisti hanno come scopo quello di evitare l’indebolimento del potere contrattuale dei salariati e di peggioramento delle condizioni dei ceti popolari. Effetti questi deleteri per il nostro sistema economico e per la tenuta sociale. Adottare le soluzioni proposte dai due economisti equivale a scegliere il modello sociale ed economico da perseguire sia all’interno che a livello internazionale partendo dal rilancio del ruolo dello Stato in economia come strumento di controllo e freno del liberalcapitalismo e quindi del mercato. Infatti liberalizzare l’immigrazione equivale ad assecondare la logica liberalcapitalista con effetti devastanti sul piano sociale delle comunità che accolgono gli immigrati. La Rivista di geopolitica Limes[6] ha trattato i modelli di immigrazione propri del Regno Unito e della Francia evidenziandone i fallimenti con i relativi conflitti sociali che essi hanno causato in quei Paesi. Lo scrittore francese Michel Houellebecq in un suo romanzo a carattere “ politologico” [7], che ha suscitato critiche e accuse di razzismo, analizza i possibili sviluppi ai quali potrebbe andare incontro la società francese nel caso in cui l’elemento islamico prendesse il sopravvento. B. Maris[8] ha analizzato l’opera di Houellebcq dal punto di vista economico evidenziando come essa non fa altro che evidenziare le criticità di un mondo globalizzato dominato dal liberalcapitalismo e di come l’imigrazione sia ad esso funzionale. Sul piano dell’etnia, da intendere secondo la definizione data dalla Treccani, una massa critica di milioni di immigrati ha sicuramente un approccio diverso rispetto a questioni quali Democrazia, diritti sociali, religione ecc. La Democrazia non è un valore universale , essa è il risultato di un lungo processo storico che ha visto le società occidentali trasformarsi lentamente attraverso lotte spesso sanguinose. Per il liberalcapitalismo le differenze etniche sono fonti di esternalità che impediscono il naturale funzionamento del mercato per cui la soluzione, di fronte a potenziali conflitti che investirebbero la sfera dei diritti sociali, dei diritti di libertà, di religione ecc., potrebbe essere una svolta in senso autoritario che porterebbe ad un sostanziale arretramento in termini di Democrazia, Uguaglianza sociale e diritti di libertà. In conclusione la questione è molto complessa ed è per questa ragione che sarebbe utili un confronto non ideologico sul tema in grado di offrire una prospettiva credibile ed accettabil

 


[1] Enciclopedia Treccani on line alla voce “Etnia”

[2] A. Barba , M. Pivetti. Il lavoro importato. Immigrazione, Salari e Stato sociale. Ed. Meltemi 2019 pag. 71

[3] Ibidem nota 1 pag. 72

[4] Ibidem nota 2 pagg. 79 e 80

[5] Ibidem pag. 135

[6] Rivista Limes n. 1 anno 2018

[7] F. Houellebecq . Sottomissione. Bompiani 2015

[8] B. Maris. Houellebecq economista. Ed. Bompiani 2015 

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