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L’Europa di Giorgia Meloni: l’ascesa e le sfide della Destra nazional-conservatrice

Da anni una nuova corrente politica sta gradualmente ridefinendo la Destra europea. Si chiama “nazional-conservatorismo” ed è la matrice politica attorno a cui analizzare la crescita politica di partiti come Fratelli d’Italia e di leader quali il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

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 Oltre il sovranismo, oltre il populismo, la nuova destra si basa su valori occidentalisti, conservatori, atlantisti e chiamati a rivendicare determinate forme di nazionalismo. Il pivot non sono più solo gli Usa. Per questa nuova Destra ora faro politico e modello è Israele ma l’atteggiamento di Benjamin Netanyahu può creare imbarazzi. Vediamone assieme prospettive e sfide.

La destra in cerca d’autore

Dopo la fine della presidenza di Donald Trump a seguito delle elezioni presidenziali Usa del 2020 la destra europea ha gradualmente riorientato le sue visioni di riferimento e l’ascesa di Fratelli d’Italia è coincisa con la spinta a superare la tradizionale postura sovranista e populista con una proiezione nazional-conservatrice, meno focalizzata sull’identitarismo di stampo nazionale e più legata a valori comuni di matrice occidentalista.

Riprendendo un conservatorismo di stampo anglosassone e declinandolo in versione europea, Fdi e il suo gruppo politico Ecr (Conservatori e Riformisti Europei) al Parlamento europeo hanno creato una breccia nella politica comunitaria.

Il teorico principale del moderno “conservatorismo nazionale” non legato solo alle tradizionali referenze anglosassoni in campo economico e di garanzia dei diritti individuali ma anche a una proiezione contemporanea del senso delle nazioni e del loro ruolo nella Storia come argini al flusso della globalizzazione viene da Israele. Parliamo del filosofo israeliano Yoram Hazony, che ha contribuito col suo saggio Le virtù del nazionalismo a garantire un riferimento ideologico forte al nuovo conservatorismo nazionale.

Hazony e il “conservatorismo nazionale”

“Per Hazony”, nota Il Pensiero Storico, “tutte le dottrine e le religioni universali, dal cattolicesimo all’Islam, dal marxismo al liberalismo, hanno una teoria di salvezza del mondo cui ritengono di poter garantire pace e prosperità in cambio della rinuncia al particolarismo politico, culturale e religioso, e – di conseguenza – all’indipendenza”.

I “patrioti” nazionalisti in senso moderno, nella visione di Hazony, riscoprono la forza del valore nazionale della politica nel contesto di un’interdipendenza tra Stati, pongono argini alle pulsioni della globalizzazione con una visione conservatrice sul fronte interno ma capace di creare sinergie sul mutuo rispetto delle differenze.

Così si muovono, nella prassi, i conservatori europei, che attorno a un nucleo forte di visioni (atlantismo in politica estera, anti-progressismo sui temi civili, attenzione ai temi securitari) sviluppano un pluralismo che si vede nelle varie forze che compongono l’unico gruppo non imperniato su un grande partito tedesco tra le famiglie istituzionali europee: Fdi, i polacchi di Diritto e Giustizia, gli spagnoli di Vox, i Democratici Svedesi e via dicendo.

Laddove il sovranismo e il populismo mettevano sulla dialettica popolo-élite il confronto politico, certo utilizzando a questi fini la visione nazionale, il conservatorismo nazionale riporta la faglia sulla scia del dualismo tra nazione e globalizzazione, tra i quali bisogna stabilire con attenzione i confini e i limiti. Risulta un’ideologia politica funzionale a chiarire il rapporto tra le destre in cerca di riferimenti e la nuova fase in cui la pandemia, la guerra in Ucraina, il confronto Occidente-Cina e la crisi energetica hanno richiamato in campo gli Stati e messo il tema della sicurezza (economica, industriale, sociale) al centro.

L’alleanza globale dei conservatori

Non più sciovinismo del welfare o denuncia dell’austerità, ma richiamo a valori comuni occidentali in campo politico-economico; non più diffidenza verso le organizzazioni internazionali ma loro concezione ancillare agli interessi nazionali; non più visioni ideologiche di pura derivazione americana ma un’ibridazione tra la guida ideologica anglosassone e il resto dell’Occidente: il conservatorismo nazionale è in ascesa, la vittoria di Fdi e del centrodestra alle elezioni italiane e il ruolo chiave dei Democratici Svedesi nella formazione del governo svedese lo testimonia; il passaggio in Ecr dei Veri Finlandesi dopo il recente boom elettorale e il ruolo chiave assunto dalla Polonia catto-conservatrice lo confermano; L’alleanza tra Vox e i Popolari spagnoli, con vista governo, può darne l’incoronazione definitiva.

Una nazione, poi, rappresenta al momento croce e delizia della corsa globale dei nuovi conservatori: Israele. Centro propulsivo del nuovo pensiero politico nazional-conservatore con l’operato di Hazony, ma anche Spada di Damocle sulla fattibilità di un progetto che ha visto un anticipatore nelle politiche del passato del premier Benjamin Netanyahu ma ora pone una minaccia per la virata estremista dell’esecutivo di “Bibi”.

Il 9 marzo Benjamin Netanyahu è stato a Roma per incontrare Giorgia Meloni in un bilaterale di alto profilo politico con cui il governo israeliano ha voluto riaffermare la continuità dei rapporti con Roma e in cui i due leader strutturato ulteriormente una sintonia personale che per Meloni si inserisce nella strategia di ridefinizione della destra europea.

L’affinità elettiva tra Meloni e Israele, in quest’ottica, si inserisce nella rimodulazione politica in atto a cui contribuisce anche l’ascesa della destra conservatrice italiana, di cui il premier è anche referente comunitario come presidente dei conservatori comunitari.

E nel quadro delle nuove linee politiche dei conservatori europei il chiaro e fermo sostegno a Israele è una priorità politica unificante. Molto più che nella galassia politica sovranista tradizionale, ove il tema valoriale si poneva principalmente in chiave di contrasto alla criminalità e all’immigrazione clandestina.

In quest’ottica l’importanza di Israele nella visione del conservatorismo nazionale va molto oltre il ruolo di Hazony come teorico. Il filosofo e biblista vive in un contesto che è reputato il laboratorio ideale del conservatorismo nazionale: Israele è percepito come nazione identitaria capace di inserirsi da attore dinamico nella globalizzazione, di costituire nonostante un chiaro sottofondo nazionalista un saldo contesto di prosperità economica e soprattutto una centralità di rapporti internazionali.

La nazione torna, o forse non se n’è mai andata

La visita ha seguito di poco il viaggio di Meloni in Polonia dove con Mateusz Morawiecki l’incontro più emblematico, in un quadro di comune solidarietà politica nel sostegno a Kiev e nelle battaglie in Europa, è avvenuto sotto un ampio ritratto della Terra di Mezzo de Il Signore degli Anelli, opera di J.R.R. Tolkien che parla sia alla destra italiana sociale dei Campi Hobbit che al mondo conservatore nazionale che proprio nel grande scrittore anglo-sudafricano e nella sua opera, fatta di nazioni in confronto, alleanza e lotta ma specializzate nella loro identità, ha visto un punto di riferimento.

Un dato è certo: la nazione e lo Stato sono vivi e vegeti. E anche una forma rinnovata di nazionalismo. “È un secolo che si annuncia la fine delle nazioni”, ha dichiarato a Formiche il politologo Alessandro Campi, secondo cui “l’interpretazione diffusa vuole che al nazionalismo (cattivo in sé) si debbano imputare due guerre mondiali rovinose. Forse conviene ricordare che entrambe, la prima e la seconda, son state guerre tra potenze imperiali, tra aggregazioni di potenza che ambivano al potere globale. L’idea di impero, sul piano logico-politico, non è una nazione più grande, ma il contrario del principio nazionale” e oggi, secondo i teorici del conservatorismo nazionale, è incarnata dalle pulsioni radicali e da governare della globalizzazione. Cavalcata, e non più affrontata esclusivamente a muso duro, da una destra che oltre Trump ha, forse, trovato i suoi riferimenti nei leader della cordata nazional-conservatrice. Ma che si trova in imbarazzo per l’atteggiamento di Netanyahu.

La “sfida israeliana” dei nazional-conservatori

L’estremismo dei partner di governo come Potere Ebraico danneggia la stabilità del governo del Likud. La scelta del più longevo premier della storia moderna d’Israele di dividere il Paese attorno alla riforma della Giustizia e di stringere le maglie della repressione del dissenso palestinese e dell’interventismo regionale danneggia l’idea del nazional-conservatorismo come forza d’ordine e colpisce la prospettiva di un governo il cui premier è stato in passato il prototipo di leader “à la Hazony” a cui i big della galassia nazional-conservatrice hanno guardato.

Ciò pone Meloni e partner di fronte alla “sfida israeliana”: gestire la convivenza con la deriva di un Paese che hanno – comprensibilmente – posto come faro e la sostenibilità della narrazione occidentalista che tale solidarietà sottende. L’obiettivo è arrivare al redde rationem delle Europee 2024: un boom conservatore può creare nuovi equilibri nell’Ue. Ma la sintonia con l’attuale esecutivo Israele è il principale boomerang capace di creare imbarazzi politici a una strutturata galassia politica che tra atlantismo, valori conservatori e superamento del populismo sta ridefinendo con dirompenza la Destra europea

 

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