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Il ritorno degli dèi «falsi e bugiardi»

Oggi esistono religioni che non negano la propria falsità e proprio per questo si diffondono. Ne parla Raffaele Carcano sul numero 5/2021 della rivista Nessun Dogma.
 

Nel primo canto dell’Inferno Dante, dopo essersi imbattuto in tre fiere, incontra finalmente un uomo, o quello che sarebbe diventato post mortem. È Virgilio, che gli si presenta così: «vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto / nel tempo de li dèi falsi e bugiardi». Tale, dopo l’avvento del cristianesimo, era la considerazione per le divinità “pagane” ormai sconfitte (con il determinante aiuto delle autorità imperiali). Benché quelle antiche fossero religioni a tutti gli effetti, il cristianesimo le considerò «mitologie». E ancora oggi usa (e fa usare) questa parola.

 

Ovviamente ogni religione pensa che tutte le altre siano false, o quantomeno imperfette. Per gli atei, altrettanto ovviamente, sono tutte false, nessuna esclusa. Ma la loro falsità può avere caratteristiche molto diverse. Ci sono quelle create in buona fede, frutto di esaltazioni mistiche o di spiritualità troppo accese. Ci sono quelle che suscitano perplessità diffuse: il libro di Mormon, testo sacro della confessione religiosa nota con questo nome, secondo la dottrina ufficiale sarebbe stato scritto su tavole d’oro utilizzando caratteri «egizi riformati»; poiché di tali caratteri non vi è però traccia al di fuori del manoscritto su cui furono riprodotti, esiste quindi un consenso accademico sul fatto che il libro sia opera degli iniziatori del mormonismo. Scientology e il raelismo sono stati fondati, rispettivamente, da un ex scrittore di fantascienza e da un cantante in disarmo: attività non necessariamente meno credibili, dal punto di vista dell’ispirazione trascendentale, della falegnameria e del commercio di cammelli, ma che richiedono certamente un surplus di creatività.

Le religioni a cui dedichiamo parte di questo numero sono però di un altro tipo ancora. Tuttavia anch’esse sono dotate di divinità, testi sacri, riti, festività, precetti, e si pretendono “credibili” a tutti gli effetti. La differenza sostanziale, quella che ci permette di distinguere il falso dal falso, è che hanno volutamente lasciato abbondanti tracce della loro creazione umana, e in particolare il loro approccio giocoso, che le religioni “vere” non hanno quasi mai avuto (perché i “veri” dèi non ridono e non vogliono che si rida di loro). Ma non tutti se ne accorgono. Alcune di esse (quelle di cui tratta Adele Orioli nel suo articolo) pretenderebbero che non se ne accorgano nemmeno le istituzioni pubbliche e i tribunali: vorrebbero spacciarsi per religioni per conseguire obiettivi laici. Altre vogliono portare alla luce la falsità delle religioni “tradizionali” usando il meccanismo dell’imitazione satirica. Altre ancora si concepiscono come un ambiente per esercitare del “sano” cazzeggio tra non credenti. E non mancano quelle che mischiano tutte queste caratteristiche. Quel che è certo è che stanno diventando un fenomeno diffuso.

Ovviamente, finché imperava il totalitarismo cristiano, di religioni del genere non se ne parlava, perché chi ne avesse parlato sarebbe finito rapidamente sul patibolo. Dopo la rivoluzione francese (che fu sicuramente anticattolica, ma altrettanto sicuramente deista) gli atei emersero pubblicamente, ma erano comunque fermamente combattuti dai giacobini al potere, che promuovevano il neonato culto dell’Essere supremo. Alcuni atei inventarono così un ulteriore culto alternativo, quello della dea Ragione, praticato anche in alcune chiese occupate con le maniere forti. Molti suoi esponenti finirono rapidamente ghigliottinati.

Fu un episodio isolato. In fondo l’ateismo fu ancora per due secoli un fenomeno d’élite a sua volta serio, fortemente collegato con la scienza: difficile individuare positivisti o materialisti dedicarsi alla satira. Vi si dedicavano semmai gli anticlericali di pancia, che preferivano però caricaturare le religioni già esistenti. La vera e propria nascita delle fake religions ebbe dunque luogo con l’ondata di secolarizzazione che cominciò a colpire le società occidentali a partire dagli anni sessanta. Non soltanto popolarizzò la miscredenza, ma diede anche luogo a nuovi trend culturali (o, meglio ancora, controculturali).

Anche le fake religions, come quelle “serie”, sono infatti figlie dei tempi e dei luoghi in cui sono state inventate. Alcune sono sorte intorno all’uso di sostanze psichedeliche, altre in ambienti situazionisti e post-modernisti. La nascita di internet ne ha generate a volontà (si veda il parzialissimo elenco che segue), sia perché ne ha facilitato la diffusione, sia perché se ne sono appassionati legioni di informatici. Al punto che è venuto il momento di fare qualche riflessione. A cominciare da quelle più importanti, per un’associazione come la nostra: queste “religioni” mettono in luce alcuni limiti delle organizzazioni di non credenti? E, se sì, quali? È il caso di prenderne alcuni elementi, in un apparentemente inconcepibile sincretismo ateo?

È difficile stabilirlo – anche a causa della molteplicità delle formazioni, che non ha nulla da invidiare a quello delle religioni “serie”. Quel che è certo è che ora non mancano nemmeno i critici. Se è un gioco, corre il rischio di durare troppo e di diventare altro. Il nome della chiesa del SubGenio e altre sue immagini iconografiche, per esempio, sono protette dal diritto d’autore (anche se non è mai stato rivendicato davanti a un giudice). Un’altra possibile deriva è l’autoreferenzialità: la più nota fake religion, la chiesa pastafariana, ha elaborato un suo articolatissimo gergo che gli aderenti amano praticare, rendendosi però spesso incomprensibili a chi incappa casualmente in loro. Senza dimenticare una delle più importanti leggi di internet, quella di Poe, secondo cui «senza un chiaro segno di intenti umoristici, non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo».

In sintesi, le fake religions sembrano capaci di clonare anche tutti i difetti caratteristici delle religioni “serie” – e di qualunque altra organizzazione umana. Il rischio concreto è che, in un ambito in cui il volontariato non brilla per quantità, le associazioni di non credenti si vedano drenate di possibili risorse umane, impegnate in attività più ludiche. D’altro conto ben difficilmente un’associazione atea imporrà mai qualsivoglia obbligo di attivismo ai propri aderenti. Probabilmente, quindi, anche in questo caso la verità sta nel mezzo, e il giusto mezzo potrebbe essere costituito da un costante impegno per cercare di migliorare il mondo senza però dimenticare di divertirsi. Sarebbe un peccato mortale, quando si ha a disposizione una vita soltanto.

Raffaele Carcano

Approfondimenti
Carole M. Cusack, Invented Religions. Imagination, Fiction and Faith (2010)
Bobby Henderson, Il libro sacro del Prodigioso Spaghetto Volante (2008)
Giuliano Graziani, Catalogo delle religioni nuovissime (2018)

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