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Istruzione ed Invalsi: il materiale e l’immaginario

 
A metà maggio, proprio quando si impazzisce dietro programmi da completare, verifiche da chiudere e tristissime carte da compilare, a perfezionare la magia del momento arriva nelle scuole il Somministratore Invalsi, l'eroe disperato della "misurazione oggettiva".
 
Come pochissimi sanno, "Invalsi" significa "Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione". Che è un bel titolone. Voluto nel lontano 1999 dal ministro Berlinguer, ha vivacchiato anonimo per circa un decennio, per poi riprendersi con la Gelmini, che ce lo rifilò come uno dei segni epocali del suo passaggio.
 
Ha un organico, tra stabili e "a progetto", di un centinaio di persone, una valanga di "giornalieri" (non male pagati), un commissario straordinario piazzato pure in Bankitalia, un'influente dirigente di area CL, e un gioiello di sede ai Castelli Romani (Villa Falconieri, Frascati).
 
Ora, tralasciando l’ovvio (è democrazia, esporsi ai controlli) e il metafisico (il quiz valuterebbe “competenze”), la questione importante sembra un’altra: è veramente questa, oggi, la più indifferibile emergenza della scuola italiana? Ha veramente senso mettere in piedi un gigantesco apparato per rilevare un malanno arcinoto? Quanto costa la mastodontica investigazione?
 
Forse, invece di gingillarsi con cose come l'Invalsi e fare accademia attorno al "sintomo", ministri e rifondatori potrebbero umilmente occuparsi di cose più “materiali”; a cominciare dalla cronica erosione del tempo della didattica ordinaria per opera di una fitta e variopinta batteria di “attività extra”, che da decenni restringe il lavoro d’aula; una compressione che, sommandosi alla crescente “volatilità di ascolto” delle generazioni digitali e al sovraffollamento, fa sì che portare a dignitosa chiusura un anno scolastico sia oramai divenuto pura lotta.
 
Naturalmente gli adoratori del fatto presente, compatiranno queste lamentele; e diranno che sanno di gesso e lavagna, e che la lezione frontale “parlata” è agonizzante, e in cielo riluce l’aurora dell’Era Digitale. E chissà che non abbiano pure ragione. La storia, in fondo, è un continuo innovare. Del resto, dovessero andar male le cose anche con tablet e lim, resta sempre un nuovo “possibile”: trasferire tutto su Facebook. Invalsi compreso.

 

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