Iran: il calcio campo di battaglia delle donne
La lunga battaglia delle donne iraniane per poter entrare negli stadi di calcio è diventata l’epitome della più ampia causa per i diritti civili.
di Valerio Moggia (*)
Il 2 settembre 2019, una donna di quasi 30 anni lascia il tribunale di Teheran dove sta subendo un processo per essere apparsa in pubblico senza indossare l’hijab. Il suo nome è Sahar Khodayari, laureata in lingua inglese e in informatica, tifosa dell’Esteghlal e per questo conosciuta online come Blue Girl, per via dei colori del club. Il marzo precedente si è mascherata da uomo per riuscire ad entrare allo stadio Azadi di Teheran per assistere alla partita di Champions League tra l’Esteghlal e l’Al-Ain, ma è stata scoperta e arrestata. È stata incarcerata nella prigione di Shahr-e Rey, che ospita centinaia di donne in condizioni di sovraffollamento e scarsa igiene, per poi essere rilasciata su cauzione dopo due giorni. In tribunale le hanno detto che rischia sei mesi di prigione. Quel giorno di settembre, appena fuori dall’edificio, Sahar Khodayari si cosparge di petrolio e si dà fuoco: morirà in ospedale sette giorni dopo.
La storia di Khodayari è uno degli eventi centrali nella lunga battaglia delle donne iraniane per poter entrare negli stadi di calcio, una lotta che è diventata l’epitome della più ampia causa per i diritti civili. La particolarità è che, nonostante lo storico divieto imposto dalla Repubblica Islamica, l’Iran è uno dei paesi in cui il tifo femminile è maggiormente appassionato e organizzato a livello mondiale. Le leggi restrittive hanno spinto nel tempo le donne iraniane a eleggere gli stadi come il proprio terreno preferenziale di conflitto, ma ciò non sarebbe stato possibile senza i grandi cambiamenti sociali attraversati dal paese negli ultimi decenni, anche prima della rivoluzione. Ai tempi dello Shah Reza Pahlavi, l’accesso agli impianti sportivi era libero, e fu proprio a partire dagli anni Sessanta che il calcio iniziò a diventare un fenomeno sociale in Iran.
Lo sviluppo economico e la modernizzazione del paese favorirono il trasferimento di molte persone dalla provincia verso le grandi città, in particolare Teheran, e il calcio divenne il perfetto collante sociale di queste nuove comunità che andavano formandosi. La rivoluzione del 1979 e la nascita della Repubblica Islamica cambiarono le cose ma solo parzialmente: il nuovo ordinamento dello Stato, basato sulla shari’a, imponeva alle donne di coprirsi le gambe, le braccia e i capelli, ma ebbe inizialmente effetto più che altro sullo sport femminile, invece che sul tifo. A quel tempo il calcio femminile stava muovendo i suoi primissimi passi nel paese: nel 1971 il Taj (il club che sarebbe diventato poi l’Esteghlal) era stato il primo a formare una propria squadra femminile, che il 7 maggio affrontava a Teheran la selezione italiana. A causa dell’abbigliamento sportivo che lasciava parte del corpo scoperto, sotto la shari’a lo sviluppo dello sport femminile venne però interrotto.
Il divieto di accesso agli stadi venne invece promulgato nel 1981, dopo che l’Iran era stato invaso dalle truppe irachene e il potere rivoluzionario aveva preso una deriva autocratica e repressiva. Ma questa legge non riuscì minimamente a scalfire la passione delle donne per il pallone. Con il paese in guerra e isolato internazionalmente, il calcio divenne – nonostante le critiche degli estremisti conservatori, che lo denunciavano in quanto simbolo dell’imperialismo occidentale dei tempi dello Shah – la principale forma di distrazione della popolazione iraniana dagli orrori del conflitto. E se i maschi potevano seguire e tifare dal vivo le loro squadre preferite, le donne non restarono affatto escluse da questo fenomeno, dato che le partite venivano ancora trasmesse in televisione o comunque raccontate sui giornali. Sono state soprattutto le giovani cresciute negli anni Ottanta ad avvicinarsi a questo sport come sostenitrici, rivendicando dunque un po’ proprio ruolo nella società del tifo, accanto agli uomini. Non è un caso che, subito dopo il conflitto e con la ricostituzione di un campionato nazionale vero e proprio, in più di un’occasione il fenomeno del tifo femminile emergerà in maniera inequivocabile.
Tifose dell’Esteghlal si scattano un selfie allo stadio Azadi, nel dicembre 2023. Molte di loro hanno ciocche di capelli che spuntano da sotto il velo, violando la legge: nelle foto delle donne allo stadio, però, cose del genere si vedono molto spesso.
La guerra termina nel 1988 e il campionato rinasce l’anno successivo, mentre nello stesso periodo il ministero dello Sport assume il controllo delle principali associazioni sportive femminili. La riapertura al multipartitismo e l’elezione a Presidente del moderato Akbar Rafsanjani dimostrano come, pur dovendo rispettare i dettami della legge coranica, l’Iran stava vivendo una fase di relativa liberalizzazione. Ed è proprio Faezeh Rafsanjani, figlia del presidente e attivista femminista che ha studiato nel Regno Unito, a farsi promotrice della rinascita dello sport femminile, cercando di ripensarlo nel rispetto dei nuovi dettami religiosi del paese. Ma soprattutto Rafsanjani punta a costituire uno sport per le donne di qualsiasi classe sociale, mentre ai tempi dello Shah esso era diffuso esclusivamente tra le ragazze della famiglie benestanti delle grandi città. Sotto il suo impulso nascono, nel 1993, i Giochi Olimpici Musulmani Femminili, ospitati a Teheran, e si diffonde la pratica del futsal femminile, a partire dalle università. Il vantaggio del calcio a 5 è che, essendo praticato indoor in palestre a cui non è consentito l’accesso agli uomini, le atlete possono vestire magliette e pantaloncini corti. Ma nel frattempo, grazie all’impegno di un’altra attivista come Khadijeh Sepanchi, si iniziano pure a concepire degli hijab sportivi, che saranno decisivi nella crescita delle discipline femminili.
Sull’onda di queste aperture, nell’estate del 1994 il governo consente nuovamente alle donne di assistere a una partita di calcio dal vivo: il 18 luglio 500 tifose selezionate posso assistere a un incontro tra India e Bahrein, anche se confinate in un settore limitato dello stadio. La decisione suscita le proteste della stampa conservatrice, che sottolinea come l’atteggiamento aggressivo e il linguaggio scurrile dei tifosi di calcio rendano gli stadi un luogo inadatto, se non proprio pericoloso, per le donne. Polemiche che si rinforzano dopo la partita, al termine della quale alcune tifose assediano i giocatori per chiedere degli autografi, scatenando un piccolo scandalo, che convince il governo di Teheran a un passo indietro e a reistituire il divieto. Ma questo episodio conferma quanto anticipato prima: il tifo femminile non è un fenomeno recente, e non ha fatto che consolidarsi nel privato proprio mentre veniva represso nella sfera pubblica. Per tutti gli anni Novanta la tematica dell’apertura degli stadi di calcio alle donne tiene banco in Iran, appoggiata dalla fazione progressista della società, che nel 1997 si riunisce attorno a Mohammad Khatami, eletto nuovo Presidente del paese.
L’Iran dell’epoca è un paese in crescita democrafica, che arriverà ad avere, per i primi anni Duemila, il 30% della sua popolazione sotto i 14 anni d’età. Il calcio è sempre più un fenomeno giovanile, legato a un’idea di società più aperta, e separa le generazioni più giovani da quelle più anziane, le quali prediligono ancora sport di più lunga tradizione sul territorio, come la lotta e il sollevamento pesi. Soprattutto tra le donne, l’attività fisica diventa un modo socialmente accettabile per emanciparsi dal controllo maschile, e così le società sportive iniziano ad aprire alla mattina le proprie palestre per consentire alla popolazione femminile di usufruire delle strutture e delle attrezzature sportive. Il 29 novembre 1997, quando l’Iran sconfigge l’Australia e ottiene la qualificazione ai Mondiali dopo vent’anni dall’ultima volta, migliaia di donne scendono nelle strade della capitale per festeggiare, mescolandosi ai tifosi maschi e spesso togliendosi il velo. Viene chiamata la “rivoluzione del calcio”, il momento in cui lo sport più amato dai giovani iraniani diventa con ogni evidenza l’incarnazione di un’idea di società diversa rispetto a quella degli ayatollah.
Da questo momento in avanti, il diritto di assistere alle partite diventa una componente essenziale della lotta femminista in Iran. In alcuni casi, delle tifose arrivano a mascherarsi da uomini per aggirare i controlli: tra quelle che ricorrono a questo stratagemma c’è anche Solmaz Panahi, figlia del regista Jafar Panahi, il quale da questa esperienza trae spunto per il film Offside, che nel 2006 vince l’Orso d’Argento al Festival di Berlino. La forza di questo movimento è tale che nello stesso anno anche il nuovo Presidente ultra-conservatore Mahmoud Ahmadinejad decide di abrogare il divieto d’ingresso negli stadi, che viene però puntualmente reintrodotto, poche settimane dopo, dalla Guida Suprema Ali Khamenei. La strategia adottata dalle autorità iraniane resta a lungo ambivalente: il divieto viene mantenuto in vigore, ma occasionalmente gruppi estremamente ristretti di donne vengono selezionate e invitate alle partite, posizionandosi in settori riservati dello stadio, rigidamente separati da quelli maschili. Si propende per partite della Nazionale, sfruttando il nazionalismo sportivo come legittimazione, ma di solito sono incontri di secondo piano. Fino al suicidio di Sahar Khodayari.
Un gruppo di tifose del Persepolis travestite da uomini, allo stadio Azadi nel maggio 2018.
La tragica vicenda della Blue Girl ha generato un’ondata di proteste in Iran e anche a livello internazionale, che hanno visto aumentare le pressioni da parte della FIFA per liberalizzare l’accesso agli stadi. Il governo di Teheran ha risposto garantentendo a 3.500 tifose di assistere alla partita tra Iran e Cambogia già il 10 ottobre 2019, un’incontro valido per le qualificazioni ai Mondiali in Qatar. Molte testate internazionali hanno parlato di un evento storico e della prima apertura in 40 anni, anche se, come abbiamo visto, occasionalmente era già avvenuto anche in precedenza. Di sicuro, mai prima di quel momento l’accesso allo stadio era stato consentito a un numero così ampio di donne. Per contro, ancora una volta le sostenitrici della Nazionale hanno avuto accesso solo a un settore circoscritto e limitato degli spalti, e la partita scelta è stata di scarso interesse. L’Iran si è imposto per 14-0 davanti a meno di 16.000 spettatori (lo stadio Azadi ne ospita circa 78.000).
Il fatto è che, se da un lato le femministe iraniane hanno imparato a usare la presenza negli stadi come terreno di lotta, dall’altro il potere politico e religioso ha saputo fare lo stesso. Garantire timide aperture, strettamente regolamentate, è un modo per allentare le pressioni internazionali sul paese e calmare le tensioni interne senza davvero cambiare lo stato delle cose. Nel dicembre del 2023, dopo quasi un anno di dure proteste seguite all’omicidio di Mahsa Amini, 3.000 donne hanno potuto entrare allo stadio Azadi per assistere al derby di Teheran tra Esteghlal e Persepolis, per la prima volta dal 1981. Solo pochi mesi prima le autorità avevano placato la contestazioni, dopo una lunga e violenta repressione. Consentire occasionali presenze negli stadi è un modo per tenere sotto controllo le istanze femministe, che sempre più spesso trovano una sponda nel mondo del calcio, in particolare tra i dirigenti dei club e i calciatori.
Tutto questo rimane dunque una concessione delle autorità, che si limitano a derogare la legge a seconda delle situazioni. Il 16 dicembre 2024 si è giocata una partita storica a Esfahan, tra Sepahan e Persepolis, in uno stadio riempito unicamente dalle tifose (40.000 circa). Anche in questo caso l’evento ha però riguardato una grande città, dove generalmente c’è una cultura più progressista, e non può essere sottovalutato il suo contesto: a maggio, durante la precedente sfida tra le due squadre, era scoppiato uno scandalo nazionale quando alcuni tifosi del Sepahan aveva rivolto degli insulti a un gruppo di sostenitrici del Persepolis. La Federcalcio aveva allora deciso di bandire i tifosi maschi dai successivi due confronti tra i club, lasciando campo libero alle donne. Le foto delle tifose che hanno riempito lo stadio sono sorprendenti e affascinanti, e hanno certamente aiutato l’immagine internazionale dell’Iran, ma resta il fatto che il libero accesso delle donne agli stadi, senza limitazioni e con la possibilità di mescolarsi agli uomini, è ancora molto lontano dall’essere realizzato.
Fonti
-CHEHABI H. E., A Political History of Football in Iran, Iranian Studies, Taylor & Francis
–MILLAR Colin, Iran, women and the ongoing struggle for football ‘freedom’, The Athletic
-STEEL Jenny, RICHTER-DEVROE Sophie, The Development of Women’s Football in Iran. A Perspective on the Future for Women’s Sport in the Islamic Republic, Iran, Taylor & Francis
(*) Testo e foto originali: https://pallonateinfaccia.com/2025/02/16/iran-donne-stadio-storia/#more-11220
Questo articolo è stato pubblicato quiLasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox