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Ideologia ed Opportunismo: due parole usate a sproposito

Le parole sono spesso tradite dall’uso e, a lungo andare, perdono il loro significato originario per acquisirne uno ambiguo e spesso deteriore. E’ il caso di due termini come “Opportunismo” ed “Ideologia”. Chi consultasse il dizionario Treccani, proverebbe questa definizione per opportunismo:

<<Comportamento per cui, nella vita privata o pubblica, o nell’azione politica, si ritiene conveniente rinunciare a principî o ideali, e si scende spregiudicatamente a compromessi per tornaconto o comunque per trarre il massimo vantaggio dalle condizioni e dalle opportunità del momento… Con sign. meno negativo, la capacità di saper cogliere e sfruttare il momento opportuno, la buona occasione, anche se con danno dell’avversario (per es., in competizioni sportive).>>

In effetti, in politica, il termine ha il significato solo negativo e riconduce sempre ad un comportamento dettato dal vantaggio individuale sostanzialmente amorale, mentre, nel calcio si dice “è un grande opportunista” di un giocatore che, senza particolare schema di gioco sia pronto a cogliere l’occasione per segnare una rete e, quindi, con giudizio positivo.

Più sfumata e polisemica è la definizione del termine ideologia: lo stesso dizionario, dopo aver fornito la sua definizione etimologica ( scienza del pensiero antimetafisica) e quella data dal marxismo o dalle scienze sociali (complesso di credenze filosofiche, religiose, culturali di una classe o di una società particolari) ne aggiunge una in senso spregiativo:

<< complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche, cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale>>

ma nell’uso corrente ormai il termine ha solo questa valenza negativa ed è una sorta di equivalente di “pregiudizio” e, per alcuni, una sorta di edizione temporale delle credenze religiose. Ma in questo modo di confonde il termine con un suo particolare uso. Entriamo nel merito.

Opportunismo: non è detto che una condotta che prescinda più o meno totalmente da considerazioni di ordine morale, e che sfrutti le occasioni che si aprono, debba necessariamente essere dettata da interessi puramente personali, può anche essere un modo di intendere la lotta politica come lotta per il potere e senza vincoli di carattere morale. In questo senso il Principe di Machiavelli è il primo esempio di politico “opportunista” il cui scopo è la conquista ed il mantenimento del potere. N questo senso sia Napoleone che Stalin o Mussolini furono grandi opportunisti. Napoleone portò nella politica il suo senso istintivo per la tattica, ed ebbe una percezione piuttosto vaga dei valori politici: fu giacobino oltranzista sino ad un certo momento, poi sostenne il termidoro per poi operare una sostanziale restaurazione monarchica. Similmente Mussolini non fu mai realmente convinto del corporativismo o della socializzazione, ed ebbe come suo punto di riferimento centrale un’idea di politica di grande potenza dell’imperialismo italiano, con frequenti mutamenti di strategia e di alleanze. Di Stalin non ho bisogno di ripetere quanto ho già scritto in altre sedi.

Un caso particolare è rappresentato da Lenin che fu insieme politico di corte ispirazione ideologica radicata in un marxismo con decise influenze populiste e lassaliane, ma fu anche un politico decisamente opportunista che mutò, anche in tempi brevissimo, le sue convinzioni (si pensi alle sue “tesi d’aprile”, alla posizione sui Soviet, alla pace di Brest Litowsk ecc.) man mano che la situazione oggettiva andava mutando.

Proprio l’esempio di Lenin ci fa capire che non sempre “cogliere l’opportunità” (è questo il senso vero del termine) è incompatibile con una politica ideologica e la coesistenza fra i due termini è poi definita dall’uso di ciascuno di essi nella definizione della strategia e Lenin fu insieme grande stratega e grande tattico. In realtà, nell’azione di ogni politico c’è un aspetto ideologico ed un aspetto opportunista, il problema è sino a che punto si sia una cosa e sino a che punto un’altra e molto dipende dal livello culturale del personaggio o del movimento.

E veniamo al termine ideologia che noi assumiamo semplicemente ed avalutativamente come “visione organica del mondo che tende a rendere coerenti le sue parti”, In questo senso esistono anche “ideologie non politiche”: anche nelle scienze logico-matematiche e naturali esistono scuole di pensiero che altro non sono che ideologie nel proprio campo: i paradigmi scientifici sono esattamente questo. Dunque non c’è neppure alcuna incompatibilità fra ideologie e pensiero scientifico. Ancora una volta esiste un uso laico e scientifico dell’ideologia ed un uso dogmatico di tipo para religioso: quello che separa l’uno dall’altro è la capacità di imparare dall’esperienza. Un uso laico presuppone che non esistano verità definitive ed immutabili ma che ogni convinzione possa resistere sino a quando l’esperienza concreta non la falsifichi. Vice versa, la convinzione di verità immutabili conduce all’integralismo o, peggio ancora, al fondamentalismo. Ed anche quei non si tratta di una esclusiva del pensiero religioso o politico: il neo liberismo (che si ritiene conoscenza scientifica e matematicamente fondata dell’economia) non è meno fondamentalista della Jhiad islamica e lo dimostra l’incapacità di rimettere in discussione i fondamenti del proprio pensiero alla luce dell’esperienza della crisi ancora in atto.
La confusione che spesso si fa sull’uso di questi termini ha l’effetto di peggiorare notevolmente le cose: la “critica dell’ideologia” di cui parlò Daniel Bell nei primissimi anni sessanta ha dato il via ad una processo di ricadute a catena con esiti finali disastrosi.

Bell partiva dal tradizionale impianto empirista della cultura anglo americana (e l’empirismo, piaccia o no, è a sua volta una ideologia) e criticava, nelle ideologie politiche novecentesche, l’infondato giudizio a priori e il carattere totalizzante. “Quale è il problema? Ho qui la soluzione!” scriveva, per ridicolizzare la posizione degli “ideologici”, che pretenderebbero d’avere una pietra filosofale in grado di risolvere ogni problema, prima ancora che sia posto. In una certa misura la critica di Bell coglieva nel segno, perché si manifestava nel punto più aspro della guerra fredda che fu eminentemente guerra ideologica segnata dall’ossificazione reciproca dei due schieramenti. In particolare il marxismo ufficiale aveva subito un processo di irrigidimento del tutto patologico e, in qualche modo, l’emergere del marxismo eretico intorno al sessantotto, con le sue commistioni con la sociologia, l’antropologia, la psicanalisi, ecc. dette indirettamente ragione a Bell. Ma la critica all’ideologia divenne per presto la liquidazione di ogni strategia, poi di qualsiasi cultura politica, di qualsiasi identità in favore di uno pseudo riformismo che non aveva modello di società in testa, non aveva cultura politica, no, aveva strategia né disegno politico alcuno, ma si risolveva in pura empiria del giorno per giorno. Quello che, da un lato si adattava alla dittatura finanziaria, accettata senza alcuna resistenza, dall’altro rimuoveva l’idea di futuro dal dibattito politico, piegandosi totalmente alla dittatura dell’esistente. Il che, a sua volta ha generato l’idea della centralità del leader e, dunque, dei partiti personali privi di ogni dialettica interna.
Tutto questo ha distrutto ogni classe dirigente di ricambio ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti: puro opportunismo, ma nel solo senso deteriore del termine.

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