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L’etica laica del mattoncino. Come un’azienda può mostrarsi più attenta ai diritti di tanti stati.

Cosa c’entrano i famosi mattoncini con laicità, diritti e inclusività? Ce ne parla Mosè Viero sul n. 2/2022 della rivista Nessun Dogma
 

I mattoncini Lego sono il giocattolo più venduto al mondo: più degli orsetti di peluche, più della bambola Barbie, più del Monopoly. Nonostante sia cambiato quasi tutto dal momento della loro ideazione, negli anni cinquanta del novecento, i mattoncini di plastica danesi resistono ai mutamenti delle mode e dei costumi con una forza insospettata.

Certo non è stato, il loro, un percorso privo di accidenti: l’azienda rischiò di fallire agli inizi degli anni duemila, proprio nel momento in cui cercava di cambiare la sua mission per assecondare quelle che sembravano essere le nuove tendenze nell’intrattenimento dei bambini. Ma i videogiochi Lego e i set iper-semplificati di quegli anni privavano di senso tutto il sistema: l’azienda se ne rese conto e tornò sui propri passi.

Nell’arco di poche stagioni il mattoncino danese ritornò a dominare il mercato e anzi si espanse come mai prima, soprattutto grazie all’acquisizione di importanti licenze (Star Wars, Harry Potter) e alla geniale idea di cominciare a solleticare l’effetto nostalgia dei bambini nel frattempo diventati adulti.

Oggi gli Afol (Adult fan of Lego) rappresentano tra il 10 e il 20 per cento del mercato del mattoncino, con set complessi e costosi appositamente pensati per loro e centinaia di fiere e manifestazioni organizzate in tutto il mondo, che permettono ad adulti e bambini di entrare in contatto con creazioni incredibilmente elaborate, che mostrano l’impensabile duttilità di questo sistema di costruzioni, i cui componenti sono ancora tutti compatibili tra loro dopo quasi settant’anni di ininterrotta produzione.

La nascita di un collezionismo specializzato diffuso ha avuto come effetto collaterale la quotazione vertiginosa dei set fuori produzione, soprattutto quando al loro interno c’è qualche pezzo raro: si è arrivati al punto che alcuni esperti di finanza hanno indicato i mattoncini Lego come un investimento migliore del mattone vero e proprio, e perfino dell’oro.

Una anomalia degna di nota dell’azienda produttrice dei mattoncini è che nonostante i suoi bilanci milionari non è mai diventata una multinazionale: è ancora un’azienda di famiglia e appartiene tuttora ai discendenti del fondatore Ole Kirk Christiansen, morto nel 1958. Fino al 2004 questi ultimi hanno diretto il gruppo senza ricorrere ad aiuti esterni: fu proprio la crisi di quegli anni a convincerli a ritirarsi da ruoli direttivi e a ricorrere a manager di provata esperienza internazionale. Il fondatore, però, diede fin da subito alla sua azienda una impronta ‘etica’ molto marcata, dalla quale la famiglia ha ripetutamente dimostrato di non volersi staccare, anche dopo aver ceduto le redini del controllo diretto.

Il punto centrale di questa impronta è il rifiuto della violenza: Christiansen fu testimone diretto dei massacri delle guerre mondiali e fece scrivere nello statuto della sua azienda che quest’ultima mai e poi mai avrebbe promosso il gioco che li evocasse. Certo, col tempo questa posizione è stata un po’ ammorbidita: oggi Lego evita di rappresentare la guerra solo in forme realistiche e contemporanee, ma nei set storici come quelli appartenenti alle linee Castle e Pirates e nei set fantasy come quelli di Star Wars e Ninjago (marchio creato da Lego ed evocante le vicende di cinque ninja in un oriente vagamente steampunk) armi e conflitto sono molto presenti e anzi quasi sempre al centro della rappresentazione. D’altro canto, nei set della serie City, realistici e ‘contemporanei’, lo statuto dell’azienda dà vita a fattispecie ironiche e paradossali, come poliziotti disarmati che inseguono i ladri semplicemente sventolandogli contro le manette (fig.01).

Altre volte Lego cerca di aggirare i suoi stessi principi con mosse maldestre: nel 2020 venne annunciato, prodotto e distribuito, nell’ambito della serie Technic, un set rappresentante un elicottero militare, il Bell Boeing Osprey, ‘travestito’ per l’occasione da elicottero di salvataggio, funzione che nella sua storia non ha mai avuto (fig. 02). Travolta dalle critiche, l’azienda fece marcia indietro all’ultimo momento, ritirando dalla vendita il set dopo che aveva già raggiunto i negozi, con grande disappunto di molti fan.

L’etica Lego comunque non riguarda solo la violenza ma anche temi più vicini a quelli a noi più cari. Da sempre, l’azienda danese evita riferimenti diretti alla religione, nell’intento di proiettare i suoi set in una dimensione generica e universale e quindi gradita a clienti di ogni tipo. In questo caso la fedeltà alla linea è più rigorosa: non solo non esistono chiese o monasteri nella linea City, ma non esistono edifici simili nemmeno nelle collane storiche, come Castle o Western, dove peraltro la loro mancanza è evidente nel ‘paesaggio’, tanto che i fan ne hanno ripetutamente chiesto la creazione, senza però essere ascoltati.

Le eccezioni a questo approccio ‘laico’ sono davvero pochissime: Lego produsse una chiesa nel 1957 (è il set numero 1309, fig. 03), riferimenti a idoli religiosi sono presenti come curiosità archeologiche in qualche set della serie Indiana Jones (nel set 7621, fig. 04, ci sono statue di Anubi e l’arca dell’alleanza, per esempio), e nel 1989 venne realizzato un piccolo set natalizio rappresentante un angelo (1626, fig. 05). Per il resto, le uniche chiese presenti in set ufficiali sono monumenti appartenenti alla serie per adulti Architecture, come la basilica di San Marco nel set 20126 Venice (fig. 06).

Anche sul tema dell’eguaglianza di genere Lego prende spesso posizione tramite i suoi set, ma in questo caso con modalità un po’ contraddittorie. Nei primi decenni della sua storia, l’azienda produceva set del tutto neutri dal punto di vista del genere e arrivò a codificare questa sua neutralità in termini esplicitissimi: è celebre la lettera ai genitori inclusa in molti set venduti negli Stati Uniti nel 1974, che val la pena riportare per esteso (fig. 07).

L’urgenza di creare è egualmente forte in tutti i bambini. Maschi e femmine.

È l’immaginazione che conta. Non l’abilità. Costruisci quello che ti passa per la testa, nel modo in cui preferisci. Un letto o un camion. Una casa di bambole o un’astronave.

Molti bambini maschi amano le case di bambole. Sono più umane delle astronavi.

Molte bambine femmine amano le astronavi. Sono più eccitanti delle case di bambole.

La cosa più importante è mettere nelle loro mani i mattoncini e lasciare che creino quello che vogliono.

Una simile presa di posizione suonava come radicale negli anni settanta, un’epoca in cui i giocattoli erano divisi rigorosamente in quelli “per bimbi”, con palloni e pistole, e “per bimbe”, con bambole e finti utensili da cucina. Una divisione che, ahinoi, spesso troviamo anche al giorno d’oggi nei negozi specializzati.

Questo rigore all’insegna della gender neutrality però scomparve nel 2012, quando Lego diede vita alla sua prima serie pensata esplicitamente per bimbe, la serie Friends, incentrata sulla rappresentazione della vita spensierata di cinque ragazzine (Andrea, Olivia, Stephanie, Mia e Emma), ciascuna con la sua passione particolare. Le protagoniste, che peraltro pur essendo rappresentate come preadolescenti sono però in grado di guidare automobili, popolano set coloratissimi e caratterizzati da un grande livello di dettaglio nella simulazione della vita quotidiana, con elementi mai visti prima nella ‘normale’ serie City, come per esempio le toilette e le tavole preparate con piatti e posate (fig. 08).

La serie ha un enorme successo, forse anche per via dell’entusiasmo che per essa hanno gli Afol, preoccupati solo di mettere le mani su mattoncini nuovi o dai colori inediti: negli anni successivi vennero prodotte altre serie per bimbe, che usano lo stesso stile particolare per le minifigure, chiamate minidolls e molto più dettagliate di quelle tradizionali (anche se con minore snodabilità a causa della scarsa presenza di giunti). La contraddizione tra queste collane e il rigore all’insegna della neutralità di genere nello statuto dell’azienda è accentuato dal fatto che negli stessi anni in cui furoreggia la serie Friends Lego produce anche set fortemente ideologizzati proprio in riguardo a questo tema: per esempio il set 21110 Research Institute, che rappresenta tre scienziate al lavoro (fig. 09), o il set 21312 Women of Nasa, che celebra quattro importanti ricercatrici dell’agenzia spaziale americana (fig. 10).

Qualcosa però sembra stia per cambiare. Negli ultimi mesi del 2021 Lego ha commissionato un sondaggio tra i suoi consumatori, e pare che tra le lamentele più diffuse vi sia proprio la presenza di collane separate per bimbe e per bimbi: l’azienda ha quindi annunciato ufficialmente che si impegnerà sempre di più per eliminare dai suoi prodotti ogni “stereotipo di genere”. Questo è stato subito interpretato come la fine imminente della collana Friends e dei suoi derivati, e forse anche delle minidolls. A consacrare il nuovo impegno dell’azienda danese verso queste tematiche è un set che ha fatto molto scalpore, il 40516 Everyone is awesome, pubblicato nel maggio 2021 (fig. 11).

Si tratta semplicemente di 11 minifigure di colori diversi, collocate su una base a strisce colorate, che ricorda le bandiere dei movimenti Lgbt+; il nome reinterpreta il refrain della canzone-tema del The Lego Movie, film di enorme successo prodotto dall’azienda nel 2014, intitolata Everything is awesome (diventata semplicemente È meraviglioso nell’edizione italiana). Il set 40516 proietta il mattoncino danese tra gli alleati più forti dei movimenti per la gender equality e la libertà di scelta in campo sessuale: peraltro il disappunto espresso da tanti Afol, sorretto dal consueto e reazionario motto “lasciate la politica fuori dal gioco”, mostra che c’è tanto lavoro da fare anche tra gli adulti che passano il loro tempo scatenando la propria creatività incastrando tra loro questi innocui (o forse no) mattoncini di plastica.

Mosè Viero

 

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