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Il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali UE: buone novelle laiche

Non solo clericalate. Seppur spesso impercettibilmente, qualcosa si muove. Con cadenza mensile vogliamo darvi anche qualche notizia positiva: che mostri come, impegnandosi concretamente, sia possibile cambiare in meglio questo Paese.

 

La buona novella laica del mese di aprile è l’approvazione, da parte dell’Europarlamento, di una risoluzione per inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. La risoluzione è passata con 336 sì, 163 no e 39 astensioni. Il testo, sebbene non vincolante, chiede un intervento del Consiglio europeo ed esprime preoccupazione per la regressione sul fronte dei diritti delle donne anche in alcuni Stati Ue. Paesi come Polonia e Malta sono invitate a depenalizzare l’interruzione di gravidanza e, per quanto riguarda l’Italia, si rimarca che «l’accesso all’assistenza all’aborto sta subendo erosioni» a causa di «un’ampia maggioranza di medici che si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile de facto l’assistenza all’aborto in alcune Regioni». Favorevoli i gruppi di socialisti, verdi, liberali, sinistra e anche una minoranza dei popolari. Contrari i conservatori europei (che comprendono Fratelli d’Italia), gran parte dei popolari (con Forza Italia) e Identità e democrazia (con La Lega). Da segnalare che della destra nostrana hanno votato a favore Gianna Gancia (Lega) e Alessandra Mussolini (Forza Italia). Per Alessandra Moretti (PD), firmataria della risoluzione, «questo è un tema che coinvolge le coscienze di ognuno» ed «è stato molto importante approvare questa risoluzione, che considera la possibilità di aborto come un diritto umano di ogni persona».

Il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini critica il ricorso del governo Meloni contro la delibera che fissa le linee guida regionali per l’accesso al suicidio assistito tramite le aziende sanitarie locali. «Si è passato il limite», ha affermato, per fare campagna elettorale «sulla pelle delle persone». La segretaria Pd Elly Schlein dal canto suo parla di «ricorso ideologico» e rilancia: «Facciamo una legge in Parlamento».

Diverse esponenti politiche contestano le uscite infelici durante un programma tv della vicedirettrice del Tg1 Incoronata Boccia contro l’aborto, equiparato all’omicidio sulla scorta di quanto sostenuto da madre Teresa di Calcutta. La senatrice ed ex presidente delle donne democratiche Cecilia D’Elia le ritiene «inaccettabili». Per la capogruppo Pd alla Camera Chiara Braga il problema «riguarda i vertici Rai»: «può ancora ricoprire quel ruolo chi offende le donne e le leggi?». L’esponente del M5S Alessandra Maiorino definisce «inammissibili» le dichiarazioni di Boccia, contro «l’autodeterminazione della donna». Per Luna Zanella (AVS) certe frasi «sviliscono le conquiste delle donne disconoscendo una legge dello Stato».

Durante il voto alla Camera dell’emendamento al decreto sul Pnrr che sdogana l’ingresso delle associazioni no-choice nei consultori diversi deputati hanno contestato il provvedimento, poi approvato al Senato. La parlamentare Gilda Sportiello (M5S) ha presentato un ordine del giorno dal decreto, respinto dal governo, nel suo intervento ha denunciato: «Avete fatto presentare questo emendamento a un uomo, ma siamo noi donne che scegliamo cosa vogliamo nella nostra vita, se essere madri o non esserlo. Io sono madre, ho scelto di esserlo, 14 anni fa ho scelto di abortire. E sapete perché lo dico qui? Perché nessuna donna che vuole abortire deve essere attaccata».

Dopo l’approvazione dell’emendamento alcune Regioni governate dal centrosinistra, come Emilia Romagna, Campania, Puglia e Toscana, si sono espresse contro questa forma di ingerenza confessionalista.


Anche in Senato l’opposizione ha duramente criticato il provvedimento, approvato con 95 sì, 68 no e un’astensione. Per Valeria Valente (PD) e Alessandra Maiorino (M5S) si tratta di un «attacco bello e buono» alla legge 194 e «una mano tesa» agli antiabortisti. Tino Magni (AVS), dal canto suo, ritiene la misura frutto della «convinzione patriarcale che le donne non siano capaci di scegliere liberamente, che non siano capaci di autodeterminarsi». La senatrice Ketty Damante (M5S) ritiene che il decreto sia «solo un modo per il governo di provare a nascondere il totale fallimento nella gestione del Piano».

Qualche imbarazzo è arrivato persino dalla maggioranza, con il ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Raffaele Fitto che ha cercato di giustificare l’inserimento nel decreto Pnrr, su cui hanno espresso dubbi persino dalle autorità europee.

Tra le prese di posizione a difesa dell’autodeterminazione sull’aborto da segnalare quella della presidente della commissione Sanità della Regione Sardegna, Carla Fundoni. Come la governatrice Alessandra Todde, Fundoni si è schierata contro l’inserimento nei consultori dei volontari “pro vita”: «un atto che considero una violenza del Governo sul corpo delle donne, che ci riporta indietro di 50 anni, rispetto anche agli indirizzi dell’Europa che inserisce l’aborto tra i diritti fondamentali dell’Ue». «Credo ci sia un tentativo, e uso una parola forte, di smantellare i consultori e il servizio pubblico che in questo momento rappresentano l’unica garanzia di università del servizio», chiarisce Fundoni.

Il Tar del Piemonte dà ragione a un agente scelto di polizia penitenziaria che era stato sottoposto a un esame psichiatrico per verificare se fosse omosessuale. Il Ministero della Giustizia dovrà versare un indennizzo di 10 mila euro. Dopo una segnalazione, poi rivelatasi falsa, da parte di due detenuti, l’agente era stato sottoposto ai test. I giudici rilevano che era stata trasmessa «l’idea per cui l’omosessualità attribuitagli potesse essere un disturbo della personalità». Il capogruppo di Italia Viva Ivan Scalfarotto in commissione Giustizia al Senato, commentando l’avvenimento, fa notare che questa «idea strisciante» è «assai più diffusa di quel che si creda».

La candidata sindaca di Livorno Valentina Barale (Primo Polo) ha declinato l’invito a partecipare a un incontro con altri candidati organizzato dalla diocesi, alla presenza del vescovo. Barale chiarisce di aver «riflettuto sulla opportunità di partecipare, visto che sono fermamente convinta sia necessario valorizzare i diversi ruoli promossi dalla Stato e dalle religioni e credendo da sempre nell’importanza di sottolineare in ogni occasione utile la laicità dello Stato». La candidata, pur considerando importante il ruolo dell’associazionismo cattolico, ritiene che ciò «non sia valorizzato e coerente con la scelta del Vescovo di schierarsi apertamente a fianco di un candidato sindaco rappresentante, peraltro, le forze di centro destra, espressione di atteggiamenti contrari ai nostri principi costituzionali ma anche alle idee di eguaglianza, tutela dei più deboli e accoglienza fondanti anche il pensiero cattolico». Considerando anche i tempi contingentati per le risposte, «non ho ritenuto utile partecipare a d un incontro che a mio avviso si limita ad essere una passerella».

Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha registrato altri due atti anagrafici di bambine, nate all’estero come figlie, di due donne. «Con questo atto garantiamo i diritti a due bellissime bambine e alle madri pieni doveri nei loro confronti», ha commentato il primo cittadino: «un atto giusto e di buon senso, che sarebbe sbagliato e ingiusto non trascrivere o farlo in modo parziale. Un atto pienamente legittimo oltre che doveroso, come riconosciuto da numerose sentenze e recentemente dal Tribunale di Roma che ha respinto il ricorso contro la trascrizione integrale di un certificato estero con due mamme da me effettuata lo scorso 9 giugno». Marilena Grassadonia (Sinistra Italiana), coordinatrice dell’Ufficio LGBT+ di Roma Capitale, ha ringraziato il sindaco «per continuare ad assumersi quella responsabilità politica che oggi è garantire serenità a due piccole cittadine romane» e anche l’assessore Andrea Catarci.

La redazione

 

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